“Vorrei che tu fossi una donna” scrive Oriana Fallaci nella sua Lettera a un bambino mai nato (Rizzoli, 1975). A partire da questa considerazione si dischiude un ragionamento importante da rileggere in occasione dell’8 marzo. Essere donna, per Oriana Fallaci, è un auspicio, un’avventura, un atto di coraggio, in sintesi: una sfida che non finisce mai.
Vorrei che tu fossi una donna.
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È un’affermazione perentoria che apre la strada a una vera e propria apologia del femminismo che la giornalista svolge nei paragrafi successivi.
Nel suo monologo dedicato al “bambino mai nato”, Fallaci segue un perfetto ragionamento dialettico: procede per tesi e antitesi, come nei dialoghi platonici, per giungere al cuore della verità. Dopo aver elencato i motivo per cui vorrebbe che il nascituro fosse una donna, Oriana scrive: Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso e si premura di sostenere la sua tesi affidando al nascituro il compito di portare avanti una battaglia femminista: di affermare, cioè, che i Gesù non sono i figli di Dio e dello Spirito Santo ma “della donna che li partorì”.
Persino quando si rivolge al proprio figlio considerandolo “Uomo”, Fallaci prosegue il suo ragionamento per antitesi e procede a elencare per negazione tutte le sofferenze, le violenze e gli abusi inflitti al genere femminile: ti saranno risparmiate tante umiliazioni, scrive, tante servitù. E ancora fa riferimento alle donne violentate nel buio di un vicolo, oppure alle donne giudicate sulla base della loro bellezza, accettate solo in base all’apparenza e poi sminuite, offese, derise; alle donne che sono costrette a lottare per affermare i propri diritti e le proprie idee . Questa lunga catena di torti - sostiene Fallaci - al suo bambino non sarà inflitta se nascerà uomo, ne sarà risparmiato.
Comunque lo si legga è impossibile non cogliere in questo passo una profonda lezione femminista indirizzata sia agli uomini che alle donne, una lezione unisex che non si lascia imbrigliare nello schema ristretto delle ideologie ma si rivolge a una platea vasta e indistinta di individui.
Parole che hanno un certo peso e si stampano nella mente delle lettrici e dei lettori sin dal primo sguardo. Il monologo di Fallaci è volutamente provocatorio e spinge a riflettere: in un mondo “fabbricato dagli uomini e per gli uomini” essere donna è molto difficile eppure, proprio perché si tratta di un percorso a ostacoli, diventa un’esperienza affascinante, una sorta di viaggio dell’eroina.
Oggi, nel giorno della Festa della donna che celebra tra l’altro l’anniversario di una rivoluzione, leggiamo queste parole di Oriana Fallaci e scolpiamocele nel cuore non tanto per ribellarci, ma per capire.
Nell’esergo di Lettera a un bambino mai nato, Fallaci scrive che il libro è dedicato da una donna per tutte le donne: una dedica che oggi, in questa giornata, appare più vitale e necessaria che mai e apre un dialogo solidale destinato a non interrompersi.
Vorrei che tu fossi una donna: il monologo di Oriana Fallaci
Fallaci, che non era certo digiuna dell’ars retorica, apre il proprio monologo con un’interrogazione all’apparenza innocente: “sarai un uomo o una donna?”. La domanda per eccellenza che, in cuor suo, ogni donna pone alla creatura che porta in grembo sfidandosi a immaginarla, a inventarla. Da questo pensiero, però, Oriana Fallaci trae un’importante riflessione sociale e politica perché è proprio la sua risposta, quel “Vorrei che tu fossi una donna,” a fare tutta la differenza.
Sarai un uomo o una donna?
Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d’accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: Ah, se fossi nata uomo! Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l’assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai.
Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell’Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un’incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante. E un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai.
Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna.
Recensione del libro
Lettera a un bambino mai nato
di Oriana Fallaci
Intenzionalmente provocatoria, Fallaci anticipa molti temi che ancora oggi sono dibattuti sui giornali, sui social network, nei salotti dei talk-show televisivi. Si dice “uomo” per dire uomo e donna, osserva la giornalista ponendosi uno scrupolo linguistico che sfocia nel dilemma morale: Oriana allora non poteva saperlo, ma stava anticipando l’uso dello schwa e persino un futuro neologismo: il femminicidio. Prosegue sovvertendo il testo biblico in un’esegesi quasi criminale partendo da Eva sino ad arrivare alla Madonna, ma non trascura neppure i miti greci e l’arte figurativa.
Fallaci rilegge il patriarcato come forma dominante nella società attraverso i testi letterari: anche la Bibbia è un libro scritto da uomini, dopotutto, e lei non manca di farlo notare. La provocazione è voluta e, a tratti fa sorridere, ma al contempo pone una domanda precisa: com’è stata rappresentata la donna nella società occidentale? Nella figura di “Maria Vergine” Fallaci non vede l’immagine esemplare di una santa, ma un’incubatrice o una balia; e poi pone l’interrogativo sommo, in sfida a ogni dogma religioso, e se Dio fosse una donna?
Se nascerai donna: la profezia di Oriana Fallaci
Il tono è sfidante, soprattutto militante. Con quell’affermazione “Vorrei che tu fossi una donna” Fallaci affida al nascituro un compito preciso, una vera battaglia da portare avanti con coraggio come una novella Giovanna d’Arco. E quindi elenca tutti i motivi che portano le donne a combattere seguendo il ritornello “avrai da batterti per” che suona come la moderna marcia trionfale di una guerra a venire.
Perché il giorno in cui nacque Eva, scrive Fallaci, non nacque il peccato ma una splendida virtù alla quale la giornalista attribuisce un nome che è sinonimo di lotta e di rivolta: la disubbidienza. E si spinge oltre, sradicando il binomio biblico di “donna-madre” sostenendo “essere madre non è un mestiere e non è nemmeno un dovere”.
Nel suo monologo Oriana Fallaci compone un’apologia del femminismo contemporaneo e conclude con un inno alla lotta: essere donna è una sfida. Non parla di una battaglia da vincere perché spesso - ci avverte - perderemo, saremo sconfitte. Ma battersi, conclude, è molto più bello che vincere.
Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto a urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi. Sì, spero che tu sia una donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l’ho mai detto.
Con questa affermazione sembra consegnarci un testimone. Oriana non sta affidando il suo messaggio solo al “bambino mai nato”, ma a tutti noi che leggiamo e sentiamo le sue parole sfidanti rimbombarci nella testa come tuoni, tamburi o cannoni. E noi lettori non possiamo fare a meno di sentirci un po’ suoi figli dopo aver letto questa lettera: è come sei ci avesse portato in grembo, trasmesso i suoi pensieri e poi lasciati liberi di camminare nel mondo sulle nostre gambe.
Capiamo che non era soltanto la “lettera a un bambino mai nato”, era un messaggio nella bottiglia: una lettera al futuro. Un libro scritto da una donna, appunto, per tutte le donne.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Vorrei che tu fossi una donna”: la lettera di Oriana Fallaci da leggere l’8 marzo
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