Non c’è festa di Carnevale senza maschere, eppure questi travestimenti colorati possono nascondere molteplici significati. L’identità, la frantumazione dell’Io, la schizofrenia tra l’essere e l’apparire, l’ansia di accettazione sociale sono tutte tematiche che la maschera sottende.
La maschera è una celebre poesia del poeta romanesco Trilussa, contenuta nella raccolta Le favole moderne, molto citata nel periodo di Carnevale che ha fatto del gioco del mascheramento una tradizione consolidata e indiscussa.
La poesia di Trilussa attraverso un dialogo significativo tra l’uomo e la maschera dà voce alle contraddizioni insite nell’esistenza e nell’animo umano. Mediante la conversazione immaginaria il poeta romanesco dà voce alla sofferenza dell’uomo e mostra l’egoismo invincibile che avvelena l’intera specie umana. La felicità eterna è infatti racchiusa in un ghigno di cartapesta ed è quindi falsa come qualsiasi travestimento.
Trilussa ci narra un Carnevale dell’effimero e con esso la finzione che è racchiusa nelle apparenze della vita.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi del componimento di Trilussa.
La maschera di Trilussa: testo
Vent’anni fa m’ammascherai pur’io.
E ancora tengo er grugno de cartone
che servì p’annisconne quello mio.
Sta da vent’anni sopra un credenzone
quela Maschera buffa, ch’è restata
sempre co la medesima espressione,
sempre co la medesima risata.‘Na vorta je chiesi: “Beh, come fai
a conzervà lo stesso bon umore
puro ne li momenti der dolore,
puro quanno me trovo fra li guai?
Felice te, che nun te cambi mai,
felice te, che vivi senza còre”.La Maschera arispose: “E tu che piagni,
che ce guadagni? Gnente, ce guadagni.
Ché la gente dirà: Povero diavolo,
te compatisco… me dispiace assai…
Ma in fonno, credi, nun je ‘mporta un cavolo.
Fa’ invece come me, ch’ho sempre riso
e, si te pija la malinconia,
coprite er viso co la faccia mia,
così la gente nun se scoccerà…Da allora in poi, nasconno li dolori
de dietro a un’alegria de cartapista
e passo per un celebre egoista,
che se ne frega de l’umanità.
La maschera di Trilussa: parafrasi
Vent’anni fa mi mascherai anch’io,
e ancora indosso la testa di cartone che servì per nascondere la mia.
Sta da vent’anni sopra una credenza quella maschera che è rimasta sempre con la solita espressione, sempre con l’identica risata.
Una volta le chiesi: “Come fai a rimanere sempre allegra pure nei momenti di dolore, pure quando mi trovo nei guai? Beata te che non cambi mai! Beata te che vivi senza cuore!”
E la maschera dirà: “E tu che piangi cosa ci guadagni? Niente! Ci guadagni che la gente ti dirà: Povero diavolo, ti compatisco, mi dispiace molto.”
Ma in fondo, credimi, non gli importa niente!
Fai come me che sorrido sempre e quando ti prende la tristezza, copriti il viso con la faccia mia, così la gente non si scoccerà.
Da quel giorno nascondo i dolori dietro un’allegria di cartapesta e così sembro un grande egoista, a cui non importa nulla del resto dell’umanità.
La maschera di Trilussa: analisi e commento
Il dialogo tra l’uomo e la maschera mette in luce l’impossibilità della felicità duratura nell’esistenza umana. L’eterno sorriso della maschera si pone infatti in aperta contraddizione con l’animo dell’uomo che nel duro cammino della vita è costretto a confrontarsi con il dolore, l’amarezza, il fallimento.
La prima domanda che l’essere umano pone alla maschera, fissando il suo sorriso imperturbabile è infatti: “Come fai a essere sempre allegra?”
Allora la maschera dà all’uomo un consiglio astuto, cinico ma profondamente reale: mostrare il proprio dolore non serve a niente, se non a farsi compatire, perché la gente ne ha già abbastanza del proprio.
Ecco che dunque il travestimento - indossare una maschera, per l’appunto - diventa un’arte del vivere sociale. L’unico modo per sopravvivere nell’eterno torneo della società, suggerisce il poeta, è nascondere i propri dolori dietro “un’allegria di cartapesta”, ovvero una felicità fittizia, illusoria, di facciata.
È questo il carnevale del quotidiano che ritrae Trilussa con la sua poesia La maschera. Proprio come Pirandello, il poeta romanesco suggerisce che ogni essere umano indossi una maschera per adattarsi ai vari contesti. Una maschera per la società, una per la famiglia e così via, in una continua frantumazione dell’Io.
La maschera suggerita da Trilussa è invece uno strumento di sopravvivenza nel grande circo della vita. È l’emblema dell’egoismo umano, un fattore primigenio o eliminabile, o forse della suprema indifferenza che ha in sé qualcosa di divino, la celebre “divina indifferenza” descritta da Montale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La maschera” di Trilussa: testo, parafrasi e significato della poesia
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Il "mascheramento nella vita reale" ... solo la bibbia ci invita/suggerisce di non adottare !
Carpe diem !!