Il 2 marzo 1930 nasceva a Richmond Thomas Kennerly Wolfe Jr, meglio conosciuto come Tom Wolfe, grande giornalista, saggista e critico statunitense.
I suoi articoli, per il Washington Post prima e per il New York Herald Tribune poi, hanno fatto la storia del giornalismo moderno.
Il giornalismo narrativo di Tom Wolfe
Fu l’inventore di una nuova prosa giornalistica originale e avvincente, che mescolava un linguaggio vivace e colorito a un estro quasi poetico, che diventarono la sua cifra stilistica personale.
Un suo celebre articolo per il New York Magazine iniziava con un’onomatopea di sedici lettere: “Mmmmmmmmmmmmmmmm” a simboleggiare la perplessità dell’autore, certo, ma anche l’aria di appagamento che regnava in certe serate da lui definite “radical chic”.
Tom Wolfe divenne in breve tempo il personaggio Tom Wolfe: vestiva di bianco e arringava le folle. I suoi pezzi divennero iconici nella loro capacità di sovvertire l’ordine della società americana, svelandone le ipocrisie e i rancori nascosti. Non aveva parole tenere per nessuno, però di parole ne aveva, ne aveva tante che neppure gli bastavano e doveva crearne di nuove. Fu lui a inventare i termini “radical chic” e “The Me Decade”, quest’ultima espressione in riferimento all’individualismo che si andava sviluppando all’epoca come conseguenza del capitalismo avanzato.
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Per questa nuova tipologia di giornalismo, appena nata, nei primi anni Settanta Tom Wolfe coniò persino un nome che sarebbe entrato a pieno diritto nella terminologia di settore: New Journalism, così intitolò un omonimo saggio del 1973 che fece scalpore e, al contempo, rivoluzionò il modo corrente di fare comunicazione.
Wolfe fu il primo giornalista a decretare la fine del giornalismo come convenzionalmente conosciuto: la nuda cronaca dei fatti. Inaugurò un nuovo modello di giornalismo-narrativo che avrebbe segnato un’epoca.
In un’ultima intervista rilasciata poco prima di morire, Wolfe affermava senza usare mezzi termini:
Il giornalismo non è cambiato, non esiste più, è in agonia. Oggi si viaggia con la pseudoinformazione sparata come pallini da caccia dallo schioppo dei blog e dei social network, dove colpisce colpisce.
Tom Wolfe morì il 15 maggio 2018, all’età di 88 anni, in un ospedale di Manhattan a causa di un’infezione incurabile. L’Era da lui predetta, quella del New Journalism, era però appena iniziata.
Cos’è il New Journalism?
Con Tom Wolfe, negli anni Settanta, in America nacque un giornalismo soggettivo che, in buona sostanza, veniva meno alla regola primaria del giornalismo: riportare i fatti in modo neutrale. Il New Journalism di Wolfe invece non solo narrava una cronaca del tutto personale, ma addirittura tradiva la realtà dei fatti venendo quindi meno alla regola aurea.
Il movimento teorizzato da Wolfe creò scalpore nell’America dell’epoca, dando inizio a polemiche e dibattiti che ribadivano la centralità della notizia.
Il giornalista dandy - come spesso era definito - dal canto suo si premurava di affermare che il suo nuovo metodo intendeva dare una nuova tecnica di scrittura al giornalismo, e non infangare la veridicità dell’informazione.
Affermava che il suo tanto contestato New Journalism era soltanto una pura questione di tecnica:
I am talking about technique.
Wolfe diede delle regole precise al suo modello, teorizzandole nel saggio introduttivo alla sua antologia The New Journalism (1973).
In particolare evidenziò quattro caratteristiche che stanno alla base del nuovo stile giornalistico da lui coniato:
- Costruire la storia per scene successive, ricorrendo il meno possibile alla voce del cronista;
- Registrare tutti i dettagli anche quelli apparentemente insignificanti, i gesti, le abitudini, i modi, tutto ciò che può simbolicamente rappresentare i personaggi;
- Utilizzare dialoghi e conversazioni piuttosto che dati o cronaca pura per coinvolgere maggiormente il lettore;
- Presentare ogni scena dal punto di vista interiore di un personaggio, così da dare al lettore l’impressione vivere la situazione realmente.
Con il New Journalism Tom Wolfe prese semplicemente atto di una nuova narrativa del reale nascente nella società americana dei primi anni Settanta. I cambiamenti delle mode e dei costumi stavano anche imponendo un nuovo sguardo e, di conseguenza, l’urgenza di adottare nuovi modelli espressivi. Non era più tempo di cronache neutrali, i fatti dell’epoca - dalle rivolte giovanili alla guerra del Vietnam - richiedevano un giornalismo di posizione, una voce capace di dire “Io” e di imporre la propria visione del mondo.
I più celebri esponenti del New Journalism
La tecnica coniata da Tom Wolfe rivoluzionò il mondo della comunicazione dei primi anni Settanta. Ad adottarla furono molte voci autoriali che si distinsero proprio grazie a questo nuovo modello di giornalismo.
Tra questi ricordiamo alcuni nomi celebri, come Norman Mailer, Truman Capote, Joan Didion, i cui articoli sono contenuti - a scopo esemplificativo del nuovo genere - anche nell’antologia New Journalism di Wolfe.
Memorabili i reportage di guerra di Mailer, primo tra tutti Why are we in Vietnam? (1967), che avrebbero trovato un’altra degna esponente nella giornalista italiana Oriana Fallaci.
In quello stesso periodo una certa Joan Didion raccolse i suoi articoli sulla. California in un volume intitolato Verso Betlemme (1969), che sarebbe diventato un libro di culto del genere.
Sul fronte narrativo invece un degno esempio di New Journalism è dato dal capolavoro di Truman Capote, A sangue freddo (1969), un romanzo-reportage che narrava un fatto di cronaca nera avvenuto in Kansas nel 1959 attraverso una fedele ricostruzione romanzesca arricchita dalle testimonianze dei due killer.
Recensione del libro
A sangue freddo
di Truman Capote
Tom Wolfe insomma aveva presentito la rivoluzione in atto ed ebbe l’audacia di nominarla. A quel movimento nascente diede un nome preciso New Journalism segnando una svolta tra vecchio e nuovo, un confine che solo i più temerari osavano sfidare.
Quanto ad oggi, si potrebbe dire a Wolfe, che no, il giornalismo non è affatto morto: sta solo assumendo, ora come allora, nuove forme narrative che ancora stentiamo a comprendere e forse non abbiamo l’audacia di nominare. C’è chi parla di citizen journalism, open source journalism e di giornalismo partecipativo, di cui lo stesso Sololibri.net è un esempio.
Ci vorrebbe la creatività istrionica di Tom Wolfe per dare un nome più convincente alla rivoluzione mediatica attualmente in atto che, come ogni fase di passaggio, porta con sé uno strascico di polemiche e sconcerto.
L’unica certezza è che l’epoca del New Journalism, inaugurata da Wolfe negli anni Settanta, non è ancora terminata.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il New Journalism secondo Tom Wolfe: origine e significato di un genere letterario
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