Essere come l’Araba Fenice è un modo di dire che fa parte del linguaggio comune, una frase che tutti potremmo sentir pronunciare, senza conoscere precisi significato e origine.
L’espressione ha un significato profondo che trae origine da un antico mito ed è strettamente connesso al ciclo perpetuo e al senso stesso della vita e della morte.
A tutt’oggi l’esistenza reale della fenice, un uccello maestoso e dai colori incredibili, è tutt’altro che accertata ma, vera o di fantasia che fosse, non esiste una metafora altrettanto forte ed efficace della capacità di far fronte alle avversità e di superarle. Scopriamo origine e significato della frase.
Il mito dell’Araba fenice nelle culture antiche
Il mito dell’Araba fenice si perde nella notte dei tempi.
Nell’Antico Egitto era raffigurata come una sorta di airone rappresentante la divinità egizia Benu (o Bennu), mentre in Grecia aveva piuttosto le sembianze di un grande uccello tropicale.
"Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida degli Dei del Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch’io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino”.
Inoltre, se presso gli abitanti delle terre intorno al Nilo la sua caratteristica principale era quella di risorgere dalle acque, in seguito si affermò le versione che la vedeva rinascere dalle fiamme.
In ogni cultura, tuttavia, l’Araba fenice era considerata una creatura rara e preziosa; per i Greci in particolare, si distingueva per lo spettacolare piumaggio nelle sfumature dell’oro, dell’azzurro e del rosso porpora.
Erodoto ha fornito un racconto dettagliato del mito nel libro delle Storie dedicato all’Egitto (il secondo), descritta come un’aquila di grandi dimensioni, dalle piume variopinte:
C’è anche un altro uccello sacro, che ha nome fenice. Io per parte mia non l’ho visto se non dipinto, ché assai raramente appare tra loro, a quanto dicono gli Eliopolitani, ogni 500 anni; cioè quando gli muore il padre. Orbene, se è somigliante al dipinto, è di queste dimensioni e aspetto: alcune delle penne sono dorate, altre rosse; in complesso per forma e grandezza è assai simile a un’aquila. Si racconta che la fenice riesca a compiere questa impresa (però a mio parere dicono cose certo non degne di fede): partendo dall’Arabia, essa trasporterebbe nel tempio di Helios il padre, dopo averlo spalmato di mirra e lì lo seppellirebbe trasportandolo nel modo seguente: dapprima foggia un uovo di mirra grande quanto è in grado di portare, poi si prova a portarlo, e fatta la prova allora, svuotato l’interno dell’uovo, vi pone dentro il padre, e con l’altra mirra spalma quella parte dell’uovo dove, dopo averlo svuotato, ha posto il padre, in modo che l’uovo raggiunga lo stesso peso. Dopo averlo così avvolto lo trasporta in Egitto nel santuario di Helios. Questo affermano faccia la fenice.
Ad ogni modo, ancora oggi, l’esistenza dell’Araba fenice resta un mistero: a fronte di tanti che la ritengono il frutto della fantasia umana, qualcuno crede invece che il mito sia stato ispirato ad un uccello che viveva realmente nel territorio che corrisponde, all’incirca, all’attuale Yemen.
Nel corso dei secoli molti poeti, fra i quali Esiodo, Ovidio, Dante e Metastasio, hanno citato l’Araba fenice nelle proprie opere, mentre nella tradizione ebraica e in quella cristiana, essa simboleggia la resurrezione della carne.
L’Araba fenice è un simbolo molto amato e utilizzato oggi in Cina, dove è considerata l’emblema della prosperità e dell’armonia dell’universo.
Mito, simbologia e significato dell’Araba Fenice
Secondo il mito, l’Araba fenice, dopo essere vissuta per 500 anni, prima di morire costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma, metteva insieme piante profumate, si sdraiava al sole e attendeva che quest’ultimo la bruciasse.
Tutto diventava cenere quindi, ma proprio da essa, ad un certo punto, veniva fuori una piccola larva che, grazie al calore del sole, cresceva così in fretta da diventare, nell’arco di soli tre giorni, una nuova fenice, capace di volare fino ad Eliopoli e posarsi sull’albero sacro.
Il significato è chiaro: grazie al potere di risorgere dalle proprie ceneri, l’Araba fenice è, da sempre, il simbolo della resilienza, ovvero della capacità di sapere affrontare e superare le avversità. Il modo di dire Essere come l’Araba Fenice significa quindi essere capace di rialzarsi anche dopo le cadute, non essere sopraffatti dalle difficoltà anche immense che ci colpiscono, ma rinascere e tornare a splendere.
Morte e resurrezione, caduta e ripartenza, fallimento e rinascita: ecco cosa si cela dietro ad una delle leggende più antiche e conosciute a livello planetario.
Da sempre infatti, la fenice è sinonimo di forza; controllare il fuoco, in fondo, vuol dire essere praticamente indistruttibili, immortali.
In tal caso, la morte va intesa come fallimento, errore, difficoltà, mentre la resurrezione dalle proprie ceneri non è altro che l’attitudine a saper cogliere il lato positivo da ogni avversità, l’abilità di trarne insegnamento e sprone a ricominciare, a proseguire il cammino della vita.
Dopo una battuta d’arresto, non solo ci si può rialzare, ma se ne può uscire più vigorosi e consapevoli di prima.
L’Araba fenice in letteratura
La mitologica Araba fenice ha ispirato numerosi poeti e scrittori, che non hanno mancato di citarla nelle proprie opere.
Fra i versi più noti ed esaustivi ad essa dedicati, ci sono quelli di Pietro Metastasio, autore settecentesco, che in proposito scrive:
“È la fede degli amanti/ come l’araba Fenice,/ che vi sia ciascun lo dice,/ dove sia nessun lo sa. Se tu sai dov’ha ricetto,/ dove muore e torna in vita,/ me l’addita e ti prometto/ di serbar la fedeltà. ”.
Demetrio (1731)
Si tratta di un parallelismo tra il favoloso volatile e la fedeltà in amore: l’Araba fenice, in fondo, è qualcosa che tutti conoscono e menzionano pur senza averla mai vista.
Nelle Rime d’amore attribuite a Torquato Tasso, leggiamo:
Amorosa fenice,
Nel sol che solo adoro
Ardendo vivo e moro,
E morendo rinasco e volo e canto,
Fatto cigno canoro,
Il suo bel nome santo.
Amor, s’in altro lume
Arder non so le piume,
Perché de la mia donna augel mi fai
E non m’annidi in quel bel seno mai?
Nelle Metamorfosi, Ovidio scrive:
Tutti gli esseri viventi, comunque, traggono origine da altri;
l’unico a nascere riproducendosi da sé è un uccello
che gli Assiri chiamano fenice. Non di erbe o di frumento vive,
ma di lacrime d’incenso e stille d’amomo,
e quando giunge a cinque secoli di vita,
se ne va in cima a una tremula palma e con gli artigli,
col suo becco immacolato si costruisce un nido tra il fogliame.
E non appena sul fondo ha steso foglie di cassia, spighe
di nardo fragrante, cannella sminuzzata e bionda mirra,
vi si adagia e conclude la sua vita fra gli aromi.
Allora, si dice, dal corpo paterno rinasce un piccolo
di fenice, che è destinato a vivere altrettanti anni.
E quando l’età gli ha dato le forze per reggere alla fatica,
libera i rami sulla cima della pianta dal peso del nido,
religiosamente prende con sé la culla, sepolcro del padre,
e, giunto sull’alito dell’aria alla città di Iperione,
davanti alle porte sacre del suo tempio la posa.
Dante Alighieri scrive nel canto XXIV dell’Inferno:
Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.
Il leggendario uccello compare anche nei testi di:
- Giordano Bruno,
- Charles Baudelaire,
- William Shakespeare, che le dedicò il poemetto La fenice e la tortora.
La fenice e la tortora. Ediz. inglese e italiana
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Montale definisce la poesia come un’araba fenice:
«Che cos’è la poesia lirica? Per mio conto non saprei definire quest’araba fenice, questo mostro, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perché fatto di parole, questa strana convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sonno e della veglia».
(E. Montale, Sulla poesia. Milano, Mondadori, 1976, p. 171)
Ritroviamo la fenice anche nel libro (e film) Harry Potter e la Camera dei Segreti. Harry Potter la incontra per la prima volta nella stanza del preside Albus Silente:
«Vedi, Harry, Fanny è una Fenice. E le Fenici, quando è arrivato il momento di morire, prendono fuoco e poi rinascono dalle loro stesse ceneri.»
Una curiosità: il teatro La Fenice di Venezia è andato per ben due volte distrutto dalle fiamme (l’ultima volta nel 1996), ma è tornato “in vita” e al suo splendore originale grazie alle opere di ricostruzione. L’incendio del 1996 del teatro La Fenice è stato raccontato nel libro Flashover. Incendio a Venezia di Giorgio Falco (Einaudi, 2020). Per gli amanti della lettura, ricordiamo che il Teatro La Fenice ospita ogni anno la premiazione del vincitore del Premio Campiello.
Fonti e approfondimenti
Il mito della fenice in Oriente e in Occidente
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Le storie-La guerra del Peloponneso
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Fuoco. Magie, rituali, leggende
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Essere come l’Araba Fenice: dal mito al modo di dire. Origine e significato
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