Il vero nome di Ignazio Silone era un nome placido, anonimo, ordinario in cui è quasi impossibile riconoscere uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano. Si chiamava Secondo Tranquilli.
Scopriamo l’avventurosa vita del grande scrittore di origine abruzzese che seppe reinventarsi in una nuova identità, dando alla letteratura il respiro rivoluzionario della politica.
Ignazio Silone: la vita
Col nome di battesimo di Secondo Tranquilli, Ignazio Silone nacque a Pescina, un paesino dell’Abruzzo, il 1° maggio del 1900. Era figlio di Paolo, un piccolo proprietario contadino, e di Marianna, sarta e tessitrice.
Il padre morì improvvisamente quando Secondino aveva appena undici anni, nel 1911. L’attività di famiglia gravò quindi sulle spalle del fratello maggiore Domenico che si occupò della lavorazione dei campi, mentre lui venne indirizzato agli studi ginnasiali presso il seminario diocesano. Ma presto il futuro scrittore fu costretto ad abbandonare gli studi a causa delle gravi ristrettezze economiche patite dalla famiglia.
Le sciagure per il giovane Secondo, tuttavia, non sono ancora finite. Nel 1915 un’altra disgrazia sconvolse la sua vita: il terremoto che travolge la Marsica il 13 gennaio 1915, uno dei maggiori sismi del Novecento che causò uno spropositato numero di vittime e devastò l’intera regione. Nel terribile evento Ignazio Silone perse quasi tutta la sua famiglia: si salvarono in due, lui e il fratello minore Romolo - che infatti Silone ebbe sempre molto caro, tanto da dedicargli numerose sue opere.
Dopo la tragedia i due orfani furono accolti in diversi istituti religiosi. La nonna decise infine di affidarli al collegio Pio X di Roma. Proprio qui il giovane Secondo conobbe colui che definì “uno strano prete”, Don Luigi Orione, presenza salvifica nella sua esistenza che prese a cuore l’istruzione del ragazzo. Fu Don Orione a salvarlo dalla vita di strada e a prendersi cura affettuosamente di lui e del fratellino Romolo.
Il futuro scrittore è tuttavia una testa calda, indisciplinata. Presto fugge alla protezione del prete per dedicarsi alla militanza politica. Tornato nella natale Pescina si iscrive all’Unione Giovanile Socialista, allineandosi alle posizioni di Gramsci.
Nel 1919 diviene segretario dell’Unione Socialista romana e alcuni anni dopo è tra i fondatori del Partito Comunista Italiano. In quegli anni Silone conobbe, durante un viaggio a Mosca come delegato, Lenin e Trotskij, ma fu deluso da quella che gli apparve come una evidente incapacità di dialogo. In questi anni si incrementa inoltre la sua attività di giornalista, come corrispondente per diverse testate, come Il Lavoratore, La Riscossa.
Nel frattempo l’Italia assiste all’inarrestabile ascesa del fascismo e di Benito Mussolini. L’attività giornalistica del giovane di origine abruzzese e la sua militanza politica appaiono subito indigeste al regime. Per sfuggire alla rappresaglia contro i comunisti, Silone è costretto a recarsi in esilio in Svizzera. Si trasferisce dapprima a Lugano, poi a Basilea.
Esule, braccato e senza mezzi di sostentamento Secondo Tranquilli trovò rifugio in ciò che sarebbe diventata la sua salvezza: la letteratura. Durante gli anni duri dell’esilio iniziò a scrivere il suo capolavoro Fontamara, completando la prima stesura dell’opera in pochi mesi. Quel libro lo avrebbe fatto rinascere al mondo come Ignazio Silone, confinando definitivamente il nome di Secondo Tranquilli nell’oblio.
La scrittura di Fontamara
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Nel 1929-31 durante il suo soggiorno presso la località svizzera di Ascona, Silone iniziò a dedicarsi a un progetto di romanzo. Decise di ambientare le vicende in un immaginario paesino dell’Abruzzo, chiamato Fontamara. Sulla scorta delle memorie della sua infanzia l’autore immaginò un gruppo di contadini, detti i “cafoni”, che decidono di ribellarsi ai potenti. La denuncia politica e sociale è evidente sin dalle prime pagine, così come la critica - non poi così velata - al regime fascista.
Le voci narranti dell’intera storia sono infatti gli unici tre superstiti della dura repressione operata dai fascisti. Silone si dedica alla scrittura con l’ardore dei sopravvissuti e la disperazione degli esuli. Era infatti convinto, all’epoca, di non avere ancora molto tempo da vivere.
In seguito, raccontando la genesi del romanzo in Uscita di sicurezza, scrisse:
Credevo di non aver più molto da vivere e allora mi misi a scrivere un racconto al quale posi il nome di Fontamara. Mi fabbricai da me un villaggio, col materiale degli amari ricordi e dell’immaginazione, e io stesso cominciai a viverci dentro. Ne risultò un racconto abbastanza semplice, anzi con delle pagine francamente rozze, ma per l’intensa nostalgia e amore che l’animava, commosse lettori di vari paesi in misura per me inattesa.
Il libro fu pubblicato nel 1933 a Zurigo, grazie all’appoggio della scrittrice Aline Valangin, all’epoca compagna di Silone. Fontamara ebbe un inatteso successo internazionale che consacrò il nome di Ignazio Silone sugli altari della grande letteratura. L’anno successivo fu la volta del saggio politico Il fascismo. Origini e sviluppo.
Il secondo romanzo di Silone, Pane e vino, fu pubblicato nel 1936 e ricevette gli omaggi di Thomas Mann e Albert Camus. In breve tempo Ignazio Silone divenne un intellettuale di primo piano sulla scena letteraria europea.
Ignazio Silone: il ritorno in Italia e gli ultimi anni
Il 13 ottobre 1944, dopo anni di esilio, Ignazio Silone fece finalmente ritorno in Italia riavvicinandosi alla politica grazie all’appoggio del socialista Pietro Nenni. Inizia a lavorare come direttore dell’edizione romana dell’Avanti!.
Nel 1949 la casa editrice Mondadori pubblica il suo capolavoro Fontamara, cui fanno seguito tutte le opere dello scrittore.
Due anni dopo Silone scrive Una manciata di more (1952), un atto d’accusa nei confronti del comunismo che ormai stato fagocitato dalla prospettiva bolscevica, perdendo di vista i diritti degli operai. Nel 1965 è la volta di Uscita di sicurezza, una sorta di “diario politico” che lo consacrò definitivamente agli occhi della critica nazionale. È ormai un intellettuale affermato, viene chiamato nominato presidente di giuria alla Mostra del cinema di Venezia nel 1954.
Nel 1966 riceve la laurea honoris causa a Yale, negli Stati Uniti; uno dei molti riconoscimenti che gli saranno tributati in omaggio alle sue opere.
Ignazio Silone trascorse gli ultimi anni nella sua casa romana di via Villa Ricotti, lavorando e scrivendo, accanto alla moglie Darina Laracy - che era stata corrispondente irlandese per il New York Herald Tribune.
Nel 1971 lo scrittore iniziò a soffrire di problemi di salute. Il 22 agosto 1978 si spense nella clinica di Ginevra dove era stato ricoverato.
Tre anni dopo venne dato alle stampe il suo ultimo romanzo, Severina, pubblicato postumo nel 1981.
L’opera più celebre di Ignazio Silone rimane tuttora il capolavoro indiscusso Fontamara - che a quasi novant’anni dalla sua prima pubblicazione - non ha ancora cessato di dire ciò che ha da dire. Fontamara parla della necessità di ribellarsi alle ingiustizie, alle violenze, ai soprusi compiuti dai più forti ai danni dei più deboli. Parla della necessità di estirpare il cancro del fascismo. E, non da ultimo, del tenace amore di Ignazio Silone per la “parola scritta” in cui lo scrittore vedeva un efficace strumento di ribellione e di redenzione; un’arma imprescindibile di lotta politica e intellettuale.
Recensione del libro
Fontamara
di Ignazio Silone
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ignazio Silone: vita e opere dell’autore di “Fontamara”
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