Fazi nella collana Le Strade ha rieditato “La felicità domestica” (2018, pp. 150, euro 17,00, titolo originale Semejnoe sčastie, traduzione dal russo di Clemente Rebora), romanzo che lo scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale russo Lev Tolstoj (Jàsnaja Poljàna, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910) scrisse a Jàsnaja Poljàna nel 1859.
Pubblicato inizialmente sulla rivista Russkij vestnik, questo romanzo giovanile redatto da un Tolstoj trentaduenne, tratta il delicato argomento dei rapporti coniugali con una finezza e un senso d’inquietudine certamente moderni e anticipatori. Narrato in prima persona adottando il punto di vista femminile, in queste pagine per la prima volta l’autore di “Guerra e Pace” e di “Anna Karenina” si cala nelle vesti di Mashechka una giovane donna diciassettenne.
“Noi si conduceva un tetro e triste inverno nella nostra vecchia casa di Pokròvskoie. Il tempo era freddo, ventoso tanto che i cumuli di neve s’andavano impennando più su delle finestre: quasi sempre gelate e fosche le finestre”.
La vita monotona di Mashechka cambia quando a marzo, alla fine di un gelido inverno, appare in scena Sergey Mikhaylych, un uomo trentaseienne, vecchio conoscente “e amico del mio povero padre, quantunque assai più giovane di lui”. Dopo un fidanzamento alquanto combattuto, Mashechka e Sergey si sposano per trasferirsi subito dopo nella casa di lui. Ben presto però la giovane sposa scopre che la vita coniugale e i propri sentimenti nei confronti del marito sono molto più complessi di quanto immaginasse e hanno ben poco a che fare con le nozioni di “vita matrimoniale” che le erano state insegnate da bambina.
Con grande finezza e con una prospettiva molto moderna, Lev Tolstoj affronta il tema delle incomprensioni, dei difficili equilibri di coppia, delle incrinature sempre più profonde dei rapporti coniugali e di come sfocino nel distacco e nell’indifferenza reciproca.
“Io nutrivo un sentimento, non mai provato, di orgoglio e sufficienza, quando, entrando al ballo, tutti gli occhi si rivolgevano su me, mentre lui invece, quasi vergognasse di palesare davanti alla folla che io ero cosa sua, si affrettava a lasciarmi, e si perdeva nella nera frotta delle marsine”.
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