Il libro dei morti degli antichi egizi
- Autore: Boris De Rachewiltz
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
“Il libro dei morti degli antichi egizi. Il papiro di Torino”, volume curato da Boris De Rachewiltz (Mediterranee, 1992, Roma), specificamente è attenzionato al Papiro di Torino. Già esisteva una lunga tradizione con pratiche funerarie in epoche precedenti. “Il Libro dei morti” infatti si inserisce in una ampia raccolta di testi funerari iniziata con gli antichi “Testi delle piramidi” (Antico regno, 3000-2150 a. C.) e i “Testi dei sarcofagi” con la sezione il “Libro delle due vie” (Medio regno, 2040-1750 a. C.), inscritti su pareti di camere funerarie o su sarcofagi, ma non su papiri.
È, comunque, a partire dalla XVIII dinastia - Il Nuovo Regno (1540-1070 a. C.) - che viene scoperto, nelle tombe e nei sarcofagi, “Il libro dei morti”: parla del percorso che il defunto deve compiere con il sole, per assicurarsi l’aldilà. È alla divinità “Autohoth”, simbolo del sapere, che la tradizione sacra dell’antico Egitto attribuisce la compilazione del testo. In effetti, fu composto da molti sacerdoti nell’arco di un millennio. Si compone di un insieme di formule magiche eterogenee, di diversa origine e indipendenti tra di loro, malgrado la suddivisione del testo in capitoli. Il loro corretto impiego, che mette in atto “una corrente vibratoria”, modifica in meglio il codice spirituale e facilita il percorso da compiersi dopo la morte. Alcune di queste formule venivano recitate, il giorno del funerale, dal Kheri - Heb, il sacerdote – lettore. Con la “giusta voce”, accompagnava la processione funebre sino alla tomba ove il testo sacro sarà poi deposto, prima che il lastrone di pietra fosse fatto discendere nel corridoio sotterraneo per bloccare l’accesso al sepolcro. Facendo da viatico, veniva sepolto insieme al defunto, così da averlo con sé, oppure veniva direttamente disegnato all’interno del sarcofago: vale a dire
“penetrare nella luce immortale”.
Mai un’anima avrebbe vagato nell’aldilà senza questo importantissimo sostegno! Tali testi funerari di varia natura dagli Egizi erano chiamati:
“Formule per uscire al giorno”
riferendosi alla possibilità, da parte dello spirito del defunto, mediante il retto impiego di tali formule, di uscire durante il giorno dal sepolcro. I diversi capitoli sono introdotti da un titolo e spesso vengono accompagnati da scene. Una sorta di manuale, dunque, e utile anche per i vivi che potranno avanzare sino a buona età: bisognava portarlo appresso attraverso il lungo e difficile cammino nell’aldilà fino a giungere al cospetto di Osiride. Dopo la morte, non si giungeva subito al Paradiso o all’Inferno, ma bisognava affrontare una serie di prove; senza questo libro in aiuto al defunto, chiamato “Giustificato”, era quasi impossibile superare pericoli o insidie. Vibrazioni di voce e segni grafici diventavano armi potentissime per disgregare e respingere le entità avverse, per dare alla mummia una corazza difensiva invulnerabile. Il Libro dei Morti inizia con le formule che accompagnavano il bendaggio della mummia, mentre i sacerdoti mettevano i vari amuleti, che sarebbero serviti a proteggere il morto, in punti ben specifici. La formula 156 recita:
“Tu hai il potere, Iside! Tu conosci la magia! Questo amuleto proteggerà quest’anima grandiosa. Allontanerà coloro che vorranno farle del male!”.
Quando la mummia era pronta si procedeva con il rito dell’apertura della Bocca toccando gli occhi, il naso, le labbra, le orecchie e le mani. Ecco la formula 23 che accompagna il rito:
“La mia bocca è aperta! La mia bocca è spaccata da Sciu con quella lancia di metallo che usava per aprire la bocca agli dei. Io sono il Potente. Siederò accanto a colei che sta nel grande respiro del cielo”.
Pochi cenni, dunque, sulla ricchezza di questo prezioso volume, ma ritenuti essenziali affinché il lettore possa inoltrarsi nel piacere d’una lettura che fa rivivere una cultura votata al mito dell’oltre e dell’altrove.
Il libro dei morti degli antichi egizi
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