Aveva uno sguardo che ti spogliava Ingeborg Bachmann, ce lo restituisce in tutte le fotografie in bianco e nero in cui appare con quel suo viso affilato e nudo, e nelle sue poesie dirette, scritte sempre a nervi scoperti.
Aveva iniziato a scrivere da giovanissima tenendo un diario che divenne il suo unico scudo per far fronte agli anni difficilissimi del nazismo. A dodici anni Ingeborg veniva strappata dalla sua Carinzia bucolica dalla guerra di Hitler: fu la sua prima, consapevole, perdita dell’innocenza e ciò che la condusse ad abbracciare la letteratura come un rifugio dell’anima.
“Die denkende Dichterin”, la poetessa pensatrice, così la chiamarono in seguito i suoi lettori tedeschi: di certo una definizione appropriata per spiegare il disordine, lo straniamento e l’inquietudine che Bachmann sapeva soggiogare solo attraverso il potere, da lei ritenuto assoluto, della parola.
Scopriamo la vita e le opere della grande poetessa del Novecento.
Ingeborg Bachman: la vita
Nacque in Carinzia, nell’estremo sud dell’Austria, il 25 giugno 1926. Nel 1945 lasciò la casa dei genitori e dopo un anno di studi a Innsbruck e a Graz si trasferì a Vienna dove conseguì la laurea in filosofia. Durante gli studi aveva iniziato a comporre poesie e radiodrammi.
Nel 1948 Ingeborg incontrò il già noto poeta Paul Celan, sopravvissuto alla Shoah e alla distruzione della sua famiglia, fu un incontro che segnerà profondamente entrambi. Vivranno brevi ma intense settimane d’amore che lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
Nel 1953, a soli ventisette anni, ottenne il premio al congresso del “Gruppo 47” per la raccolta di poesie Il tempo dilazionato. Nello stesso anno partì per l’Italia che sarebbe diventata la sua patria d’elezione: in Austria non sarebbe mai più ritornata se non per brevi visite.
A Ischia, dove soggiornò con il compositore Hans Werner Henze, Bachmann scrisse la raccolta Invocazione all’Orsa maggiore con il quale avrebbe vinto il Premio Letterario della Città di Brema.
Nell’autunno dello stesso anno Ingeborg decise di trasferirsi a Roma, quella che sarebbe diventata la città amatissima della sua vita. Lo fece per necessità e per bisogno di guadagno, ma mai scelta fu più felice. Iniziò a lavorare come corrispondente per alcuni giornali tedeschi, nel frattempo si inserì nei circoli letterari romani di cui divenne un membro fondamentale. In seguito avrebbe descritto gli anni romani come “Doppelleben”, la sua doppia vita: viveva nel cuore della città eterna eppure ambientava i suoi racconti, i suoi romanzi sempre in Austria.
Tradusse in tedesco le poesie di Giuseppe Ungaretti, scrisse saggi sulla letteratura italiana, conobbe Elsa Morante e Giorgio Manganelli. Furono anni di grande fervore creativo in quella che lei stessa definiva come la “città utopica”.
Nel 1957 Ingeborg Bachmann lasciò Roma per alcuni anni. Si trasferì a Monaco di Baviera dove accettò un lavoro come drammaturgo per la televisione. In quegli anni conobbe lo scrittore svizzero Max Frisch al quale fu legata in una relazione sentimentale molto movimentata fino al 1962. Fu soltanto dopo la rottura con Frisch che nel 1966 decise di ritornare definitivamente a Roma, la sua “città aperta”.
Si trasferì in Via Giulia 66 dove visse fino alla morte. Negli ultimi anni soffrì di gravi problemi di salute dovuti alla sua farmacodipendenza, ma nonostante ciò continuò a lavorare indefessamente e a dedicarsi alla scrittura. Non poteva saperlo, ma la sua vita si avviava verso un epilogo tragico.
La sera del 26 settembre 1973, nella sua casa romana, Ingeborg Bachmann incendiò accidentalmente la sua vestaglia di nylon con la brace della propria sigaretta durante un attacco di torpore, forse indotto dai barbiturici che stava assumendo. Fu soccorsa da Maria Teofili, sua amica e padrona di casa, che la portò immediatamente in ospedale. Si racconta che quel tragico giorno Teofili non trovasse il passaporto di Bachmann e data l’urgenza della situazione decise di prendere una copia del suo libro Malina e di portare quella per identificarla, ritenendo fosse meglio di una carta di identità.
Ogni tentativo di salvarla tuttavia si rivelò inutile e vano: i danni subiti erano troppo gravi, alle ustioni si aggiunsero problemi e disfunzioni ai reni. Dopo giorni di agonia Ingeborg Bachmann si spense il successivo 17 ottobre. Moriva a soli 47 anni la grande “poetessa pensatrice” del Novecento.
Ingeborg Bachmann: opere e poetica
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Ingeborg Bachmann è ora riconosciuta come una delle voci più importanti della poesia tedesca del Novecento, fulcro dell’avanguardia letteraria tedesca. Tra le sue raccolte principali ricordiamo Il tempo dilazionato (1953) e Invocazione all’Orsa Maggiore (1956).
Tra le opere di narrativa più significative vi è il romanzo Malina (1971), edito da Adelphi. Un’opera strettamente autobiografica nella quale Bachmann cercò di esorcizzare la fine di un amore spezzato come una promessa infranta. Fu un libro poco amato dalla critica, che lo giudicò astruso e pretenzioso, ma apprezzato dal pubblico che innalzò al livello di un bestseller. Malina è considerata la summa della sua produzione letteraria: il primo romanzo del ciclo Todesarten (Modi di morire, Ndr), una serie di romanzi che dovevano avere come tema la morte dovuta alla società, che tuttavia rimase incompiuto.
Nella sua vasta produzione di racconti e saggi ricordiamo i celebri Tre sentieri per il lago (1972), Il trentesimo anno (1962), Il sorriso della sfinge. Tra i tanti radiodrammi, Il buon Dio di Manhattan (1961).
Aveva scritto del lutto, della pazzia, dell’amore e della morte, ma più di tutto della nostalgia. Dev’essere un sentimento che accomuna coloro che sono nati circondati dalle montagne e poi se ne allontanano per scoprire nuove geografie che hanno il sapore di un viaggio utopico.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ingeborg Bachmann: vita e opere della “poetessa pensatrice” del Novecento
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