Il 19 gennaio 2018, in occasione dell’80esimo anniversario delle leggi razziali fasciste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nominò senatrice a vita Liliana Segre, superstite di Auschwitz-Birkenau, con la seguente motivazione:
Per avere dato lustro alla Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
Da quel momento la senatrice Liliana Segre, che si è sempre contraddistinta per il suo forte impegno politico e sociale contro i totalitarismi e, è diventata un’icona della Memoria, un monumento vivente della Shoah.
Un impegno difficile, talvolta gravoso, che tuttavia lei porta sulle spalle con saggezza mantenendo alto lo sguardo lucido e fermo dei sopravvissuti, lo sguardo di chi ha visto l’inferno ed è tornato indietro.
La testimonianza di Liliana Segre
Una donna italiana di novant’anni, dai vaporosi capelli candidi e il sorriso gentile, oggi è la portavoce di uno dei momenti più bui della Storia mondiale. Liliana Segre ha raccontato la sua vita al mondo intero, nelle aule scolastiche, negli istituti, nelle conferenze che l’hanno vista protagonista e persino di fronte al Parlamento Europeo. In quell’occasione disse: "Non ho mai perdonato, non ci riesco", per poi aggiungere subito dopo con fermezza:
Ma ho scelto la vita, ho scelto di essere libera.
Quella di Liliana Segre è una lezione importante, una testimonianza di vita coraggiosa che fa riflettere sulla negazione dei diritti umani, la privazione della libertà che l’Olocausto ha portato.
La senatrice Segre rappresenta la memoria viva di ciò che è stata la violenza vergognosa della persecuzione razziale. La sua testimonianza oggi è preziosa e luminosa come una stella che brilla indicandoci il cammino. È una storia che parla di rinascita, perché dall’abisso infernale di Auschwitz Liliana Segre è uscita ed è tornata alla vita e all’amore.
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La senatrice Segre ha raccontato la sua biografia in diversi romanzi, tra cui ricordiamo La sola colpa di essere nati (Garzanti, 2021), La memoria rende liberi (Rizzoli, Bur, 2015) scritto con il giornalista Enrico Mentana e il libro per bambini scritto a quattro mani con Daniela Palumbo Fino a quando la mia stella brillerà (Frassinelli, 2018). In quest’ultimo romanzo Liliana Segre afferma:
È stato l’amore di mio padre a salvarmi da Auschwitz.
Ma chi era suo padre, Alberto Segre? Come si è salvata Liliana dal lager? Scopriamo ora la vera storia della senatrice Segre.
Fino a quando la mia stella brillerà
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Liliana Segre: la vita
Liliana Segre nacque a Milano il 10 settembre del 1930, figlia di Alberto Segre e Lucia Foligno. La madre morì quando Liliana non aveva neppure un anno di età, la piccola fu dunque cresciuta dal padre e dai nonni paterni.
Liliana racconta di non aver mai avuto piena consapevolezza del suo essere ebrea, perché la sua era una famiglia laica. La realtà delle leggi razziali entrò di prepotenza nella sua vita quando aveva otto anni, e le fu impedito di andare a scuola insieme agli altri bambini. Quel giorno, racconta la senatrice Segre in una testimonianza, è diventata "l’altra".
Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre: la mia amica ebrea. E quel giorno a otto anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papà e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero "perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose".
Con l’intensificarsi delle persecuzioni razziali la vita per i Segre diventò più dura. Il padre, Alberto, fece carte false per nascondere Liliana presso l’abitazione di alcuni amici di famiglia. Il 10 dicembre 1943 Liliana e il padre insieme ad alcuni cugini tentarono di fuggire alla volta di Lugano, in Svizzera, ma furono catturati prima di riuscire a varcare il confine. Dopo alcuni giorni in carcere a Varese furono trasferiti al penitenziario San Vittore di Milano dove vennero detenuti per quaranta giorni. Al termine del quarantesimo giorno furono deportati ad Auschwitz.
La deportazione ad Auschwitz
Il 30 gennaio 1944 Liliana Segre, all’età di soli tredici anni, fu condotta al binario 21 della Stazione Centrale di Milano dove la attendeva un treno in partenza per Auschwitz-Birkenau. Dopo sette giorni di viaggio Liliana e il padre arrivarono a destinazione.
Liliana fu separata da papà Alberto il giorno stesso dell’arrivo nel campo di concentramento: lei fu destinata alla sezione femminile, lui a quella maschile. Non lo rivedrà mai più, Alberto Segre morì ad Auschwitz il 27 aprile 1944.
Le tatuarono al braccio il suo numero di matricola 75190: "Noi dovevamo dimenticare il nostro nome, che non interessava a nessuno." La tredicenne Liliana fu costretta ai lavori forzati presso la fabbrica Union che produceva munizioni per la guerra. Lavorò per circa un anno per poi essere trasferita in Polonia a causa dell’imminente evacuazione di Auschwitz. Affrontò quindi la terribile "marcia della morte" alla volta della Germania.
Giunse infine a Ravensbrück, nel nord della Germania, e fu trasferita nel campo di concentramento di Malchow. Fu liberata il 1° maggio 1945 grazie all’occupazione del campo da parte dell’Armata rossa.
Liliana Segre fu una dei venticinque bambini italiani sotto i quattordici anni sopravvissuta all’orrore dei campi di sterminio nazisti. Sul treno che l’avrebbe condotta ad Auschwitz quel giorno di gennaio ne erano saliti settecentosettantasei.
La vita dopo Auschwitz di Liliana Segre
Tornata in Italia Liliana fu affidata alle cure di alcuni zii e, in seguito, ai nonni materni che erano originari delle Marche.
Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi a un mondo che voleva dimenticare.
Per molto tempo Liliana Segre tenne per sé i ricordi dolorosi, tentò di dimenticare l’orrore di ciò che aveva vissuto. La volontà di testimoniare venne molto tempo dopo, quando la saggezza e gli anni avevano ormai formato una solida corazza attorno al suo cuore e le sue ferite erano state lenite dall’amore della famiglia.
Nel 1948 infatti Liliana conobbe, durante una vacanza a Pesaro, Alfredo Belli Paci, un avvocato cattolico che aveva scontato la pena dei campi di concentramento nazisti per non aver aderito alla Repubblica di Salò. La giovane Liliana fu sorpresa dalla straordinaria somiglianza di Alfredo - di parecchi anni più grande di lei - con il padre Alberto.
I due si sposarono nel 1951 ed ebbero tre figli, Alberto (in memoria di Alberto Segre, Ndr), Luciano e Federica.
La testimonianza e l’impegno politico di Liliana Segre
Dopo un lungo silenzio Liliana Segre decide, nei primi anni Novanta, di raccontare la propria esperienza di sopravvissuta alla Shoah agli alunni delle scuole. Inizia così a parlare agli studenti, raccontando ciò che era stato per lei Auschwitz.
Quando poi studiai Dante, anni dopo, mi resi conto che eravamo delle dannate condannate a delle pene. Entrando lì pensai di essere impazzita. Era un luogo pensato a tavolino da persone stimate nel loro mondo, un luogo che avevano organizzato per "l’altro", una realtà che funzionava da anni perfettamente.
Nel 1997 Liliana Segre è stata tra i testimoni del film-documentario Memoria presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino.
Le ci sono voluti oltre quarantacinque anni per rompere il silenzio su quello che aveva vissuto, ma da quel momento Liliana non si ferma più, continua a portare la sua testimonianza forse intravedendo in essa una forma di riscatto dalle pene subite. La parola si fa veicolo di memoria, consente di trasmettere valori e aiuta a curare le ferite del passato.
Liliana Segre unisce la parola all’impegno politico contro ogni forma di totalitarismo, facendo della propria testimonianza un’arma da impugnare contro l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo e ogni forma di istigazione all’odio e alla violenza.
Nel suo ultimo discorso pubblico, tenuto il 9 ottobre del 2020 ad Arezzo, la senatrice Segre ha affermato:
Spero che almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi di vita vissuta li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perché quando nessuna delle nostre voci si alzerà a dire ’io mi ricordo’ ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia il modo che sei milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Liliana Segre: vita, deportazione ad Auschwitz e testimonianza
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