Giuditta e il Monsù
- Autore: Costanza DiQuattro
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Baldini+Castoldi
- Anno di pubblicazione: 2021
Costanza DiQuattro è scrittrice affermata, che dopo il primo libro di successo, La mia casa con Montalbano, si è comprovata autrice di valore con le successive sue opere letterarie, quali Donnafugata e il suo ultimo e ben scritto Giuditta e il Monsù (Baldini+Castoldi, 2022), proposto al Premio Strega 2022.
L’autrice, oltre a essere validissima scrittrice, è autrice di testi teatrali di successo e si occupa attivamente di teatro. Per il suo più recente lavoro teatrale, Barbablù, ha avuto collaboratori di prestigio quali Moni Ovadia e Mario Incudine.
Giuditta e il Monsù è un’opera che mantiene tutto quello che promette dove si rimane subito incuriositi dal titolo e dal folgorante incipit. Anche in questo suo terzo romanzo Costanza DiQuattro mostra il suo stretto legame con un ambiente e un mondo che ben conosce e che ama molto, quello della sua Ragusa e del suo territorio. Nella prima sua opera, una sorta di pamphlet, narrava della casa dove sono stati ambientati i film televisivi sul Commissario Montalbano con la regia del compianto Sironi, una location che si trova a Punta Secca, di proprietà della famiglia della scrittrice. Ma anche nel secondo libro, Donnafugata, si tratta ancora delle vicende legate a quel territorio e ora si prosegue con quest’ultima opera ambientata anch’essa in quel di Ibla.
È una parte della Sicilia molto cara a Costanza DiQuattro, che la descrive sempre con tratti poetici e accurati, che trascinano il lettore mostrando questo suo stretto attaccamento ad atmosfere coinvolgenti di altri tempi di cui si vedono i pregi come pure i difetti di un con un intenso ritratto di “un gruppo di famiglia in un interno”.
Il romanzo si svolge quasi interamente nel Palazzo Chiaramonte, l’edificio dove abita la famiglia nobiliare del marchese Romualdo. Il romanzo inizia proprio all’interno del palazzo con l’evento di una nascita che il marchese sta aspettando ansiosamente, attendendo il suo quarto figlio che spera che sia l’agognato figlio maschio dopo tre figlie femmine. Ma le sue aspettative andranno ancora deluse, in quanto arriverà una quarta figlia: è Giuditta, che darà il titolo al romanzo.
L’attesa trepidante del parto viene ben descritta come pure la cocente delusione che porterà il marchese ad andare in escandescenze. Nei primi capitoli ben si descrive l’ambiente e la casa in cui si muove il marchese. Ma ecco che alla nascita di questa ultima erede si accompagna un’altra nascita in quanto in contemporanea sui gradini del palazzo Chiaramonte viene trovato un neonato di sesso maschile e il marchese decide di non dare il bambino a un convento, ma di affidarlo al suo Monsù, don Nicola, anziano e senza prole. Questi due eventi sono riferiti a due nuove esistenze, due nascite, di cui una “ufficiale”, quella della figlia Giuditta, e quella di questo infante che il marchese chiamerà Fortunato di nome e di fatto per avere trovato accoglienza nella nobile magione.
L’azione del romanzo parte dal maggio del 1884 e si conclude nel 1915, durante la Prima guerra mondiale e segue il percorso esistenziale di queste due giovani vite, già adolescenti nel secondo capitolo, con le loro ansie e timori. Il rapporto tra questi due giovani che via via cresceranno, vivranno e matureranno è il tema principale del romanzo, ambientato come detto principalmente nel Palazzo nobiliare con qualche puntata nella dimora di villeggiatura in campagna.
L’ambientazione del romanzo all’interno della casa è rilevante in quanto significativa di un culto della famiglia, di un modo di vivere familiare in cui il padre ha un suo ruolo, un suo potere. Questi non è solo colui che esercita il ruolo di pater familias: lo esercita solo fino a un certo punto, in un luogo in cui convivono due mondi. Nella dimora nobiliare, infatti, vi sono diversi ambienti: nei saloni vive la famiglia, ma nelle cucine opera il Monsù.
Nella casa si esercita il potere del Marchese sopra tutti, un potere gerarchico che non ostacola però il confronto, una simbiosi dove accanto vi è un grande mondo femminile composto dalla moglie, dalle figlie, dalle serve, dalle cameriere. Nella cucina, dove lavora, vive Fortunato, il figlio trovatello del Monsù, e Giuditta invece di studiare spesso si reca in questi ambienti e impara a cucinare.
Sullo sfondo, ai primi del Novecento, un’Ibla che una realtà a sé, lenta e ordinata. Un luogo che ha dei ritmi suoi, è lenta e insieme antica; pare essersi fermata nel tempo, forse perché “ai confini dell’Impero”, è la provincia più lontana da tutto, non solo dalla Sicilia. Una terra che è rimasta ancorata alle tradizioni, che l’autrice vuole riportare nelle sue pagine, anche se proiettata nel passato, che poco pare però mutata anche adesso.
Una figura di un aristocratico che cambia nel tempo il suo rapporto con questa ultima figlia femmina, Giuditta, che lui voleva maschio, ma ha un comportamento poco femminile, trasgressivo, non vuole studiare mentre Fortunato di contro vuole leggere, farsi una cultura.
Pur nella delusione di non avere avuto un figlio maschio il rapporto con le figlie femmine da parte del padre è molto stretto, anche non esternandolo secondo i costumi dell’epoca. La figura del padre Romualdo è al centro di tutto il romanzo, costretto nel proprio ruolo, ostinato a vedere nella figlia Giuditta il maschio che avrebbe voluto e non ha potuto avere, pur nella sua ribellione e diversità. Ci si muove in un mondo aristocratico nobiliare di campagna, che si rapporta positivamente con il mondo circostante.
“Romualdo Chiaramonte era un uomo algido e distaccato, sembrava che le cose del mondo non gli appartenessero, che le vicende ruotavano attorno alla sua figura fossero marginali, lontane dal suo impenetrabile universo fatto di silenzi, tabacco pregiato, libri e donne e di donne ne aveva tante Romualdo. A dispetto della sua freddezza nella vita di tutti i giorni, dinanzi a una donna, il marchese Chiaramonte perdeva il rigore di sempre arrivando a perdere sé stesso. Pur non rientrando nei canoni dell’oggettiva bellezza, era considerato un uomo di grande fascino. Non era alto né troppo magro, aveva spalle sicure e mani possenti, una leggera calvizie cominciava a svelarsi tra i capelli neri mentre il suo sorriso straordinariamente perfetto si rivelava con molta più parsimonia…Eppure mieteva allori come un eroe dell’antichità.”
Romualdo è un personaggio mutevole nel tempo nel suo carattere, con profondi tratti umani, in una Sicilia alle soglie del primo conflitto mondiale. Giuditta sembra cogliere forse meglio delle altre figlie gli aspetti caratteriali del genitore con cui spesso ha dei contrasti.
Giuditta e il Monsù è un libro che documenta e illustra un mondo interiore ed esteriore, con toni di diverso segno, a volte anche tragici, con la vicenda di questi due giovani che crescono insieme e finiscono per innamorarsi. Ma il loro è un amore senza sbocco. Un libro che inizia con un parto e una nascita e si conclude con l’attesa di un’altra venuta al mondo, in una circolarità di storie che si intrecciano e si concludono.
Il nome “Monsù” è quello con cui veniva chiamato dai servitori il cuoco di casa, ma dai padroni di casa del romanzo invece sarà trattato come uno di famiglia, chiamato con il nome di Don Nicola. A succedere nei suoi compiti sarà proprio Fortunato.
Ne libro chiaramente si parla pure di cucina e della preparazione delle diverse pietanze. Una cucina che è corporeità, fisicità, sensualità, che si esprime quando si prepara un impasto. E a questo riguardo si vuole citare un pezzo:
“Giuditta sperava in cuor suo di trovare un animale da sezionare e invece trovò dei semplici pezzi di carne già pronti per essere preparati. Vostro padre non vuole animali morti in cucina, sussurò il figlio del monsù, che si era reso conto della delusione nello sguardo della bambina. Bisogna condire la carne e per questo fine, ci vogliono le tue tanto amate qualità? Fortunato si sentì chiamato in causa e sgranò i suoi grandi occhi azzurri.. Per ogni chilo di carne ci vuole, un cucchiaino di caffè di pepe nero, uno da the di sale e tre cucchiai da brodo di olio. Fortunato scriveva velocemente per paura di perdere un solo passaggio tenendo una matita tra i denti e una tra le dita.”
Una prosa accattivante molto vicina a quella teatrale, che è una cifra caratteristica dell’autrice che mescola l’idioma siciliano ma in misura moderata e non prevalente, che immerge ancor più il lettore in questa realtà “romanzesca”. Un romanzo coinvolgente, da cui emerge la passione dell’autrice per la scrittura, traendo spunti e riflessioni che somigliano a una sceneggiatura teatrale
Una saga familiare che è insieme la narrazione della vicenda sentimentale di due giovani appartenenti a due diversi mondi che si incontrano; una storia tutta da leggere per la scrittura fluida, lo stile letterario e la prosa di qualità.
Giuditta e il Monsù
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