Dellamorte Dellamore
- Autore: Tiziano Sclavi
- Genere: Fumetti e Graphic Novel
- Categoria: Narrativa Italiana
Tiziano Sclavi è uno scrittore ingiustamente sottovalutato. Soprattutto dai suoi fan, che il più delle volte smaniano solo per la sua creatura più celebre, ovvero un certo Dylan Dog, fumetto dell’orrore di straordinario successo ed eccellente esempio di letteratura disegnata, che ha però finito con l’oscurare la produzione letteraria vera e propria dell’autore. Che ne ha scritti di romanzi, anche notevoli.
Una delle sue opere più riuscite è senz’altro Dellamorte Dellamore (Camunia editrice, 1991), romanzo gotico e surreale che narra di un’epidemia di morti viventi: a Buffalora, cittadina di fantasia, il custode del cimitero, tale Francesco Dellamorte, combatte una guerra personale contro i “ritornanti”, cioè i cadaveri sepolti che tornano alla (non)vita, affamati della carne dei vivi. Si farà aiutare dal suo assistente/becchino Gnaghi, un ritardato dall’aspetto bizzarro, con cui ha un strano rapporto di amicizia che sfiora quello padre-figlio.
Nonostante la presenza degli zombi, non ci troviamo di fronte a una storia post apocalittica, ma semmai a qualcosa di più vicino al sogno, se non proprio all’incubo: insomma, siamo più dalle parti di Buzzati che da quelle di Romero.
La vicenda grottesca è narrata con un tono ironico che a volte sfiora il cinico; il linguaggio usato è piuttosto originale, pseudo-cinematografico, tanto che sembra quasi di leggere la sceneggiatura di un film, senza che venga meno il piacere della lettura, anzi.
Dellamorte è un personaggio riuscito perché ironico e autoironico: l’espressione sempre impassibile nonostante i casini in cui si ritrova, battutaccia pronta, con tanto di sigaretta che gli pende dalle labbra e camicia indossata rigorosamente fuori dai calzoni, è un personaggio nel senso più ampio del termine. E la sua ossessione per lei, la donna che torna più volte sotto varie sembianze ad allietarlo e tormentarlo, lo rende romantico senza mai farlo scivolare nel melenso.
Su tutta la vicenda incombe come un’ombra la pesante onnipresenza della morte, che non riguarda solo i “cari estinti” che non vogliono saperne di riposare in pace: a un certo punto Dellamorte comincia a sparare ai vivi (o presunti tali), in una sorta di ribellione contro il mondo piccolo borghese che lo circonda, che non è solo una critica dell’autore alla società in quanto tale, ma l’espressione di un tormento esistenziale, il grido d’angoscia di un individuo solo che lotta invano contro il dolore e la mancanza di un senso.
Perché qualsiasi uomo dotato di un minimo di sensibilità non può non porsi le domande fondamentali, anche se sa che non esiste risposta. E la morte si spande su tutto, come unica dimensione reale della vita, l’unica certezza possibile. Perché vivere significa anche morire ogni giorno che passa.
“Quanto è sottile sottilissimo, quant’è immenso come lo spazio e tutte le sue stelle che non si possono contare, lo spazio che separa la vita dalla morte”
Scrive Sclavi verso la fine della storia, prima che la vicenda si chiuda in modo enigmatico.
Da Dellamorte Dellamore è stato tratto un film di Michele Soavi, altro autore di talento che avrebbe meritato più fortuna. La pellicola, pur risultando fedele al romanzo, se ne discosta in alcuni punti, rielaborando in maniera intelligente la narrazione originale. Di sicuro il film di Soavi è assai più vicino alla poetica di Sclavi e Dylan Dog rispetto a un certo obbrobrio cinematografico made in USA… Sia il romanzo (che non viene ristampato da anni e anni) che la pellicola sono dei classici ormai (semi)dimenticati, che meritano di essere salvati dall’oblio. Da recuperare, assolutamente.
Dellamorte Dellamore
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