Il fuoco nel mare
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2010
I racconti, scritti da Leonardo Sciascia in tempi diversi, sono stati raccolti da Paolo Squillacioti e pubblicati da Adelphi nel 2010 con il titolo Il fuoco nel mare. Racconti dispersi (1947-1975).
Per una loro valutazione bisognerebbe tener conto del “frammento”, innestato spesso sulla tradizione orale e impreziosito di venature ironiche e grottesche: una prosa, cioè, che finge continuamente nel non narrare per dare rilievo all’andamento del saggio di costume. Nella narrazione che dà il titolo alla raccolta viene ripresa la leggenda di Cola Pesce riportata da Giuseppe Pitrè e rielaborata secondo una personalissima veduta.
Situa il ragazzo a forma di pesce al tempo di Federico II e lo presenta come l’esperto nuotatore e il profondo conoscitore dei segreti del fondo del mare. C’è proprio una rappresentazione del sovrano capriccioso che, stuzzicato dalla curiosità, lo sottopone a prove sempre più difficoltose e capricciose.
È alla fine l’astuzia di Cola Pesce a prevalere sull’arbitrio, sfuggendo alle insidie di un mondo ingannevole senza più riemergere per rendersi libero. Fra le acque vi è un punto di fuga, di rivincita e di riscatto nel sogno. Fra le acque tornano gli slanci, le sensazioni, i sentimenti che radicalmente ogni autoritarismo nega.
La malignità assidua viene così vinta da una scelta per una fondamentale fiducia in ampie zone di luce. Se alla fine il re volle credere che il fuoco nella profondità marina si era mangiato “un uomo coraggioso e devoto” che “per suo ordine aveva saputo affrontarlo e morire”, ben diversa era la verità popolare nascosta al suo miope sguardo:
Né mai volle credere, poi, che Cola era ancora vivo nel mare, che molti naviganti lo vedevano giocare coi delfini, a cavallo dei pescispada. E così lo si può vedere anche oggi, in certe giornate di sole, in certe notti di luna, quando il traghetto tra la Sicilia e la Calabria arriva in quel punto dove allora era il vascello di Federico: da dove Cola per l’ultima volta scese in mare, deciso, dopo aver conosciuto quel grande re e i suoi ministri, a diventare per sempre pesce.
Nel racconto Il silenzio, che viene a essere l’esempio di sequenze filmiche abbastanza fedeli a ogni azione, ad a ogni precisazione storica e folclorica, il tempo e lo spazio sono accuratamente evocati: siamo nella Sicilia che conobbe lo sbarco dei dei Mille diretti a Palermo. Il ritmo della descrizione è inserito in una logica progressiva di sviluppo. Su ordine di Garibaldi, una colonna di venti soldati, “stracchi nel passo, improvvisamente stanchi e spersi” al comando del colonnello Orsini, doveva raggiungere la cittadina di Giuliana lungo lo stradale di Corleone. Marciavano attraverso polverose trazzere: lenta la fila dei carri sui quali i feriti gemevano, inutili i “grevi cannoni”, mentre il colonnello Vincenzo Giordano Orsini, mostrando la sua imponenza, veniva scortato dai campieri di un feudo della zona. Per i contadini la presenza di quei due “era consegna di silenzio”:
Non c’era bisogno di una esplicita raccomandazione: quei due uomini neri spargevano, ovunque, passassero, il silenzio. Erano come invisibili, rendevano invisibile tutto ciò che accompagnavano e proteggevano.
Intanto, le truppe borboniche (cinquemila uomini), comandate da Luca von Mechel, incalzavano la colonna garibaldina perché convinti che stessero inseguendo Garibaldi, e invece il generale stava per attaccare Palermo. Mentre Corleone veniva da loro saccheggiata, a Giuliana era già arrivata la grama colonna di Orsini. Le due guide, data l’ostilità mostrata dal paese, gli proposero di andare a Sambuca: “un paese vicino e, per una eventuale resistenza, in migliore posizione”. Sciascia incarna l’arte quasi sempre della teatralità, perciò il racconto diviene quasi sempre una sorta di palcoscenico per l’esibizione delle vicende.
C’è la rappresentazione dell’avventuroso nello scenario angoscioso e nel contempo festoso:
A mezza strada incontrarono i notabili di Sambuca: venivano loro incontro ad invitarli, a rassicurarli. Avevano saputo di quel che era capitato a Giuliana. Pareva funzionasse, tra i paesi, una catena di segnalazioni come nelle foreste africane: quel che succedeva in un paese subito si sapeva nei paesi vicini.
L’accoglienza non poteva essere più che cordiale. Persino illuminato era il paese; i feriti furono alloggiati nelle case dei popolani che mostrarono qualità improntate alla pietà, alla gentilezza, al coraggio. Pensosamente smarrito, il colonnello pensava alla povera gente del paese, estranea alle sorti del Risorgimento, ma in esso ormai coinvolta:
Quei segni di greve miseria lo colpivano. Non aveva mai visto questa faccia dolente e squallida della sua terra. E più lo colpiva che in queste condizioni di vita non diverse da quelle della capra, dell’asino, la gente conservasse intatti e alti i sentimenti umani: la pietà, la gentilezza, il coraggio. E si chiese se davvero avevano il diritto di portare a gente simile nuove sofferenze, la violenza della guerra, il rischio della devastazione e del saccheggio, e in nome di che cosa. ‘In nome della libertà di scrivere dei libri, di pubblicare dei giornali, di eleggere dei rappresentanti?... E la libertà di non avere fame, di abitare in luoghi più umani, di vestire dignitosamente?.
Lasciamo ora al lettore l’opportunità di scoprire l’ingegnoso espediente col quale, all’arrivo della cavalleria di von Michel a Sambuca, l’arciprete Ciaccio lo dissuase dal fare una rappresaglia. L’intarsio narrativo ha il brivido della partecipazione ed è un momento quanto mai opportuno dell’itinerario di conoscenza dell’Italia preunitaria.
C’è molto di storia in questi racconti di Sciascia, brevi, brillanti e incisivi tra cronaca e invenzione, ed essi vanno letti come una ricerca sulla Sicilia a partire dallo sbarco delle truppe anglo-americane nelle spiagge tra Gela e Licata il 10 luglio 1943.
Chiude il volume la Nota al Testo di Paolo Squillacioti: preziosa la sua ricerca che fornisce informazioni sui ventiquattro racconti presentati, compresi i due riportati in "Appendice”. Sono informazioni essenziali sulla stesura e sulla pubblicazione dei testi. Nel corso della presentazione del progetto editoriale, la cui idea era nata dall’entusiasmo della vedova di Sciascia, Maria Andronico, paziente raccoglitrice del materiale, si legge:
La nostra selezione offre comunque un’ampia campionatura di modalità espressive e temi cari a Sciascia: Regalpetra e i suoi personaggi, la zolfara e la vita contadina, la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale, il fascismo e l’impresa garibaldina, la mafia e la politica, ma anche il gallismo e la trasposizione ironica di vicende tipiche della cronaca rosa degli anni Cinquanta, come i tentativi (reali o simulati) di suicidio di dive del cinema in “Carnezzeria” o le vicissitudini amorose di Roberto Rossellini in “Cronaca di un amore”.
Penetrante lo sguardo di Leonardo Sciascia, rapace, attento ai pregi e ai difetti dei siciliani, tra cui il gattopardismo, nella vita assonnata e ridanciana del paese, tant’è che il racconto d’apertura, Paese con figure, con uno stile raffinato comincia con l’evocazione del paese natio, tanto più vicino nella memoria quando se ne è lontani. Non è poco, in una letteratura ormai distante dalla realtà.
Il fuoco nel mare. Racconti dispersi (1947-1975)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il fuoco nel mare
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