Borghesia violenta
- Autore: Nicola Ventura e David Barra
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Vietnam. Stragismo. Squadrismo fascista. Tensione israelo-palestinese. Il Cile di Augusto Pinochet. Fibrillazioni golpiste all’ombra di apparati paralleli. Sono (alcune) questioni “aperte” attorno alle quali germina l’azione armata nella società degli anni di piombo. Per dirla in altro modo: gli estremismi eversivi di destra e di sinistra discendono da un mondo altrettanto “cattivo” che mulina senza quartiere i suoi colpi bassi. L’Italia è come il set dei polizieschi dell’epoca (si spara, si fugge, si trama, si uccide), fa parte di quel mondo finto-democratico, non rappresenta un’eccezione. La guerra civile principiata con la bomba di Piazza Fontana (1969), quindi declinata lungo l’arco abbondante di un decennio, non fa sconti e spesso nemmeno prigionieri: nell’alveo farisaico di una nazione che da un lato si indigna e si cordoglia per l’accendersi della violenza politica, dall’altro la fomenta surrettiziamente, si tiene la conta quotidiana dei morti ammazzati con in mano una spranga, un fucile o una pistola.
I "terroristi" sono spesso giovani, progenie insofferente-ribelle-iperpoliticizzata (a ragione) del lungo Sessantotto. Alcuni di loro vantano estrazione operaia, altri sono figli di buona famiglia, rampolli di quella “borghesia violenta” di cui si occupa il saggio firmato da Nicola Ventura e David Barra, Borghesia violenta (GOG, 2021). Ex bravi ragazzi della porta accanto, accesi dall’odio politico al punto da scegliere le armi, pregiudicare le loro stesse vite. Quelle che si intersecano tra le pagine del volume sono storie topiche di anni in prima linea e senza tregua. Fatti di gente perbene finita male: bravi studenti-militanti di Avanguardia Operaia che uccidono Sergio Ramelli quasi senza averlo visto in faccia. Valerio Fioravanti che da enfant prodige della televisione diventa braccio violento dei Nuclei Armati Rivoluzionari di estrema destra. Iniziazioni politiche precoci e furenti come quelle di Alessandro Alibrandi, in arte Alì Babà, figlio rivoluzionario del giudice missino Antonio Alibrandi che come e finché può prova a tirarlo fuori dai guai (la morte violenta è nel destino del giovane). Come quella spesa tra le file di Prima Linea di Marco Donat Cattin, “rampollo” dell’andreottiano Carlo Donat Cattin, esponente di punta della Democrazia Cristiana.
Attorno a loro, e nelle pagine del libro, gravita l’infinita galassia di protagonisti e comprimari della lunga stagione all’inferno italiana: 12.770 atti di violenza, 5390 feriti, 342 morti (solo il 1979 fa registrare 2200 attentati), numeri che si avvicinano al computo definitivo del decennio terroristico/stragistico italiano.
“Uno dei fili rossi che caratterizza e unisce i vari personaggi, maggiori e minori, trattati nel volume, è proprio quello del rapporto dei figli con i padri, reso controverso per effetto di una ribellione generazionale che ha caratterizzato i giovani del post Sessantotto a sinistra come, inaspettatamente, a destra. Una ribellione, in non pochi casi violenta, capace di dispiegarsi in percorsi politico-ideologici diametralmente opposti a quelli dei padri, e in condotte personali di totale rottura, spesso ai limiti del vero e proprio autolesionismo. Una ricerca di libertà contestataria che può essere intesa come la concretizzazione di uno dei temi principali del post Sessantotto […] poi ulteriormente estremizzato nell’ambito del movimento, più casalingo, nazionale, assai meno globale, del ’77”. (pag. 9)
Il libro è fitto (di fatti, persone, date, testimoni e testimonianze) e parimenti equo e accurato. L’intervista a Enrico Galmozzi (tra i fondatori di Prima Linea) è riassuntiva dello spirito dei tempi e del senso implicito di questo lavoro, destinato, peraltro, ad avere un seguito:
“- Quale fu la scintilla che spinse un adolescente a dedicarsi alla militanza attiva?
- La scintilla fu […] l’idea dell’emancipazione operaia […]
- […] Cosa ricorda del momento in cui decise di passare alla lotta armata? Quale fu la spinta dietro a una scelta così radicale?
- Il passaggio alla lotta armata è stato determinato dalla convinzione che l’esercizio quotidiano della forza e della violenza degli operai nei reparti significasse e alludesse alla disponibilità nei confronti della lotta armata”.
La storia rivela quanto lontano dal vero fosse quell’abbaglio ideale: l’Italia politica degli anni Settanta era tutt’altro che il migliore dei mondi possibili e l’ha sfangata lo stesso, connotando come un inutile spreco le vite spezzate dagli anni di piombo di una "nazione mancata".
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