Ester: donna e regina
- Autore: Vincenzo Mercante
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2010
In Ester: donna e regina (Ibiskos Editrice Risolo, 2010. p. 160) Vincenzo Mercante penetra nel testo biblico con l’acume razionale del ricercatore e pure con la fede del credente. Ciò comporta una presa visione scritturale capace di includere diversi modi di conoscenza, partendo da molteplici punti di vista, tutti essenziali: il punto di vista teologico, quello storico, antropologico, quello mitico-simbolico. Così, le quattro-cinque pagine del Libro di Ester, risalenti al secondo secolo prima di Cristo nella stesura di un ebreo della diaspora e ambientate nella Persia di Serse (quinto secolo a.C), divengono emblematiche dell’intera cultura l’ebraica, ne abbracciano lo spirito e ce ne danno il sapore.
L’episodio narrato dall’estensore biblico non trova riscontro negli annali di storia persiana: in essi non si parla di Ester, ragazza bellissima, scelta dal sovrano quale consorte per le sue grazie e la sua modestia pari alla bellezza. Serse aveva rimandato la prima moglie Vasti, refrattaria a farsi ammirare dalla corte vestita solamente della corona. Tale usanza maschilista in una cultura profondamente e rigidamente patriarcale evidenzia l’assoluta mancanza di diritti civili delle donne, siano esse schiave o regine. Riguardo a Ester, nella Bibbia si sorvola sul fatto della sua pubblica esibizione, non si sa se sia avvenuta o meno.
È comunque molto improbabile che una sconosciuta ragazza ebrea sia assurta al ruolo di regina come seconda moglie di Serse Primo – Assuero in ebraico – in quanto la sposa dell’imperatore veniva scelta all’interno delle casate principesche e mai altrove. Questo elemento inusuale, fantastico, relativo a una regina ebrea in Persia, ci porta dentro un racconto mitico, in una quasi fiaba i cui elementi e protagonisti possiedono caratteristiche archetipiche, incarnano cioè personaggi buoni o cattivi, vicini alle maschere della Commedia dell’Arte, strumenti del destino o della volontà divina, qui certamente della Provvidenza che vuole sempre il Bene e conduce a salvezza il popolo che si è scelto come prediletto.
Il Dio dei Padri è goel, salvatore per Israele, fautore certo di ogni riscatto. Ogni ebreo, indipendentemente dalla sua casta, è persona di fronte a Dio, prezioso agli occhi del Creatore, secondo le parole bellissime e altamente poetiche di Isaia al capitolo 43:
"Tu sei prezioso ai miei occhi e ti amo".
Mercante non fa a meno di menzionarle e sottolinea come tale unica consapevolezza, sconosciuta presso tutti gli altri popoli, sia fonte di resistenza e autostima per il popolo ebraico, nel quale tutti possiamo identificarci.
Il risvolto negativo dell’elezione è quell’elemento di sottile razzismo insito nel sentirsi superiori, gente a parte, che non desidera mescolanze, considera impuri i pagani e ne teme il confronto, tanto che ogni sciagura di tipo naturale o storico-politico per Israele è sempre sentita come castigo del Padre celeste di fronte a devianze fideistiche, considerate idolatre.
Nel caso specifico, la sudditanza ai Persiani, e la persecuzione programmata di cui sono vittime gli ebrei nel vastissimo regno delle satrapie, viene come sempre attribuita a un allontanamento dalla vera fede nel Dio Unico. Ma quest’ultimo è fedele per sempre. Accade allora che di fronte al pogrom già decretato da Serse, su istigazione del perfido visir Aman (un arabo, un amalecita, discendente di Amalek a sua volta discendente di Esaù), Jahvè (mai direttamente nominato nel testo, dunque assente, in apparenza) stende la sua mano e fa deviare il corso della sorte. La sorte, in persiano pur, era stata tramata e gettata da Aman. Infatti il giorno d’inizio dello sterminio era già stato estratto a sorte e la data fatidica era caduta il 13 del mese di Adar, nel calendario ebraico dodicesimo mese (tra il nostro gennaio e febbraio, proprio concomitante al nostro tempo di carnevale).
Mardocheo, maestro spirituale, nonché cugino e tutore dell’orfana e povera Ester, implora l’Altissimo con grida e atteggiamenti strazianti nella pubblica piazza di Susa, città splendida che aveva già incantato Alessandro il Grande, e residenza di Assuero.
Mardocheo fa anche giungere un messaggio imperativo nel gineceo dove Ester attende la nuova chiamata del re. Egli chiede che la giovane interceda presso il sovrano, subito. E lei, stella risplendente della buona sorte, come dice il suo nome (Ester è infatti identica a Ishtar, la Grande Dea Madre antica, e qui Mercante ci informa che le divinità si intersecano, in barba alla purezza presunta delle tradizioni ebraiche), resterà trafitta dalla portata enorme della sciagura incombente sul suo popolo. Diverrà consapevole del suo ruolo predestinato, come Mardocheo le fa intendere. La regina non si trova a corte per se stessa, ma in virtù di una sua missione voluta da Dio. Dunque sfiderà lei stessa la morte, quale agnello sacrificale, offrendosi spontaneamente alle ire di Assuero con un gesto ardito e ribelle. Si recherà nella sala del trono, luogo precluso a chiunque senza specifica convocazione imperiale. Una decisione che la espone a morte certa, a meno che il capriccio del sovrano non suggerisca clemenza e in tal caso Assuero abbasserà lo scettro e salverà una vita, tutta nelle sue mani. E sarà questo l’epilogo felice, coronato dall’ascolto di tutti i suggerimenti muliebri, elargiti da Ester con la seduzione del caso.
Siamo alle prese con una storia di sapore favolistico, capace di raccontarci usi e costumi antichi e sempre attuali purtroppo, aberranti agli occhi delle nostre democrazie. Usi che disattendono i più elementari diritti umani. La potenza di Ester è tutta servile, basata giocoforza sulle arti seduttive, su un sortilegio sensuale. Tutto è nefandezza in questo gioco di morte, che si muta in liberazione nel giorno del Purim, il giorno della sorte, ancor oggi festeggiato solennemente dagli israeliti in ogni parte del mondo.
Il re Assuero, su preghiera di Ester, acconsente a vanificare l’editto di sterminio contro gli ebrei, già da lui firmato in precedenza e del quale sembra essere immemore. Ne farà stendere un secondo da Maedocheo, eletto ipso facto nuovo visir, dove permette agli ebrei un’autodifesa feroce, attuata con tutti i mezzi, escluso però il saccheggio dei beni del nemico. Quest’ultimo verrà passato a fil di spada nel giorno del Purim, sarà fatta vendetta anche contro donne e bambini, in tutto l’impero verranno sterminati 75 mila persiani.
La fiaba lascia il posto alla storia documentata.
Anche l’ira di Ester non si arresta, la regina chiede al consorte un secondo giorno di guerra a oltranza, lo ottiene senza difficoltà. Aman è già stato ucciso insieme alla sua famiglia: tutti impalati e poi impiccati nella piazza di Susa. La festa ebbra di vino e l’orgoglio nazionale riscattato seguono alla strage.
In Ester: donna e regina, il professor Mercante non tralascia di sottolineare nessun elemento dell’epica e della teologia veterotestamentaria. Non siamo figli del caso, sottolinea, ma figli di un Dio che soccorre. Lo studioso apre spaccati storici relativi alla millenaria e tragica persecuzione subita dal popolo ebraico, affascinante e spesso conturbante per la sua durezza e scarsità di perdono. Il Libro di Ester è tutto ciò, salvezza e crudeltà, arbitrio e resa dei conti. A ciascuno, poi, la sua meditazione.
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