

Oggi, 17 febbraio, ricorre l’anniversario della morte del filosofo Giordano Bruno che vogliamo ricordare con la poesia omonima dedicatagli da Trilussa all’inizio del Novecento. Giordano Bruno, come ci ricorda ancora la sua austera statua, fu arso vivo in Campo de’ Fiori 425 anni fa, il 17 febbraio del 1600, dopo esser stato condotto davanti al boia con tanto di mordacchia, per evitare che pronunciasse il suo blasfemo verbo.
Il filosofo aveva, infatti, sostenuto fino alla fine dei suoi giorni, senza alcuna intenzione di abiurare, che Dio coincidesse con la Natura, che Cristo avesse una natura solo umana e che la Trinità non avesse alcun senso.
C’è da chiedersi, però, perché l’ironico e scanzonato Trilussa gli abbia dedicato una poesia, lui che nella sua poesia era tanto lontano dalle speculazioni metafisiche, dalle sottigliezze teologiche, lui che usava il romanesco per parlare al popolo della Capitale, che sicuramente della filosofia si interessava poco.
Il rogo di Giordano Bruno è considerato, ancora oggi, uno degli attacchi più violenti e sconsiderati alla libertà di pensiero, l’imposizione di un’ortodossia che nulla concedeva alle opinioni dissonanti dal credo ufficiale della chiesa.
Se Giordano Bruno è diventato, allora, un alfiere postumo della libertà di pensiero, Trilussa ne fu, in vita, uno spassionato amante: la praticò con l’arte e fu il suo stile sornione e sbarazzino a salvarlo dalla gogna o dagli attacchi del regime. La libertà lui la mise in versi, ma senza mai cadere nell’invettiva accorata o nel ragionamento serioso, e anche quando scrisse un componimento su questo tema, ricorse al dialogo ironico tra due gatti per raccontare quali rischi si corressero a dissentire.
La libertà di pensiero, quella che ci garantisce anche l’articolo 21 della Costituzione, che Roberto Benigni, in un festival di Sanremo di un paio d’anni fa, definì come il più importante di tutti, era la grande passione di Trilussa, il leitmotiv che attraversa tutta la sua produzione: dietro alle azioni e alle parole di ogni buffo animale che popola il suo mondo poetico c’è un insegnamento, un monito, un messaggio morale al quale Trilussa non era disposto a rinunciare, per questo scelse di diffonderlo sotto le mentite spoglie di una favola scherzosa.
La libertà di pensiero che in Campo de’ Fiori, nel severo sguardo del nolano, trova una dei suoi simboli più evocativi, Trilussa l’avrebbe voluta regalare ai tanti volti anonimi che in quegli anni nutrivano le schiere del proletariato, aveva deciso di donarla con la sua lingua e la sua penna a tutti quelli che, durante il ventennio, la videro sfumare a poco a poco, perché, come Gaber, era convinto che libertà significasse partecipazione, dialettica e dialogo, e non conformismo o rinunciataria paura.
Riscopriamo allora testo, analisi e significato della poesia che Trilussa dedicò a Giordano Bruno, nell’anniversario della morte del filosofo.
Giordano Bruno di Trilussa: il testo della poesia
Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perché credeva ar libbero pensiero,
perché si un prete je diceva: - È vero -
lui rispondeva: - Nun è vero un corno! -Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pò fa’ più quer che je pare.In oggi co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi còr Governo.
Analisi e significato della poesia Giordano Bruno di Trilussa
Il componimento, scritto nel 1909 e inserito nella raccolta I sonetti, si apre con una metafora incisiva ed efficace, con la quale il filosofo è paragonato a un “abbacchio ar forno”: in romanesco è l’agnello molto tenero, da latte, che viene cotto intero. Un’immagine culinaria, quindi, che però ha una sua forza evocativa perché chiama in causa l’animale che nella Bibbia veniva più spesso immolato, con un sacrificio sanguinario e cruento, per chiedere la remissione dei peccati. Come il forno, il rogo è la fonte del calore che causa la morte, violenta e dolorosa, di Giordano Bruno.
Nel secondo verso è subito introdotto il vero tema della poesia, la libertà di pensiero che il filosofo difese ostinatamente fino al giorno della sua esecuzione: fu questa libertà, sconvolgente e inaccettabile quanto e più delle sue convinzioni filosofiche, ad essere il vero motivo della condanna.
Come dimostrano bene i versi successivi, resi più vividi e incisivi dal dialogo con un prete simbolo dell’ortodossia religiosa e di un potere che oltre a non ammettere contraddittorio si impone dall’alto della sua autorità, Giordano Bruno, con il suo carattere impetuoso e beffardo, lancia una sfida al dogmatismo. Egli non si preoccupa di contraddire l’Inquisizione che lo aveva sottoposto a un estenuante processo, gli si opponeva frontalmente con la forza della parola e delle sue idee e quando un ministro di Dio affermava una verità, lui la contestava, animato dallo spirito di ribellione e da quell’eroico furore che lo aveva portato cantare l’infinità dei mondi e dell’universo oltre che la divinità del mondo naturale.
Furono queste le idee rivoluzionarie che Bruno non rinnegò mai e che determinarono la Chiesa a bruciarlo: alla sua resistenza il Papa oppose un potere cieco e autoritario, che pretende di detenere una verità assoluta, non ammette il confronto intellettuale, tarpa le ali al libero pensiero ed esercita le sue reprimende con severità e rigore, con gli strumenti propri del potere spirituale (“scommuniche”) e con un arbitrio che non fatica a degenerare in violenza (“boja”), tipico di un potere pressoché assoluto.
La seconda parte del componimento riporta lo sguardo sul presente (“Adesso so’ antri tempi!”): un tempo apparente molto diverso dal Cinquecento perché la libertà di pensiero sembra aver fatto passi da gigante (“sta a cavallo”) e nessuno può più esercitare un potere illimitato.
Il finale della poesia non tarda, però, a smentire questa provvisoria verità, dal momento che qui Trilussa non risparmia un’ironica stoccata allo “spirito moderno”: se oggi al papa venisse voglia (“je criccasse”) di bruciar qualcuno gli basterebbe prendere accordi col governo. È la costatazione amara di un potere politico che all’occorrenza ancora usava una violenza indiscriminata: lo dimostrano bene i frequenti ricorsi allo stato d’assedio che erano impiegati in quegli anni per mantenere l’ordine pubblico, ma anche le cannonate che il generale Bava Beccaris non lesinò contro le barricate costruite a Milano, nel 1898, quando i manifestanti si ribellarono contro i bassi salari e l’aumento del costo del grano.
La poesia Giordano Bruno, in definitiva, con l’ironia incisiva che è tipica di Trilussa, è una chiara denuncia contro un potere che soffoca il libero pensiero, che ancora oggi conserva intatta la sua attualità, se consideriamo ai molti regimi che, in tutto il mondo, tentano di esercitare un potere occulto sui mezzi di informazione o di destabilizzarne le loro attività con la diffusione di informazioni capziose.
La figura di Giordano Bruno, d’altra parte, viene celebrata come quella di un martire del libero pensiero, diviene il prototipo del pensatore libero e fa di tutto il componimento un inno irriverente alla libertà intellettuale.
Analisi metrica e stilistica della poesia
Il componimento Giordano Bruno di Trilussa consta di quattro strofe di endecasillabi, strutturate nella forma metrica del sonetto: due quartine con schema rimico ABBA CDDC e due terzine con schema rimico EFE GFG.
L’uso del romanesco tradisce l’intenzione di rivolgersi a un pubblico quanto più ampio e variegato possibile; anche il linguaggio semplice e lo stile colloquiale, attestato dall’uso del discorso diretto, rivelano l’intento di comunicare un concetto alto e profondo come quello della libertà di pensiero, con un tono fresco e un linguaggio accessibile a tutti. Anche la drammaticità della vicenda del filosofo viene smorzata sia dal dialetto sia dalla sagace ironia che connota il componimento, fin dal primo verso.
Per quanto riguarda le figure retoriche possiamo notare che Trilussa usa una metafora potente (v. 1: “abbacchio”) per aprire il sonetto con un’immagine che impressiona, e allo stesso tempo diverte, il lettore. Mentre le prime due strofe hanno un ritmo più concitato, nelle ultime due terzine notiamo un ricorso all’enjambement che dilata l’andamento dei versi e risulta funzionale alle considerazioni sul tempo presente che vengono qui proposte, rivelando anche l’attualità del tema.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Giordano Bruno”: la poesia di Trilussa sulla libertà di pensiero
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