

Datato 13 Gennaio 1778, S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo è forse il più accorato dei sonetti che Vittorio Alfieri dedicò a Luisa Stolberg contessa d’Albany, grande amore della sua vita.
Vi si descrive un sentimento appassionato e puro, talmente forte da non poter essere espresso a parole, poiché neanche lontanamente riuscirebbero a renderne l’intensità e l’ardore.
In effetti la lunga relazione che legò l’artista e la nobildonna fu realmente sincera e totalizzante sebbene, forse anche a causa dell’indole perennemente inquieta di lui, piuttosto turbolenta e non priva di difficoltà; tuttavia le poesie di Alfieri testimoniano in maniera inoppugnabile l’autenticità di un amore che merita di essere ricordato al di là e al di sopra delle barriere imposte dal tempo e dallo spazio.
S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo è il sonetto XXIII delle Rime: di seguito testo. parafrasi, analisi e significato.
“S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo”: testo del sonetto XXIII di Vittorio Alfieri
S’io t’amo? oh donna! io nol diria volendo.
Voce esprimer può mai quanta m’inspiri
Dolcezza al cor, quando pietosa giri
Ver me tue luci, ove alti sensi apprendo?S’io t’amo? E il chiedi? e nol dich’io tacendo?
E non tel dicon miei lunghi sospiri;
E l’alma afflitta mia, che par che spiri,
Mentre dal tuo bel ciglio immobil pendo?E non tel dice ad ogni istante il pianto,
Cui di speranza e di temenza misto,
Versare a un tempo, e raffrenare io bramo?Tutto tel dice in me: mia lingua intanto
Sola tel tace, perchè il cor s’è avvisto,
Ch’a quel ch’ei sente, è un nulla il dirti: Io t’amo.
“S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo”: parafrasi
Se io ti amo? Oh donna! Io non riuscirei a dirlo neanche se lo volessi!
Come potrebbero le parole esprimere la dolcezza che mi infondi nel cuore,
quando piena di devozione rivolgi
verso di me i tuoi occhi, da cui apprendo sentimenti profondi?
Se io ti amo? E lo chiedi? E non te lo dico anche tacendo?
E non te lo dicono i miei lunghi sospiri;
E la mia anima afflitta, che sembra che muoia,
mentre pendo immobile dal tuo sguardo?
E non te lo dice in ogni momento il pianto,
che misto di speranza e di timore,
desidero allo stesso tempo versare e frenare?
Tutto in me te lo dice: soltanto la mia lingua intanto
non te lo dice, perché il cuore ha capito,
che rispetto a ciò che sente, è un nulla il dirti: Io ti amo.
“S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo”: metrica, stile e gli influssi petracheschi e danteschi
Il sonetto XXIII delle Rime, identificato anche con l’incipit S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo, si inserisce perfettamente nel classicismo metrico e stilistico che caratterizza l’intera raccolta.
Alla struttura compositiva tradizionale, tuttavia, fa da contraltare la modernità del contenuto, fortemente autobiografico, da cui si evidenzia la personalità straripante e decisamente fuori dalle righe dell’autore.
Dal modello di base, il Canzoniere di Francesco Petrarca, l’astigiano riprende ritmi e vocaboli (ad esempio luci per occhi), ma la drammaticità che vi infonde, che si palesa nelle continue fratture, negli incisi e in alcune movenze dialogiche, è del tutto personale.
Le Rime inoltre, a differenza del Canzoniere, non presentano un’intelaiatura unitaria, bensì ogni poesia che le compone si può considerare il piccolo capitolo di un più ampio diario esistenziale in cui sono annotati sentimenti e gesti quotidiani e nel quale l’autore non si evidenzia, come avviene per Petrarca nel Canzoniere, come figura emblematica, ma si muove tra personaggi ed eventi comuni.
In S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo così come in tutte le liriche d’amore dedicate alla d’Albany, la relazione fra i due
"non assume il carattere di vicenda tipica di peccato e di redenzione, ma è una storia d’amore come le altre, espressa con semplicità, quasi un grido dell’animo appassionato" (Guido Nicastro).
Presenti nel testo anche echi danteschi (ad esempio dolcezza al cor come Dolcezza al core nella Vita nova).
L’amore senza tempo tra Alfieri e la contessa d’Albany
Sarebbe impossibile comprendere appieno l’afflato amoroso che emana dai versi di S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo senza spendere qualche parola su quanto sappiamo della relazione che legò Alfieri e la d’Albany.
Stando alle cronache, fra loro si verificò il più canonico dei colpi di fulmine sin dal primo incontro, avvenuto a Firenze nel 1777.
All’epoca però, Luisa di Stolberg-Gedern era la moglie di Carlo Edoardo Stuart, pretendente giacobita ai troni inglese e scozzese.
Nonostante le oggettive difficoltà, perdutamente innamorati l’uno dell’altra, i due amanti escogitarono ogni genere di stratagemma per vedersi fino a quando lei, per intercessione del re di Svezia Gustavo III, riuscì ad ottenere il divorzio dal marito.
Da quel momento in poi la coppia visse più o meno apertamente la relazione, condividendo la stessa casa prima a Roma poi a Parigi, dove la contessa riunì nel circolo culturale in Rue de Bourgogne i più illustri letterati e artisti dell’epoca.
Nel 1791, per sfuggire alla furia giacobina, Alfieri e d’Albany tornarono a Firenze e lei divenne la musa ispiratrice del compagno, che però non volle mai sposare.
Quando Alfieri morì prematuramente nel 1803, colei che era stata "la persona che ho sovra ogni cosa venerata e amata" e "la mia unica donna", commissionò ad Antonio Canova lo spettacolare monumento funebre marmoreo in Santa Croce nel quale a tutt’oggi il poeta riposa.
"La dolce metà di me stesso", come pure dolcemente l’artista la definì, lo raggiunse un ventennio più tardi, nel 1824, proprio lì, nella stessa chiesa fiorentina dove la tomba neorinascimentale di Luigi Giovannozzi e Emilio Santarelli ne custodisce le spoglie.
“S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo”: analisi e significato del sonetto
Il sonetto XXIII si apre con una domanda che sembra essere il prosieguo di un colloquio amoroso già iniziato.
Dopo che la compagna gli ha rimproverato una certa ritrosia nell’esternare e nel comunicare i propri sentimenti, Alfieri dimostra che, come tutti i poeti, sa esprimersi meglio in versi che a voce.
Attraverso di essi, infatti, mette a nudo ciò che prova e che gli è difficile manifestare in altro modo.
Le parole, dice, non servono, perché non sarebbero mai capaci di rendere la grandezza dell’amore che sente. Ci riescono, invece, i gesti e le emozioni che da essi inequivocabilmente trapelano.
Gli atteggiamenti degli innamorati sempre rivelano all’esterno l’affetto e la passione che si hanno dentro di sé. E così, più delle parole non dette, dicono i lunghi sospiri, i pianti, i silenzi, le speranze, i timori e l’estrema dolcezza che lo sguardo dell’amata gli infonde nel cuore.
Per dichiararsi alla donna, Alfieri usa un lessico colto ma non ricercato, privo di inutili preziosismi, che si articola lungo una sintassi piana e prosastica, una scelta che gli evita di cedere alla banalità e al melodramma consegnandoci una poesia d’amore perfettamente riuscita sia sotto l’aspetto formale che contenutistico.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “S’io t’amo? Oh donna! Io nol dirìa volendo”, il sonetto d’amore di Vittorio Alfieri per la contessa d’Albany
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Vittorio Alfieri Poesia Storia della letteratura News Libri
Lascia il tuo commento