“Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo è stata composta e pubblicata per la prima volta su una rivista nel 1946, per poi essere inserita nella raccolta Giorno dopo giorno del 1947.
La poesia è stata scritta in seguito all’armistizio con le truppe anglo-americane, durante l’occupazione nazista di Milano.
Con quest’opera Quasimodo si allontana definitivamente dall’Ermetismo e dal suo individualismo avvicinandosi a una poesia mirata alla riscoperta dei valori di una società collettiva. La riflessione di Quasimodo in questa poesia è volta al significato e al ruolo della poesia stessa, muta e priva di valore dinanzi all’orrore e al dolore provocati dalla guerra.
Andiamo ora a vedere la parafrasi di “Alle fronde dei salici” con il relativo testo e l’analisi.
“Alle fronde dei salici”: il testo
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
La parafrasi de “Alle fronde dei salici”
E come facevamo noi, poeti, a continuare a scrivere durante l’oppressione nazista, col piede degli stranieri sopra al nostro cuore, tra i morti abbandonati nelle piazze, sparsi sui prati congelati, col pianto innocente dei bambini, e l’urlo disperato della madre che cercava il figlio, impiccato a un palo del telegrafo?
Anche le nostre cetre, per un voto di silenzio, oscillavano appese inerti, al triste vento di guerra, appese alle fronde dei salici.
Analisi del testo di “Alle fronde dei salici”
Questa poesia, uno dei più celebri componimenti di Salvatore Quasimodo - se non il più celebre - è composta da dieci endecasillabi sciolti.
Come già accennato, questa poesia testimonia il passaggio dal Salvatore Quasimodo ermetista a quello del dopoguerra, fatto di testi concreti e calati nella storia, una poesia forgiata negli orrori della guerra vissuti dall’uomo.
Il tema affrontato ne “Alle fronde dei salici” è chiaro fin da subito: Quasimodo parla di come si vive da poeta durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo della resistenza ai tedeschi.
La poesia è stata costruita a partire da un passo biblico, il Salmo 136, che racconta degli israeliti che, deportati a Babilonia, si rifiutano di cantare lontani da casa loro.
Questo passo è contestualizzato nel recente passato di Quasimodo, che ha vissuto come tutti oppresso dall’invasore tedesco, costantemente circondato da dolore e morte. In questo contesto è impossibile per il popolo, per i poeti, abbandonarsi al canto e alla scrittura.
Nella poesia si passa da un io privato a un “noi” che sa di popolo, di disperazione condivisa.
Sul finale si intravede la riflessione sulla poesia in quella cetra appesa, poiché nemmeno i poeti possono più cantare; la poesia rimane impotente e sconcertata davanti alle brutture del conflitto mondiale. La guerra è letta solamente come l’invasione straniera, in questo caso, vista attraverso gli occhi delle tante vittime italiane e senza far riferimenti alcuno al Fascismo o alla Resistenza durante la guerra civile.
Questa poesia è la concretizzazione del cambio di direzione della poetica di Salvatore Quasimodo: per alcuni versi ci sono elementi che danno una continuità rispetto al vecchio sé, ma ciò che veramente cambia nel profondo sono i temi affrontati, molto più concreti e di natura sociale e civile. La concretezza la si trova anche nel linguaggio, una concretezza che era già visibile in poesie come "Ed è subito sera".
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A cura di Francesco Perri - 24/4/2020
La lirica di Salvatore Quasimodo, intitolata “Alle fronde dei salici”, viene pubblicata per la prima volta su una rivista, nel 1945. Successivamente, viene inserita nella raccolta “Giorno dopo giorno” (1947). L’indicazione delle date, sopra riportate, non riguarda solo il dato cronologico di pubblicazione della lirica, ma rappresenta un aspetto decisivo per cogliere il messaggio che la stessa lirica propone. Il mondo della guerra, oppresso e soffocato, triste e mai atteso, rievocato nel secondo verso del componimento con il piede straniero sopra il cuore. L’impulso derivato dalla storia rappresenta, pertanto, il punto da cui partire e da cui cercare di estrapolare, per quanto impossibile e difficile sia, il significato sotterraneo oltre che letterario e poetico che il componimento presenta al suo interno. L’evocazione di tragiche immagini della guerra è costante nel corso di tutta la lirica, soprattutto nei versi 3-4-5-6-7, ricordati e definiti dalla critica letteraria come tra i più pregnanti nel panorama della cultura novecentesca:
tra i morti abbandonati nelle piazze [...] al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?.
Sono scene di vita quotidiana, umile e sommessa, stravolte dall’atrocità e dalla crudeltà della guerra, tanto è che il palo del telegrafo, oggettivo materiale e concreto, diventa simbolo della crocifissione e della pietà dell’uomo, ora alienato, ora deturpato, ora battuto con cieca e inutile violenza da chi finge o crede, ancora più grave, di appartenere alla razza suprema del mondo (nota: Riferimento al nazismo. Difatti, il dato storico riguarda nello specifico l’occupazione di Milano da parte delle truppe naziste dopo il 25 luglio 1943, quando ebbe inizio la resistenza), in cui tutto è consentito, persino la possibilità di stabilire la morte altrui. Il pianto del fanciullo simile a quello di un agnello è utile, ancora una volta, per accentuare la crudeltà disumana delle sofferenze che colpiscono anche chi è indifeso, anche chi è innocente di fronte ai problemi dei grandi.
La compattezza, offerta dalle immagini e dalle emozioni contrastanti che ne derivano, aiuta a sottolineare la capacità propria dell’autore di convertire ogni cosa del reale da un piano naturalistico a un piano simbolico. Non si tratta di una capacità innata e congenita di Quasimodo, ma viene adesso fornita dall’impossibilità di dare spazio alla poesia, la quale non può offrire che il silenzio, nell’immagine delle “cetre” che oscillano, quasi in balia di se stesse,appese alle fronde dei salici, l’albero che rappresenta e simboleggia, in una versione di vera disumanizzazione, il pianto e il dolore. Il canto del poeta è un muto lamento, impotente di fronte all’orrore e la poesia, priva di ogni valore e di ogni significato, perde la sua ragione d’essere.
Ma c’è ancora una speranza, direbbe Leopardi, che del suo pessimismo ha fatto un inno alla vita, non una rassegnazione lamentosa e angosciosa, ma rivendicazione vigorosa del diritto alla vita, alla giustizia e anche alla felicità, come protesta e ribellione generosa ed eroica, per quanto disperata, contro tutte le forze ostili che soffocano quel bisogno naturale e spontaneo dell’umanità. Un bisogno ora ripreso da Quasimodo, riaggiornato a un nuovo esercizio poetico.
La prima persona plurale (‘noi’, ripresa al verso 9 dalle ‘nostre cetre’) indica e identifica il bisogno misto di speranza e umanità, a conferma di una direzione inedita della stessa poesia. Il ‘noi’ esprime con sguardo critico il valore, assoluto e incontrovertibile, della solidarietà, della compartecipazione e della condivisione non solo umana, ma universale. La guerra e i suoi effetti sono stati disastrosi per tutto il genere umano, ora piegato e asservito, opportunisticamente, al potere, alla logica spietata del potere, in cui assente risulta ogni gesto, ogni azione etica e morale, volta al bene dell’umanità.
In una tale prospettiva, Salvatore Quasimodo lancia il messaggio, sotterraneo e inatteso, della solidarietà, della possibilità di stringere i mortali in ‘social catena’, affinché la condivisione e l’unione tra gli uomini sulla terra possano alleviare il peso della sofferenza. Il peso, quello generato dalla sofferenza, difficilmente scomparirà tra gli uomini, difficilmente potrà essere cancellato. La ferita è profonda, il dolore di una madre per la perdita del proprio figlio è il segno di una vita ormai giunta al tramonto, alla fine, così come i morti tra le piazze rimangono senza vita, spezzato il loro cuore e scosso il loro agire. Il tentativo dell’autore allora potrebbe sembrare vano, insensato, ma non è cosi. L’irriducibilità stessa del tentativo porta Quasimodo a rivendicare il diritto umano di ogni uomo offeso dalla guerra a proclamare giustizia e umanità per uomini, perché di uomini si tratta, vinti sul piano sociale e terreno, vincitori su quello morale.
Il sentimento di fratellanza evidenzia, in una chiave di lettura più chiara, il fulcro del discorso, sviluppato in forme sempre più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore. Alle fronde dei salici diventa cosi l’umanizzazione di un sentimento di profonda commozione, simbolico, quasi divino.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alle fronde dei salici”: parafrasi e analisi del testo
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