Il curioso caso di Benjamin Button
- Autore: Francis Scott Fitzgerald
Recensione di Elisabetta Bolondi
Nel 2009, mentre usciva in Italia l’omonimo film con Brad Pitt, è stato pubblicato con notevole sincronismo editoriale il racconto breve dal titolo Il curioso caso di Benjamin Button, inedito fino ad allora da noi, da cui il film prende spunto.
Curioso davvero il caso di Benjamin che, nella raffinata Baltimora del 1860, alla vigilia della guerra civile, viene alla luce in una clinica per ricchi, ma al momento della nascita appare come un vecchio di settant’anni, bianco di capelli, ingobbito, rugoso, con occhi slavati e privi di vitalità. Lo scandalo di tale caso si propaga in città e il padre, importante imprenditore del ramo ferramenta, a stento riesce a nascondere l’evento portentoso: tenterà per anni di non accettare questo insolito figlio che, col trascorrere del tempo, ringiovanisce e acquista forza, bellezza, fascino... Incontrerà una donna di cui si innamora e che sposerà; il figlio Roscoe, trascorsi ancora anni difficili, si troverà a far da padre a suo padre, che ormai si avvia a divenire un poppante, cullato dalla tata in una culla, verso un totale oblio di sè.
Metafora bellissima quella messa in scena da Fitzgerald: l’infanzia che è piena di saggezza, di consapevolezza; l’età di mezzo che è l’unico momento straordinariamente felice della vita dell’uomo, e poi la decadenza in un’infanzia smemorata, in una senilità insensata...
Il racconto fulminante, poco più di cinquanta pagine, ci mette di fronte ad una finzione che sembra realtà, tanto il linguaggio è naturalmente fluido e semplice. La letteratura fantastica, così cara alla tradizione angloamericana, ha in queste pagine un sussulto di vitalità: non possiamo non pensare a Poe, a James, allo stesso Mark Twain oltre ai debiti che forse Fitzgerald paga alla grande tradizione europea. Kafka, Hoffmann, Gautier mi vengono in mente, mentre sorrido guardando le bellissime illustrazioni di questo piccolo prezioso libretto dall’impeccabile traduzione italiana.
Il curioso caso di Benjamin Button: la genesi del racconto
di Alice Figini
Il racconto ebbe parecchio successo, ma suscitò anche alcune perplessità da parte del pubblico proprio in virtù dell’originalità della storia narrata.
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Il primo a essere perplesso del risultato era proprio l’autore stesso, Francis Scott Fitzgerald, che nell’introduzione all’antologia Racconti dell’età del jazz cercò di spiegare la genesi della sua idea:
Questa storia è stata ispirata da un’osservazione di Mark Twain secondo cui era un peccato che la parte migliore della vita venisse all’inizio e quella peggiore alla fine. Provando l’esperimento su un solo uomo in un mondo perfettamente normale, ho a malapena dato alla sua idea una prova equa. Alcune settimane dopo averla completata, ho scoperto una trama quasi identica nei Note-books di Samuel Butler.
Nell’introduzione Fitzgerald riportava anche la sorprendente lettera da parte di un anonimo ammiratore di Cincinnati, che scriveva così:
Signore...
Ho letto il racconto Benjamin Button su "Colliers" e vorrei dire che come scrittore di racconti saresti un buon pazzo. Ho visto molti pezzi di formaggio nella mia vita, ma di tutti i pezzi di formaggio che ho visto tu sei il più grande. Odio sprecare una fetta di formaggio stagionato, ma per te lo farò.
Non è dato sapere se il famoso pezzo di formaggio stagionato fosse stato inviato, o meno, assieme al messaggio. Questo Fitzgerald non lo dice.
Il tono della lettera sembrava confermare l’atmosfera inverosimile e vagamente auto-ironica che ruotava attorno alla storia. Lasciamo quindi ai lettori l’arduo compito di decifrare il senso della lettera dell’ammiratore misterioso; l’enigmatica missiva tuttavia piacque molto a Fitzgerald, la trovò elogiativa, tanto da riportarla persino nell’introduzione quando il testo fu ripubblicato nelle Tales from the Jazz Age edite da Charles Scribner’s Son.
Il curioso caso di Benjamin Button può sembrare un racconto divertente e di stampo surrealista, ma in realtà si rivela essere tutt’altro: la sua è una “spassosità” che può essere definita straziante. Racchiude una metafora della vita capace di offrire ai lettori un interessante spunto di riflessione.
L’idea di un racconto con protagonista un “uomo dalla vita al contrario” in realtà non era un’idea originale di Fitzgerald. Un saggio di Andrew Crosland pubblicato nel 1979 individuava i legami tra quanto scritto dall’autore americano e le opere di Mark Twain e di Samuel Butler che contenevano cenni e riferimenti alla vita vissuta al contrario.
Fitzgerald, a differenza degli altri scrittori, riuscì a sviluppare la tematica dandole forma in una storia di senso compiuto. L’autore seppe servirsi della vita di Benjamin Button come metafora per dimostrare come il momento più autentico e puro della vita sia in realtà l’infanzia, la vera stagione della saggezza.
Nell’opera Fitzgerald inoltre intesseva una profonda riflessione sul concetto di tempo, ricordando all’umanità che si trattava in fondo di una nozione astratta inventata dall’uomo. Il “tempo della vita” che viene vissuto come un eterno ciclo di nascita e morte nel racconto sembra smarrire ogni confine: Fitzgerald accosta le due età estreme dell’esistenza, l’infanzia e la vecchiaia, mostrandone i punti di congiunzione che, in fondo, sono gli stessi che legano inavvertitamente la nascita e la morte.
Nascita e morte non sono altro che “passaggi di stato” che possono condurre altrove lo spirito: nel finale questo è ancora più evidente, quando Benjamin impara di nuovo a parlare, come se dovesse prepararsi a vivere un’altra vita.
Il curioso caso di Benjamin Button
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Se la vita si svolgesse al c ontrario cosa accadrebbe? Sarebbe meglio o sarebbe peggio? E chi lo sa... Fitzgerald cerca di dare una risposta.