Gli zii di Sicilia
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2013
Quando per i tipi della casa editrice Einaudi (nella collana “I Gettoni”), dopo una travagliata vicenda editoriale, nell’autunno del 1958 il giovane Leonardo Sciascia pubblica la sua prima raccolta di narrativa breve intitolata Gli zii di Sicilia , è già un autore apprezzato.
Lo scrittore aveva già dato alle stampe Le favole della dittatura (1950), recensito da Pier Paolo Pasolini, La Sicilia, il suo cuore (1952), l’unica sua silloge di poesie, il saggio Pirandello e il pirandellismo (1953), che gli fa vincere il “Premio Pirandello” della Regione Siciliana (1955), e il romanzo Le parrocchie di Regalpetra (1956).
Gli zii di Sicilia, edita oggi per Adelphi (2013), era in origine composta da tre racconti, tutti sorti dall’osservatorio privilegiato dell’Isola: La zia d’America, La morte di Stalin e Il Quarantotto. L’antimonio, un racconto contro la bestialità delle guerre, entra a far parte del libro con la sua seconda edizione, nel 1960 (nei "Coralli" Einaudi).
Il racconto La zia d’America, dalla strategia ad incastro, si svolge nel periodo intercorrente fra lo sbarco degli americani sull’isola e l’immediato secondo dopoguerra, con accenni al separatismo capeggiato da Finocchiaro Aprile.
Il narratore è un ragazzino che volge lo sguardo a ciò che accade in famiglia e nel paese, offrendo testimonianze che dissacrano il mito americano della libertà disinteressata.
La zia d’America, emigrata negli Stati Uniti, non dimentica i parenti poveri della Sicilia e regolarmente spedisce loro pacchi regalo. Non solo lei, ma generosi sono tutti i siciliani lì espatriati:
"Tutto il paese era vestito di roba americana, tutto il paese viveva con i soccorsi dei parenti d’America, non c’era famiglia nel paese che non contasse su un parente in America".
Il dono è opportunistico: nasconde secondi fini. Le lettere inviate dall’America alla sorella sono un distillato di furbizia. Da un lato, la zia invia i pacchi, dall’altro chiede di non votare per il partito comunista, perché l’America crede in De Gasperi e nella Democrazia cristiana.
Qualora i comunisti, “nemici della religione e dell’ordine”, debbano vincere le elezioni, l’America non sosterrebbe più l’Italia e la zia non manderebbe più regali.
Richieste analoghe arrivano alle altre famiglie che hanno parenti in quel continente:
"E certuni debbono pensarci davvero, se i parenti d’America non mandano più niente è come quando ad un mulo si toglie l’orzo, a mangiare paglia restano."
Nel racconto La morte di Stalin , è il culto della personalità a cadere. Calogero, che ha vissuto il patto del 1939 tra Stalin e Hitler, è un calzolaio comunista dalla fede incrollabile nel suo idolo. Ma di quell’alleanza non sa darsi pace.
Le scene intrecciano cronaca e storia; i dialoghi tra il protagonista e l’arciprete si fanno talora esilaranti, mentre l’immaginazione del calzolaio si sbizzarrisce per aggrapparsi al mito del compagno Stalin:
"Lu zi’ Peppi, lo zio di tutti, il protettore dei poveri e dei deboli, l’uomo che aveva nel cuore la giustizia."
Il suo modello ideologico è un’autosuggestione? Accadono fatti che culminano nel ventesimo congresso del PCUS e Calogero si convince: "Stalin era stato un tiranno". Tuttavia, fino all’ultimo, cerca di giustificarlo: all’arciprete dice che l’età fa diventare strambi e chiede compassione per l’anima di lui.
Il Quarantotto si svolge in Sicilia durante i moti rivoluzionari, ambientato in un paese di nome Castro, anche se vi si trova il mondo di Regalpetra o Racalmuto.
A narrare i suoi ricordi è un popolano di cui non si conosce il nome, figlio del potatore a servizio del barone Graziano. Scampato all’arresto per aver partecipato alla rivolta dei fasci siciliani, è cercato da carabinieri e soldati del Regno d’Italia. Rifugiatosi in una casa di campagna, grazie all’aiuto di amici fedeli, ormai vecchio e stanco, si abbandona alla scrittura per trovare un’oasi di tranquillità:
"E scrivere mi pare un modo di trovare consolazione e riposo; un modo di ritrovarmi, al di fuori delle contraddizioni della vita, finalmente in un destino di verità."
Il resoconto mostra il camaleontismo politico conseguente ai moti del ‘48. Nobili e preti, conservatori e oppositori del cambiamento liberale, mossi dall’opportunismo, cambiano le carte in tavola e si schierano a favore dei ceti emergenti, per mantenere gli avidi privilegi di classe. A seguito dello sbarco dei garibaldini a Marsala, ecco la sorpresa: il barone vestito di scuro e con una coccarda tricolore al petto accoglie Garibaldi, offrendogli ospitalità nel palazzo.
Nel quarto e ultimo racconto di Gli zii di Sicilia, L’antimonio, con rimandi e parallelismi Sciascia fa affiorare affinità tra Sicilia e Spagna e rende i lettori partecipi della “guerra civile” dal 1936 al 1939, mostrando il dolore fratricida. La storia è quella di un minatore che, al fine di sfuggire alla miseria della zolfara, si arruola volontariamente per parteciparvi. Quando si rende conto del peso di quella guerra che non capiva, il protagonista traccia un ritratto del generalissimo, associandolo ai boss del suo paese.
Quelle che il lettore riceve da questi racconti dai dialoghi vivacissimi e intensi sono acquisizioni sociali, storiche e antropologiche preziose, la cui chiave di lettura proposta da Sciascia è la demistificazione di ogni impostura.
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