Il farmaco di Gilda Policastro

Poetessa e giornalista, Gilda Policastro è qui alla sua prima esperienza nel romanzo, pieno di rimandi, di morbosità e amore negato.
Libro lirico, denso, molto ambizioso, il farmaco, che etimologicamente è la cura, ma anche il veleno, ti prende per la collottola e non ti lascia respirare.

La protagonista è Enza, un’infermiera che ha gesti d’amore verso i suoi pazienti, ma al contempo anche di insofferenza e di fastidio verso le persone vecchie, che le ricordano che la vita è un transito obbligato che ti riempie di rughe e di acciacchi. La donna è presa dal primario Bardamu, un medico ambizioso e libertino che ha una vera ossessione erotica nei confronti di Enza, che vorrebbe vedere sottomessa e schiava al suo servizio.
La scrittrice mette all’inizio del romanzo una frase di Groddeck che recita

"E’ nella natura stessa dell’amore non volere soltanto accarezzare l’amato, ma fargli anche del male".

Enza ha una vita pesante, un marito, Mario, che la tratta come un oggetto, non ha gesti d’amore, né di comprensione, ma stranamente hanno trovato degli strani equilibri nella loro vita coniugale.
L’atmosfera del libro è cupa, vibrante, ci sono coincidenze non spiegate, scelte che non possono essere messe in pratica. Se Enza non lascia Mario è anche per rassegnazione.

"Enza quando ritorna lo guarda come se si stupisse di trovarlo in casa, come se il suo volto le facesse rabbia o pena, lui non dice niente, si trattiene per non litigare, che è sempre capace di rovinarle tutto, lui, anche quella ora di svago che si è concessa per l’unica volta per una intera settimana".

Il problema è che in questo romanzo nessuno crede all’amore, sono tutti invischiati in sacche di disamore che arrivano da lontano, da adolescenze solitarie, da investimenti emotivi sbagliati.
La mia impressione è che, in modo più aulico e ricercato, certe pagine di questo libro ricordino la scrittrice austriaca Elfriede Jelinek e la sua Pianista.