Alida Airaghi intervista il professor Rodolfo Zucco, critico letterario, docente universitario, poeta e curatore di libri.
- Qual è stato il suo percorso di studi? Seguendo quale vocazione si è dedicato all’approfondimento della letteratura italiana?
Ho deciso che mi sarei iscritto a Lettere a diciassette anni. Ricordo di aver dato la notizia a mio padre con qualche titubanza, perché lui – impiegato in uno studio notarile – mi immaginava geometra. Non che fosse deluso, perché aveva avuto, da giovane, ambizioni artistiche (aveva praticato la pittura, da dilettante) ed era rimasto un appassionato di arte e di antiquariato. Quanto a me, scelta del corso di laurea a parte, avevo le idee confuse. E rimasero confuse fino al giorno in cui un compagno mi invitò a una lezione di Fernando Bandini, che insegnava, a Padova, Stilistica e metrica italiana. A quel punto – con la frequentazione del Circolo filologico, i seminari e le lezioni di Mengaldo, le conversazioni con i nuovi compagni di studi – quello che volevo fare mi diventò subito chiaro. La mia passione per gli studi metrici incrociò quella per la poesia contemporanea; quindi proposi a Bandini di seguirmi in una tesi su Giudici, e di lì è venuto il resto.
- Quali sono i suoi campi di interesse più specifici e come riesce a conciliare indagini critiche su periodi storici lontani tra di loro?
La verità è che ho sempre lavorato su un arco temporale piuttosto stretto: dal Settecento al Novecento. Da qualche anno ho ridotto ulteriormente il mio campo di interesse alla poesia del Secondo dopoguerra, in particolare a quella sviluppatasi in area lombarda a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta, con qualche escursione: De Signoribus, Insana, Viviani. Negli ultimi dieci anni ho avuto occasione di studiare (con soddisfazione) qualche poeta di area friulana, giuliana e veneta (soprattutto Biagio Marin).
- Ritiene che l’università italiana sia in grado di preparare al meglio futuri studiosi di letteratura e con quali prospettive di occupazione futura?
Di certo insegnano, in molte università italiane, docenti della mia generazione che sono da tempo degli ottimi maestri, e stanno crescendo molti eccellenti giovani studiosi. A questi però i risibili investimenti dei governi italiani nell’università e nella ricerca danno pochissime possibilità. Occorre guardare all’estero: il che non è necessariamente un male: ma sarebbe bello che si trattasse di una libera scelta.
- Recentemente ha curato l’edizione critica di due Meridiani Mondadori, dedicati a Giudici e Raboni. Quali sono state le difficoltà maggiori riscontrate nella preparazione dei due volumi? L’operazione ha avuto successo di pubblico e di critica o lei riscontra un sostanziale disinteresse nei confronti della poesia contemporanea?
Non sono le difficoltà, che mi tornano alla mente, ma solo una grande gioia (anche la gioia di superare qualche difficoltà). Amo molto questi poeti, e ho imparato, commentandoli, ad amare l’arte del commento. Al «Meridiano» di Giudici avrei voluto poter dedicare più tempo; non mi dispiacerebbe ritornarci. Nel complesso, sono più contento del «Meridiano» di Raboni, sul quale sono stato tre anni. Quanto alla critica, mi pare che abbia accolto abbastanza bene i due volumi. Ma de I versi della vita c’è stata una sola ristampa, de L’opera poetica nemmeno quella. Gli editori hanno optato rispettivamente per un «Oscar» (che ha il grave difetto di non ripresentare l’ultimo libro di Giudici, Da una soglia infinita) e per due volumi nella «Bianca».
- Ci può indicare alcuni nomi di poeti italiani che apprezza particolarmente?
Quelli su cui ho scritto. Recentemente ho scoperto Federico Hindermann: un grande.
- Di cosa tratta l’ultimo volume di critica letteraria da lei pubblicato?
È un volume che ho fatto grazie all’interessamento di Andrea Cortellessa. Si intitola “Gli ospiti discreti”, è uscito da Aragno due anni fa, e raccoglie nove saggi (su Sereni, Caproni, Giudici, Raboni, Magrelli, Bandini, Insana, De Signoribus e Benzoni). L’idea era quella di fare un libro di Selected essais, ma che fosse anche una traccia del mio percorso intellettuale e biografico..
- Sappiamo che scrive poesia. Avverte nella sua produzione qualche influenza o eredità rimandabile a un autore del nostro ’900? Può citarci il suo verso che le sta più a cuore?
Sono autore di versifications (Genette) e di loro aggregazioni in pastiche. Quella della versification è una tecnica già usata da molti: posso citare Raboni, Volponi, Scialoja, Magrelli; Pagliarani ci ha fatto dei bellissimi libri. Un amico mi ha segnalato quelle di Carver, quasi tutte da Čechov. Cinque versi:
“Non credo già che niuno, / non avendomi in pratica, / mi potesse conoscer, tanto io / son mutato con questi / abiti...”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista al professor Rodolfo Zucco, critico letterario
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Bella intervista e, soprattutto, bello il profilo che ne esce.