A ferro e fuoco
- Autore: Simon Scarrow
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2017
La Revolution Saga di Simon Scarrow come le vite “Vite parallele” di Plutarco. Lo scrittore britannico, oggi, come il collega greco di quasi duemila anni fa. Nel I secolo d.C., lo storiografo di Cheronea ha prodotto le biografie comparate dei grandi della storia, fino a Cesare e Marco Antonio, confrontando un personaggio dell’Ellade e un romano. Allo stesso modo, nella sua saga dedicata all’età napoleonica, l’inglese Simon Scarrow tratteggia le ascese contemporanee di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e di Arthur Wellesley duca di Wellington (1769-1852). Due carriere eccellenti, nei capitoli alternati della Revolution Saga, ciclo narrativo in quattro volumi, giunto al terzo step con la circolazione dal 24 agosto di “A ferro e fuoco”, sempre per i tipi Newton Compton (pp. 572, euro 9,90, versione ebook euro 4,99), seguito del primo titolo (“La battaglia dei due regni”) e del secondo (“Il generale”), nelle librerie da luglio. Per fine settembre è atteso il quarto volume, “L’ultimo campo di battaglia”, che chiuderà la fortunata incursione nel primo Ottocento di un autore specializzato finora nelle grandi vicende di Roma antica.
Un affresco grandioso si dice in questi casi e non è sbagliato ribadirlo, di fronte a un’opera dello scrittore nato a Lagos-Nigeria, che si può anche dire “monumentale”, per l’ampiezza e l’intensità degli eventi dell’epoca affrontata. Abbraccia i decenni dell’apoteosi e del crollo del gigante di Ajaccio, dalla Rivoluzione francese all’esilio a Sant’Elena e non omette nessun particolare di rilievo dello scontro tra la Francia napoleonica e il resto del mondo, che mise “a ferro e fuoco” soprattutto il vecchio continente, provocando morti, lutti e devastazioni.
Ma dire monumentale finisce per spaventare i lettori meno informati e tradire i meriti della prosa scorrevole e dello stile fluente di Simon Scarrow, supportato a dovere dai bravissimi traduttori in italiano, per l’occasione Lucilla Rodinò e Francesca Noto.
Questa saga si fa leggere d’un fiato, concluso un volume si vorrebbe prendere in mano il successivo e si può già immaginare la nostalgia per le cadenze serrate della Revolution Saga, una volta arrivati all’ultima pagina del quarto titolo, quello conclusivo, con la prevedibile epica descrizione della battaglia di Waterloo.
Nella ricostruzione dei combattimenti, Simon Scarrow dà il meglio di sé, come faceva negli scontri sui campi d’arme calcati dalle legioni di Roma. Cavalli, cannoni, sciabolate, scariche di fucileria, polvere e sangue: sembra di esserci. Sono capitoli che si divorano letteralmente.
Quando ritroviamo Napoleone in questo terzo volume, non è mai stato più elegante e non ha mai avuto più fastidio per la religione. Ha raggiunto la cattedrale parigina di Notre Dame, sfarzosamente addobbata per la cerimonia d’investitura imperiale e la vista del papa che lo attende davanti all’altare gli toglie il sorriso. Ha cercato in tutti i modi di limitare il potere della Chiesa, ma il popolino è cocciutamente legato alla religione e lui ha bisogno del pontefice, per dare all’incoronazione l’imprimatur di un’investitura divina, anche se tutto ciò che ha ottenuto è stato merito dei suoi sforzi e della buona sorte, altro che la volontà di Dio, non c’è cielo che tenga sper chi non abbia qualità, capacità e tempra.
In spregio al protocollo secolare, è con le sue stesse mani che afferra il pesante serto d’oro della corona imperiale, modellato a imitazione di quello dei Cesari. Lo solleva con le braccia protese sopra la testa e se lo pone solennemente sul capo, davanti a un Pio VII sbigottito. E poi incorona Giuseppina.
È il 2 dicembre 1804, un anno dopo l’imperatore coglie sul campo di battaglia moravo di Austerlitz la sua vittoria più brillante.
In questi mesi, intanto, Arthur è in Inghilterra, reduce dai successi nelle Indie orientali. Nei capitoli che gli sono dedicati, in alternanza a quelli riservati al grande avversario francese, lo vediamo avvicinato da un politico di vaglia, William Pitt, che lo investe del ruolo di avversario scelto del novello imperatore. Fermare Napoleone non sarà un compito facile per la corona inglese, occorre tempo per addestrare un esercito all’altezza e fargli acquisire l’esperienza necessaria per sconfiggere le truppe rodate di Bonaparte. Ci vorranno anni, è chiaro. Per cominciare, le forze vanno concentrate in una regione alla periferia d’Europa, dove gli uomini possano essere forgiati fino a diventare un’arma eccellente. La scelta cade soprattutto sulla penisola iberica.
È così che i due generali si avvicinano al fatale punto d’incontro, comandando eserciti contrapposti in Danimarca, Spagna e Portogallo, pur senza ancora affrontarsi direttamente sul campo, fino al giugno 1815.
Simon Scarrow ha studiato a fondo la rispettiva psicologia. Napoleone era uno scaltro leader, sapeva spremere il meglio dai suoi soldati e tollerava un certo livello di informalità. Wellesley era maestro in ogni dettaglio logistico e tattico, un vero professionista, convinto che disciplina, addestramento e preparazione avrebbero formato un esercito capace di fare fronte ad armate ben più numerose.
È chiaro che le simpatie dello scrittore inglese vanno più al franco-corso che all’illustre connazionale. Al netto dei difetti di entrambi, puntualmente illustrati in appendice ai volumi, un geniale trascinatore come Bonaparte dava il meglio di sé in battaglia, ma non delegava facilmente ai suoi generali, Arthur era un meticoloso organizzatore, convinto dei vantaggi dell’offensiva e dell’ardimento. Il genio dell’uno contro la regolatezza dell’altro, prossimi alla resa dei conti finale.
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