Catilina
- Autore: Massimo Fini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2016
A chiunque abbia studiato, al liceo o all’università, storia romana, il nome di Catilina riporta subito alla mente l’apostrofe con cui Cicerone gli si rivolse dagli scranni del senato:
«Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?».
Questo recente saggio di Massimo Fini, pubblicato da Marsilio, ci offre l’opportunità di conoscere più a fondo - e in pagine vivaci, non boriosamente accademiche - questo personaggio, che l’autore introduce subito come autore della
“prima, anche se fallita, rivoluzione della Storia”.
Letterariamente, sono stati lo stesso Cicerone, e con lui Sallustio, a ragguagliarci sulla vita e sulle imprese di Catilina; servendosi delle loro testimonianze, e di quelle più frammentarie di Plutarco, Svetonio, Dione Cassio, Massimo Fini ragguaglia il lettore sugli essenziali dati biografici del suo protagonista.
Nato a Roma nel 108 a.C. da una famiglia patrizia, era
“alto, asciutto, atletico, nevrile”, dotato di “una spavalderia, un’audacia, un coraggio spinti fino alla temerarietà”
aveva fama di grande seduttore, e venne addirittura accusato di aver violato una Vestale, tale Fabia, cognata di Cicerone, che forse proprio da allora gli giurò inimicizia eterna. Fu combattente fedele accanto a Lucio Silla, e tra i trenta e i quarant’anni percorse tutto il cursus honorum, da questore a edile a pretore, senza approfittare di particolari appoggi politici o finanziari. Tentò tre volte di venire eletto console, tra il 66 e il 64 a.C., ma fu sempre fermato dalla feroce ostilità dell’oligarchia aristocratica, che riuscì a impedire la sua nomina attraverso escamotages legali e processi truffaldini messi in atto non solo dal nemico di sempre, Cicerone (diversissimo da lui per “temperamento, abitudini, attitudini, carattere, concezione della vita”), ma anche da falsi amici e alleati ingannevoli, quali Crasso e Giulio Cesare.
Al primo di questi oppositori, Massimo Fini dedica un divertente secondo capitolo, senza nascondere l’antipatia quasi nauseata che gli provoca la figura dell’oratore
“politicante di terz’ordine, maneggione e intrigante… di una viltà, fisica e morale, patologica e caricaturale… Per il carattere ameboide, incerto, molle, svirilizzato Cicerone assomiglia ad Aldo Moro, è una specie di protodemocristiano. Per vanità e trombonaggine ricorda invece Spadolini, ma uno Spadolini disonesto e moralmente corrotto”.
Crasso e Cesare vengono invece definiti “due opportunisti”, che dapprima illusero Catilina del loro appoggio, per poi negarglielo nel momento cruciale del suo attacco al potere, spaventati dal radicalismo del suo programma sociale. Che si delineava in alcuni punti focali: fine dei privilegi aristocratici, riforma istituzionale in senso democratico, legge agraria, cancellazione parziale dei debiti. Un programma decisamente rivoluzionario, che raccoglieva gli entusiasmi della plebe (soprattutto quella rurale, impoverita dal latifondo), degli artigiani impoveriti e indebitati, degli schiavi, delle donne escluse dai diritti politici, dei giovani galvanizzati dall’idea di un riscatto economico e sociale dei ceti emarginati e dal richiamo ai nobili valori di integrità morale dell’antica Roma.
Gli ultimi capitoli del volume di Massimo Fini sono dedicati ai mesi febbrili e tragici del 63 a.C., tra settembre e dicembre, in cui Catilina decise di organizzare la sua congiura contro lo Stato passando all’azione violenta, tra assassini programmati e falliti, insurrezioni mancate, tradimenti, lettere anonime, denunce, arresti, esecuzioni capitali di alcuni congiurati: avvenimenti tutti commentati dalle quattro famose arringhe ciceroniane in Senato. Fino alla conclusione inevitabile e sanguinosa, con la battaglia combattuta nei pressi di Pistoia tra i 3.000 ribelli e i 18.000 dell’esercito romano, sigillata dalla morte eroica di Catilina, a cui anche l’ostile Sallustio rese omaggio con queste parole:
“Venne trovato lungi dai suoi fra i cadaveri dei nemici; respirava ancora un poco ma gli si leggeva sul volto la stessa espressione di indomita fierezza che aveva da vivo”.
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