È considerato il melodramma simbolo dell’Opera italiana, ma le sue origini provengono da Oltralpe. Il Rigoletto , che inaugura la stagione lirica padovana 2022, è la prima opera della cosiddetta Trilogia Popolare di Giuseppe Verdi seguita da Il Trovatore e La Traviata.
Un dramma sulla fragilità umana che narra di passione e tradimento, gelosia e vendetta, soprattutto di solitudine. L’intensa potenza drammatica della trama, unita alla ricchezza melodica delle note, ne hanno fatto un capolavoro.
Lo stesso Verdi la definiva “la mia opera più bella” - e non a torto. Il Rigoletto andò in scena per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia l’11 marzo 1851 e fu un successo clamoroso capace di rivoluzionare la tradizione lirica italiana.
Il libretto dell’opera fu redatto da Francesco Maria Piave che si ispirò a un dramma dello scrittore francese Victor Hugo, intitolato Le roi s’amuse (Il re si diverte, Ndr). Il dramma di Hugo, scritto nel 1832, era stato censurato in patria per il modo in cui offendeva la corte di Francia descrivendo i comportamenti dissoluti e libertini del Re.
Vent’anni dopo il tema fu ripreso da Giuseppe Verdi che era rimasto folgorato dal lavoro di Hugo. Verdi si proponeva di mantenere l’ambientazione francese dell’opera e intitolarla La maledizione di Vallier; ma, in seguito, per non incappare in ulteriori problemi di censura la scena fu spostata a Mantova e il discusso Re al centro della pièce divenne dunque il Duca.
Il Rigoletto nel dramma di Victor Hugo
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Nell’opera originale di Victor Hugo, che ebbe un’unica rappresentazione il 22 novembre 1832 alla Comédie-Francaise di Parigi, il protagonista si chiamava Triboulet. Costui, un uomo gobbo e incattivito dagli screzi della vita, era il buffone di corte di Re Francesco I e suo consigliere fidato.
Nel dramma Le roi s’amuse l’uomo tiene l’amata figlia Blanche segregata in casa, poiché teme che la sua bellezza la renda un bersaglio facile per il re, che è un incorreggibile sciupafemmine. Per Triboulet la figlia, avuta dall’amatissima moglie morta prematuramente “una donna simile ad un angelo”, è la luce dei suoi occhi e un tesoro da preservare e custodire dalla corruzione della corte.
Victor Hugo in questo dramma in cinque atti riprendeva tematiche care alla sua produzione letteraria: non è infatti difficile scorgere in Triboulet un riflesso di Quasimodo, il campanaro di Notre-Dame de Paris, o ancora di Gwynplaine il protagonista de L’uomo che ride.
Temi e personaggi dell’originale francese, come vedremo, sono gli stessi traslati dall’opera di Verdi in un’ambientazione italiana: dalle rive della Senna al ducato di Mantova. La vicenda immaginata da Hugo si svolge correndo lungo il filo di lama del dramma sino all’inevitabile tragedia finale.
La giovane Blanche tiene nascosto al padre, conoscendo la sua folle gelosia, di essersi innamorata di un uomo conosciuto in chiesa durante la sua unica uscita domenicale. Ovviamente non immagina che l’uomo in questione sia il Re in persona. Sarà proprio Francesco I a far rapire la ragazza con la complicità di alcuni cortigiani. Gli uomini credono che la bella Blanche sia in realtà l’amante del giullare che costui tiene nascosta come un prigioniera: la prendono con la forza per fargli un torto e vendicarsi delle sue beffe. Triboulet realizza ciò che è successo troppo tardi: l’amata figlia è sparita.
Quando riuscirà finalmente a riabbracciare Blanche il giullare scoprirà che la ragazza è stata violata dal re che l’ha portata con sé negli appartamenti reali. Folle di rabbia Triboulet giura vendetta contro il sovrano e si propone di ucciderlo. Assolda quindi un sicario, Saltabadil, per commissionargli il regicidio. Qualcosa tuttavia va storto: la sorella del sicario è innamorata del Re e prega Saltabadil di non ucciderlo ma di sostituire il cadavere con un’altra vittima. A sacrificarsi per amore del Re sarà proprio Blanche che, dopo aver origliato il discorso, viene uccisa da Saltabadil.
Il sicario consegna quindi il cadavere a Triboulet proponendosi di gettarlo nella Senna. Il giullare tuttavia, avvinto da un sospetto, insiste per voler guardare il corpo per verificare che la vittima sia proprio un re. Così, mentre un fulmine illumina il cielo, Triboulet scopre che il corpo appartiene all’amata figlia Blanche. Costei, ancora in vita, spira tra le braccia del padre chiedendogli perdono.
Il giullare, inorridito e travolto da un dolore inenarrabile, inizia ad urlare affermando di aver ucciso la sua stessa figlia. La folla, richiamata dalle atroci grida, lo scambia per il vero assassino. Sarà una donna a fermarli, spiegando l’equivoco, ma ormai è troppo tardi: Triboulet si ritiene realmente colpevole di quella morte.
Le roi s’amuse di Victor Hugo fu censurato in Francia e divenne un vero e proprio caso giudiziario. I censori videro nel personaggio del Re Francesco I una caricatura, neanche troppo velata, del re di Francia Luigi Filippo. Un decreto censurò l’opera e Victor Hugo perse la causa, condannato a pagare anche le spese processuali. Gli fu impedito di mettere in scena Le roi s’amuse per i successivi cinquant’anni. Il dramma tornò nei teatri francesi in una seconda rappresentazione, nel 1882, ma non riscosse molto successo. A quei tempi invece la sua versione italiana, Il Rigoletto, era già un successo internazionale.
Il Rigoletto: la trama dell’opera di Verdi
Giuseppe Verdi fu rapito dal dramma di Victor Hugo. Nel 1844 inviò una lettera a Francesco Maria Piave esprimendo la sua intenzione di musicare “un’opera che aveva destato molto scalpore in Francia”. Non fu affatto semplice tuttavia sfuggire alle maglie della censura. Lo stesso direttore della Fenice di Venezia, Carlo Marzari, affermò che non era possibile rappresentare un uomo illustre, addirittura un Re, come un libertino impenitente.
Verdi e il librettista Piave dunque si ingegnarono per modificare l’opera originale di Hugo e riadattarla in modo che potesse essere camuffata sotto mentite spoglie e trovare spazio di rappresentazione.
In primo luogo fu cambiata l’ambientazione dell’opera: da Parigi alla Mantova del XVI secolo. Il re Francesco I divenne quindi il Duca. Verdi poi decise di focalizzare il dramma non tanto sul personaggio del re libertino quanto sulla figura del buffone di corte. Il nome del protagonista fu modificato in Rigoletto, dal francese “rigoler” che significa “scherzare”. La figlia Blanche venne ribattezzata Gilda; il sicario Saltabadil divenne il feroce Sparafucile e sua sorella Maugelonne prese il nome di Maddalena.
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Nel saggio Un caso di censura. Il Rigoletto (Mondadori, 2022) il celebre critico e studioso di storia della letteratura, Mario Lavagetto, racconta le peripezie di Verdi nel tentativo di evitare le grinfie della censura austriaca rielaborando il testo dal modello francese. Il compositore dovette inoltre insistere con ogni mezzo inoltre per salvaguardare la scena finale dell’opera, che lui considerava giustamente di importanza capitale, in cui il corpo della giovane Gilda ferita a morte veniva portato sul palco dentro un sacco.
Verdi si impuntò in ogni modo per ottenere la messa in scena dell’opera: modificò il titolo, che secondo le sue intenzioni doveva essere La maledizione di Vallier e poi ancora Il Duca di Vendome. Infine il compositore fu costretto, per cause di forza maggiore, a concentrarsi sul personaggio principale dell’opera ovvero il gobbo buffone di corte, Il Rigoletto, per l’appunto. Sarebbe stato proprio questo personaggio bizzarro, tormentato e inconsueto a dare il nome all’intera opera.
Il melodramma di Verdi, in fondo, si concentra soprattutto sul dramma della solitudine di quest’uomo emarginato che nessuno avrebbe mai potuto prendere sul serio per le sue fattezze e per il suo ruolo di buffone di corte. Una vittima che diventa carnefice, un personaggio deforme perché imbruttito e incattivito dalla vita, la cui realtà si distorce in modo inaspettato diventando anch’essa deforme come il suo corpo.
Il dramma di Verdi si apre con una sontuosa festa all’interno di Palazzo Ducale nel quale il giullare Rigoletto si fa beffe della contessa di Ceprano e del marito di lei per compiacere il Re, attirandosi tuttavia le ire della corte. Presente alla festa c’è anche il Conte di Marullo che rivela alla corte un sordido pettegolezzo: che il giullare ha una giovane amante che tiene prigioniera nelle sue stanze. Il pettegolezzo scatena quindi le fantasie dei cortigiani che già premeditano di far pagare caro al buffone le sue beffe alla corte di Mantova.
La “maledizione” - che in origine doveva dare il titolo al dramma - è uno dei temi che più ricorrono nell’opera di Verdi sin dal preludio. Rigoletto è come perseguitato da quest’aria che sembra accompagnarlo senza tregua come un cattivo presagio.
Tra le arie più rappresentative del Rigoletto di Giuseppe Verdi ricordiamo Cortigiani, vil razza dannata, che riassume in qualche modo la chiave di lettura dell’intera opera da intendersi come una critica feroce della monarchia e della nobiltà, e la celeberrima La donna è mobile cantata dal Duca libertino.
Nel narrare la storia del “suo” Rigoletto, Giuseppe Verdi decise di concentrarsi soprattutto sul dramma umano del protagonista. Non c’è redenzione per il giullare di corte che nel finale non viene punito con la morte, ma con la perdita di ciò che gli è più caro al mondo. Nessun personaggio si salva alla fine, ognuno è irrimediabilmente perduto in se stesso: l’egoista Duca di Mantova che non trova mai appagamento alla sua ricerca, la bella Gilda perde la sua purezza, lo stesso Rigoletto sprofonda negli abissi del nulla dopo aver smarrito la sua ragione di vita. Soli sono persino i cortigiani che si affannano a trovare nel gruppo, dunque nella sicurezza della corte, un brandello della loro identità, un’illusione di appartenenza.
Attraverso una vicenda che, a ben vedere, non è dramma individuale ma collettivo, Giuseppe Verdi riesce a fotografare una condizione di disagio in cui l’uomo contemporaneo può ancora facilmente rispecchiarsi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il Rigoletto”: dal dramma di Victor Hugo all’opera di Giuseppe Verdi
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