Il 14 aprile 1939 veniva pubblicato a New York Furore dello scrittore americano John Steinbeck che divenne immediatamente il caso editoriale dell’anno.
Fu un successo scandaloso poiché si trattava di un libro politico, di critica sociale, che rivelava una realtà amara e volutamente ignorata: l’odissea interna dei contadini americani che migravano verso la California in cerca di lavoro e di fortuna.
Attraverso l’epopea della famiglia Joad, per certi versi molto simile a un moderno esodo, Steinbeck dava voce ai migliaia di migranti che in quegli anni percorrevano la famigerata “Route 66” a bordo di autocarri stracolmi sui quali avevano caricato tutti i loro averi. Avevano pochi soldi, ma la speranza in tasca e gli occhi pieni di futuro.
Quello narrato da Steinbeck tuttavia non è un viaggio salvifico, è una discesa negli inferi.
Il titolo originale del libro The Grapes of Wrath, traducibile in italiano come “I grappoli dell’ira” o “I grappoli dell’odio” faceva riferimento a un passo dell’Apocalisse, in particolare a un versetto specifico “14:19-20”.
L’immagine dell’ira in effetti ben rappresenta il sentimento provato dai migranti, costretti a disumanizzarsi e a vivere come bestie pur di racimolare una magra razione di cibo. L’analoga sensazione si impadronisce di chi legge man mano che le pagine si accumulano e le disgrazie patite dai protagonisti aumentano.
Il romanzo divenne un prodigioso fenomeno best-seller restando in testa alle classifiche americane per oltre due anni, vendendo quattro milioni e mezzo di copie. L’anno successivo valse a John Steinbeck il premio Pulitzer per la narrativa.
In Italia il capolavoro di Steinbeck fu tradotto nel 1940, su consiglio di Elio Vittorini ed edito da Bompiani che precedentemente aveva pubblicato Uomini e topi nella traduzione di Cesare Pavese. La prima edizione italiana di Furore tuttavia subì diversi rimaneggiamenti a causa della censura fascista.
La condanna letteraria di John Steinbeck faceva tremare chi occupava posizioni di potere perché mostrava la realtà così com’era, aprendo uno squarcio. Tramite il suo romanzo l’autore puntava il dito contro i fautori della Grande Depressione e, in particolare, contro la politica del New Deal promossa dal presidente Roosvelt.
Un po’ reportage, un po’ romanzo di avventura, quel che è certo è che oggi Furore non ha perso un briciolo della sua attualità e neanche un granello della sua straordinaria bellezza.
L’attualità di Furore di John Steinbeck
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I migranti di ieri non sono poi così diversi da quelli di oggi. L’umanità, a ben vedere, non è cambiata: il rapporto tra lo sfruttatore e lo sfruttato, le dinamiche di potere così brillantemente descritte da Steinbeck sono rimaste immutate.
Lo scrittore statunitense parlava delle condizioni dei migranti americani degli anni ’30, eppure sembra raccontare anche dei nostri migranti che affogano nel Mediterraneo, e anche dei profughi dell’Ucraina che oggi sono impegnati in un esodo che sembra non avere fine.
È la storia di un’Umanità spesso sottomessa dagli eventi eppure mai sconfitta: il grande autore americano narra la perpetua lotta dell’uomo per difendere la propria dignità, una battaglia antica come il mondo, essenziale come la vita.
Furore di John Steinbeck, pubblicato ottantatré anni fa il 14 aprile 1939, è un libro da leggere e rileggere. Un romanzo che non stanca mai, non annoia mai, ed è capace di mostrarci una storia sempre nuova a ogni lettura, rivelandoci una diversa prospettiva non solo sulla Storia ma sulla stessa condizione umana.
John Steinbeck e la scrittura di Furore
John Steinbeck trasse il materiale per il romanzo da una serie di articoli scritti per il San Francisco News nel 1936, ora raccolti nell’antologia The Harvest Gypsies.
In quegli articoli lo scrittore analizzava le condizioni dei braccianti agricoli del Midwest, costretti a migrare in California alla ricerca di lavoro. Poveri uomini condannati a vivere in uno stato disumano, che spesso si ammalavano a causa della fame e delle pessime condizioni igieniche, e accettavano lavori pagati pochi centesimi pur di tirare avanti e nutrire l’intera famiglia.
Ispirandosi a quegli articoli-reportage, al materiale di scrittura pre-esistente, John Steinbeck scrisse Furore in soli cinque mesi: in totale cento giorni di solo lavoro, in cui scriveva febbrilmente, forsennatamente, al ritmo di duemila parole al giorno.
Il risultato è un romanzo-capolavoro che riesce a stregare i lettori di ogni tempo tenendoli incollati alle pagine. È incalzante come un’opera di Salgari e, al contempo, pregno di riflessioni esistenziali come un libro di Kundera.
È semplicemente Furore, un romanzo che non ha mai finito di dire quello che ha da dire e continua a stregarci, a commuoverci e, soprattutto, a indignarci. E finché un’opera letteraria sarà capace di provocarci questa rabbia, questa voglia di cambiare il mondo, di sovvertire le regole ingiuste e schierarci dalla parte degli ultimi, capiremo che la letteratura ha un significato. Non è certamente un caso che, a oltre ottant’anni dalla sua pubblicazione, Furore figuri ancora nelle classifiche come uno tra i romanzi più letti e amati in tutto il mondo.
E poi saremo per sempre grati a John Steinbeck per aver creato un personaggio come Tom Joad. Un eroe moderno. Un eroe eterno che con le sue parole riesce a dare voce a ogni singolo membro di questa vasta schiera fluttuante di corpi e respiri chiamata “umanità”, così fragile e al contempo così forte.
Finché l’eco delle ultime parole di Tom Joad continuerà a vivere come un grido di protesta, di ribellione, di rivalsa, noi sapremo che la coscienza umana non sarà morta, non ancora.
Perché io sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutti i posti, dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Sarò negli urli di quelli che si ribellano, e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la ministra è pronta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Furore” di John Steinbeck: 83 anni fa la prima pubblicazione
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