Ho scelto la prigionia. La resistenza dei soldati italiani nei lager nazisti 1943-1945
- Autore: Vittorio Vialli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2020
Era stato per quasi due anni prigioniero nei lager tedeschi, non per colpa sua, ma ne provava vergogna. Aveva rifiutato di servire la Repubblica di Salò, restando a patire fame, malattie, sporcizia, umiliazioni e non aveva mai voluto parlarne. Sorprendentemente, durante quell’esperienza difficile Vittorio Vialli era riuscito a scattare 400 fotografie, che oggi sono un documento unico dell’internamento militare, proposto nel volume Ho scelto la prigionia. La resistenza dei soldati italiani deportati 1943-1945 da il Mulino (2020, 224 pagine), a quasi mezzo secolo dalla prima edizione 1975, per un altro editore.
La nuova pubblicazione nasce su progetto della Sezione fiorentina dell’ANEI (Associazione ex internati), col sostegno del Ministero della Difesa e dell’ANEI nazionale, arricchita dai contributi del docente universitario Emiliano Macinai e della ricercatrice Luana Collacchioni. È la fotocronaca straordinaria e fedele di una detenzione durata oltre diciannove mesi, sorte condivisa da 650mila soldati italiani di ogni grado, dopo l’8 settembre 1943, quando in risposta all’armistizio del re con gli Alleati i germanici avviarono una gigantesca retata di militari e civili italiani in tutta l’Europa occupata.
Vialli, classe 1914, tenente di fanteria aggregato alla Regia Marina come responsabile del canale di Corinto in qualità di geologo, venne catturato e deportato dai tedeschi: un mese di viaggio in un carro bestiame. Non volendo aderire alla Repubblica fascista di Salò, rimase internato militare – non riconosciuto quindi come prigioniero di guerra – in vari lager nella Polonia occupata e in Germania.
Era riuscito a nascondere l’ottima Zeiss, strumento abituale nel suo lavoro scientifico. Sviluppava e stampava da solo, per scegliere le inquadrature con un taglio personale. In seguito consegnerà l’ingombrante macchina fotografica a un militare tedesco della Wehrmacht – che gliela restituirà alla fine della guerra – per fare ricorso a una Leica più maneggevole, fornita da un amico.
Il libro è un album di oltre 400 eccellenti foto clandestine, un diario per immagini dei campi d’internamento, quasi cinematografico, fino alla liberazione a Fallingbostel, il 16 aprile 1945. Gli scatti rimasero nel cassetto per anni, rullini scampati miracolosamente alle perquisizioni, sopravvissuti perfino alla bollitura in autoclave. Solo sviluppati, non stampati.
Nel 1975, moglie e figli lo convinsero a proporle, con le relative didascalie, in un primo libro, che ebbe poca tiratura e distribuzione. Nel 1982 l’ANEI ne stampò un secondo, più curato, non in vendita, con la prefazione di Sandro Pertini e scritti di Ferruccio Parri e Raffaele Cadorna.
Tornato a Milano dopo la deportazione, Vialli aveva ripreso il lavoro di conservatore nel Museo Civico di Storia Naturale. È scomparso nel 1983 e non aveva mai parlato volentieri della sua esperienza. Si era espresso attraverso le immagini, senza bisogno di tante parole.
Era stata la piccola fotocamera a fargli “scattare” il desiderio di beffare i tedeschi a rischio della vita. Gli aveva dato la forza di resistere. La nascondeva nel cappotto o nelle mutande, con un pugno di rullini, smontata e rimontata, finita in autoclave due volte, avvolta in stracci eppure sempre funzionante. Fotografava la vita nel campo, i carcerieri, il comandante del lager, la radio clandestina, il fotografo tedesco che immortalava gli internati, gli appelli al gelo, le conferenze, le messe, le lezioni universitarie improvvisate nelle baracche, l’assassinio a sangue freddo di un nostro ufficiale a opera di una sentinella tedesca.
Nonostante il governo monarchico avesse dichiarato guerra alla Germania il 13 ottobre 1943, Hitler non volle considerare prigionieri di guerra i soldati italiani catturati dopo l’8 settembre, ma “traditori badogliani”, puniti con l’internamento e il lavoro coatto. All’inizio del 1945, gli IMI (internati militari italiani) incrociarono le braccia e i tedeschi ridussero le razioni di cibo agli ufficiali, favorendo la diffusione di edemi da fame e tubercolosi. Il 5 aprile ordine di trasferimento. Solo bagaglio a spalla, due le destinazioni possibili: Buchenwald o Bergen-Belsen, campi di sterminio. Per buona sorte, l’ultimo viaggio è saltato: una divisione corazzata britannica era già alle porte di Hannover.
Il 16 aprile 1945 Vialli ha fotografa l’avanzata dei carri armati inglesi: l’unica foto mossa, per l’emozione. Documenta i 2.500 morti del cimitero italiano di Fallingbostel, raggiunge il vicino lager di Bergen-Belsen, vede i forni crematori e le fosse comuni. Non aveva più il coraggio di scattare, a parte la tomba di un’ebrea italiana quindicenne. Poco dopo la liberazione, denutrito (pesava 40 chili), si ammalò di pleurite, costretto al ricovero e alla convalescenza in un ospedale militare inglese. Riuscì a rientrare in Italia solo il 30 agosto 1945, via Merano.
A conclusione del diario, ha scritto che quella degli IMI è una vicenda da non dimenticare e non per rinfocolare l’odio, ma per far conoscere i “guai” che possono nascere dall’intolleranza, dal fanatismo, dalla demagogia.
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