L’espressione “dubbio amletico” è ormai entrata a far parte del linguaggio comune tanto da arrivare a designare lo stato d’incertezza per eccellenza, il dubbio supremo di difficile soluzione.
Per definizione è “amletico” un dilemma irresolubile che tormenta, angoscia e paralizza, ponendo spesso l’individuo di fronte a una scelta esistenziale.
Vi siete mai chiesti da dove deriva l’espressione “dubbio amletico”? E, soprattutto, se il famoso Amleto sia mai riuscito a risolvere il suo dubbio atroce?
Cosa vuol dire Essere o non essere?
La celebre espressione “dubbio amletico” deriva dalla tragedia di William Shakespeare Amleto, nel titolo originale inglese The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark: la tragedia di Amleto, principe di Danimarca (1600-1602).
Il celebre dubbio si identifica con una domanda precisa posta dal protagonista Amleto all’inizio di un lungo soliloquio, nella prima scena del terzo atto:
Essere, o non essere, questo è il dilemma/
To be, or not to be, that is the question.
(Scena I - Atto III)
Il dubbio di Amleto si fonda su un interrogativo esistenziale. La domanda di partenza è se sia meglio vivere soffrendo (essere) oppure ribellarsi rischiando di morire (non essere)
L’interrogativo dunque si fonda su una contrapposizione determinante tra i due termini presi in considerazione: “Essere/non essere”, ed è all’origine dell’indecisione che impedisce al protagonista di agire.
La domanda posta da Amleto dà avvio a un intenso dibattito - posto da Shakespeare sotto forma di monologo - sui vantaggi e gli svantaggi dell’esistenza. L’interrogativo assume presto una dimensione universale, venendo dunque a manifestare non solo il dubbio del protagonista, ma di ogni essere vivente su questa terra.
Il celebre monologo, considerato la punta di diamante della tragedia shakesperiana, è costellato di interrogativi senza soluzione. Amleto valuta tutte le possibili alternative senza tuttavia riuscire a individuare razionalmente la più giusta o adeguata.
Vediamo il testo integrale del monologo di Amleto che ci consente di contestualizzare l’espressione chiave del dubbio amletico “Essere o non essere”.
Essere o non essere: testo completo
Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’atroce fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, l’ingiuria dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione.
Essere o non essere: analisi e commento
Per contestualizzare la celebre frase è necessario spiegare l’antefatto che dà origine al monologo di Amleto.
Il protagonista della tragedia di Shakespeare è il principe Amleto, figlio del re di Danimarca. Una notte, Amleto vede apparire sugli spalti del castello di Elsinore lo spettro di suo padre. Il Re rivela quindi al figlio la verità sulla sua morte: racconta di essere stato avvelenato dal fratello Claudio che voleva impossessarsi della corona. Prima di svanire il fantasma chiede al figlio che sia fatta vendetta in suo nome.
È questa richiesta a scatenare la confusione e il tormento nella mente di Amleto. Nella prima scena del terzo atto il principe si interroga su cosa sia meglio fare, chiedendosi se sia giusto o meno vendicare la morte del padre.
Il giovane Amleto è paralizzato dall’incertezza e totalmente incapace di agire, dunque inscena un lungo monologo in cui a fare da protagonista è la ragione perfettamente presente a se stessa. Il soliloquio di Amleto infatti non è dettato dall’emozione momentanea o trascinante, ma governato dal raziocinio.
A differenza di come è stato erroneamente diffuso dalla tradizione popolare, nella tragedia Amleto non recita il monologo stringendo tra le mani il teschio Yorick che in realtà troverà successivamente, dopo la morte di Ofelia.
Per tutto il monologo il protagonista si strugge non sapendo scegliere tra l’“agire” e il “non agire” e presenta due posizioni filosofiche opposte: da un lato l’attitudine stoica che gli impone di sopportare tutto il male e le sfortune che capitano nel corso dell’esistenza, e dall’altra la morte, che porrebbe fine a tutte le sue sofferenze.
L’eroe shakesperiano riflette sul fatto che è proprio la capacità umana di pensare che blocca l’individuo poco prima dell’azione, portandolo a sopportare “le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell’oppressore” per timore dell’ignoto che vi è dopo la morte.
Se la morte fosse un lungo sonno, un quieto riposo o magari un sogno eterno, riflette Amleto, sarebbe di certo preferibile alla vita perché chi vorrebbe sopportare a lungo i fardelli e gli affanni dell’esistenza? Tuttavia l’uomo non è in grado di sapere cosa lo attenda oltre la tomba. È la coscienza quindi che impedisce all’essere umano di compiere gesti decisivi, azioni temerarie e ardimentose. È il pensiero, o meglio l’istinto di autoconservazione, che vuole tenere l’uomo al riparo della morte e impedirgli di mettere a repentaglio la propria vita.
È la vita che vince dunque, l’uomo è chiamato ad “essere” in nome della forza invisibile e tenace che governa esistenza.
Amleto non darà una vera risposta al suo monologo, non scioglierà mai il suo dubbio che permarrà eterno e insolubile. Ciò che frena Amleto è la viltà, il fatto di non conoscere le conseguenze ignote del suo gesto: la consapevolezza che l’atto di togliere la vita è considerato peccato ed è quindi punito da Dio.
L’intero monologo è fondato quindi sulla contrapposizione tra i due termini antitetici “essere/non essere” e ne elenca vantaggi e svantaggi.
Il monologo di Amleto viene interrotto da Ofelia che sta recitando delle preghiere. Amleto si rivolge dunque a lei come una ninfa, come spesso si usava nelle corti rinascimentali, e implora la gentile Ofelia di pregare per lui.
Il dubbio si chiude quindi con una preghiera, un accorato appello affinché qualcun altro - Dio presumibilmente - indichi la strada giusta da intraprendere.
Cosa intende Amleto per essere o non essere?
Essere non essere? Ogni lettore potrà trarre da sé le sue conclusioni e fare la propria scelta. Tra le righe si può intuire che vi è qualcosa di più: certo Amleto afferma che la vita è sofferenza, ma vi è in quel “To be” una forza intrinseca, superiore, che racchiude l’invito stesso a essere, inteso come “essere presenti” nel mondo.
Amleto nel suo lungo monologo non dà nessuna risposta concreta, ma di fatto alla fine sceglie di “essere” e dunque di agire, anziché porre fine alla propria vita. Deciderà di vendicare la morte del padre, sfidando infine in un ultimo sanguinoso duello il Re Claudio.
Recensione del libro
Amleto
di William Shakespeare
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Essere o non essere: testo e significato del dubbio amletico
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