Il Milite Ignoto cento anni dopo. Storia del soldato senza nome
- Autore: Piero Turco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Una cerimonia “austera e semplice” il 4 novembre 1921, come l’aveva voluta uno degli organizzatori, il ministro della guerra Luigi Gasparotto. Commozione, partecipazione, silenzio, sebbene i filmati fossero muti: sono i particolari che mi hanno sempre colpito delle brevi riprese della traslazione da Aquileia a Roma della bara del caduto ignoto, verso la destinazione d’onore: la tomba nel Vittoriano, in Piazza Venezia, al centro della capitale. Il rispetto, il dolore composto, l’unità di tutti con quei resti nei quali tutti si riconoscevano. Li ho ritrovati nel libro Il Milite Ignoto cento anni dopo. Storia del soldato senza nome, un volume che si distingue nettamente, per il grande formato (21,5x29,5) e che parla di antico, racconta, testimonia. Sembra anche antico, per i caratteri arcaici delle grandi pagine, una patina di passato che lo copre, la grafica “di una volta” delle immagini riprodotte anche a colori, le cartoline d’epoca, l’impaginazione anastatica. Tutto concorre a conferire connotati d’altri tempi, per quanto la pubblicazione sia recente, prima edizione a ottobre 2021 per Publimedia, ristampa a novembre.
A cura del generale di brigata della riserva Piero Turco (complimenti, per l’opera realizzata) e con i contributi di altre firme, il volume è nato nel Centenario della tumulazione a Roma del Milite Ignoto, su iniziativa della Sezione di Portogruaro dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, con il patrocinio tra gli altri del Ministero della Difesa e della Regione Veneto.
“Vennero azionati gli argani e la bara scomparve lentamente dietro la lastra di marmo, che lentamente si chiuse.”
Nella prefazione, “Le storie che fanno la Storia”, il giornalista e pedagogista Giuseppe Desideri evidenzia che un secolo fa la chiusura della lapide del soldato senza nome nell’Altare della Patria segnò il momento collettivo e più alto della presa di coscienza di un’intera nazione dell’orrenda ferita che direttamente o indirettamente la Grande Guerra aveva inferto a quasi tutte le famiglie italiane. Quel caduto rappresentava il figlio strappato alla madre, il ragazzo tolto al padre o un padre stesso, un fratello, un nipote, un amico, un concittadino, un compaesano. La storia di quel giovane italiano morto in guerra era stata cancellata dall’impossibilità di un riconoscimento. Non si sapeva se fosse se meridionale o settentrionale, bruno o biondo, contadino o istruito, figlio o genitore, ma riprendeva un posto nella storia, a nome non solo dei dieci compagni ignoti non scelti ad Aquileia, ma degli oltre 600mila caduti al fronte: età media 22 anni.
Oltre alla completezza dell’opera e alla serietà della ricostruzione storica, Desideri riconosce al gen. Turco il merito di avere offerto la storia del Milite Ignoto attraverso le storie di quanti si spesero per rendere possibile l’omaggio di una Nazione ai propri caduti. Luigi Gasparotto, politico e militare pluridecorato che da ministro promosse il tributo all’Ignoto. Il tenente Augusto Tognasso, eroe di guerra, testimone della ricerca, nei luoghi più sanguinosi del fronte, delle undici salme di militari italiani non riconoscibili. Del coraggioso Giuseppe De Carli, infiltrato nelle linee nemiche. Del cardinale Celso Costantini che celebrò le cerimonie religiose nella basilica di Aquileia. Della madre d’Italia Maria Blasizza in Bergamas, che operò la scelta, a sua volta scelta tra le madri che avevano perso al fronte figli mai ritrovati e non potevano piangere davanti a una tomba.
In quella nell’Altare della Patria — ora la bara è stata arretrata nella cripta della Cappella del Vittoriano — tutti si riconoscevano, ma i resti erano irriconoscibili, proprio perchè chiunque potesse considerare suo quel caduto. La Nazione intera aveva partecipato al conflitto: 5milioni 615mila maschi, sui 35milioni 600mila italiani e italiane censiti nel 1911, erano strati chiamati a indossare una divisa, dal maggio 1915 al novembre 1918. Un intero popolo partecipe dello sforzo bellico, osserva il gen. Turco e quel caduto rappresentava anche il valore dei nostri combattenti.
Che differenza tra l’irriconoscente bollettino del Comando Supremo dopo la rotta di Caporetto e questa rivalutazione del sacrificio di ogni militare nel conflitto. E che differenza anche tra la silenziosa, magari mugugnante osservanza del dovere di più di 5milioni e mezzo di arruolati e l’insubordinazione, la viltà di fronte al nemico, la diserzione di gran parte dei giustiziati dai plotoni d’esecuzione (anche loro vittime della guerra, che si vorrebbe riabilitare). 750 fucilati, tanti rispetto alle esecuzioni comminate dagli altri eserciti europei nel conflitto, ma pochi in confronto ai combattenti per l’Italia in quasi quattro anni.
La prima stesura del bollettino del 28 ottobre 1917, poi fatto modificare dal Governo, denunciava “la mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico”. La motivazione della medaglia d’oro al Milite Ignoto riconosce invece solennemente l’impegno dei nostri militari:
“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senza altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il Milite Ignoto cento anni dopo. Storia del soldato senza nome
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