Il palato assoluto: un racconto
- Autore: Andrea Camilleri
Fino a che punto il dato nativo può condizionare il comportamento dell’individuo? Sembra questo l’interrogativo di fondo che anima il lungo racconto "Il palato assoluto", offerto ai lettori di “Stilos” (inserto del quotidiano “La Sicilia” del 7 agosto 2010).
Essenziali le pennellate che caratterizzano il personaggio attorno a cui ruota la vicenda che si svolge negli anni del boom economico, manifestatosi anche con la scoperta della buona tavola. Caterino Zappalà, così egli si chiama, ha un destino segnato sin dalla nascita per via delle papille gustative che lo renderanno famoso addirittura a livello internazionale. Scelto dalla mafia che vede nelle sue dotazioni l’opportunità a incrementare il giro degli affari, si trova a svolgere il compito di assaggiatore a pagamento, essendo prerogativa del palato assoluto la capacità di selezionare il gusto:
“… E se c’è qualcosa che non va, un minuscolo frammento di carne non propriamente freschissimo, un pisello troppo vecchio, un pezzettino di besciamella non cotta a puntino, un filo di pasta andato a male, il suo palato l’individua immediatamente procurandogli un immediato rigetto. In altre parole, egli è una specie di cartina di tornasole per i cibi. Se li mangia senza che abbia alcun disturbo, questo significa che i cibi sono assolutamente freschi e genuini”.
Il suo giudizio è legge, cosicché, i clienti di un determinato locale si sentono rassicurati perché nulla di anomalo accade loro. I vantaggi economici sono soddisfacenti pure per lui, la cui vita si svolge fra i ristoranti più rinomati e i raggiri più insoliti a prescindere dalle sue intenzioni. Quando conosce Annarosa si manifestano in lui ben altre esigenze che ce lo fanno vedere in modo del tutto diverso.
L’abilità di Camilleri nel rappresentare il contrasto pirandelliano fra ciò che si è e ciò che appare è del tutto singolare. Via via Caterino capisce quale possa essere la sua vocazione più autentica, individuandola nella ripresa degli studi universitari di ingegneria e nel desiderio di sposare la sua ragazza. Sottrarsi al ritmo consumistico che l’attanaglia, è in effetti la meta a cui aspira all’insegna di una vita in grado di assicurargli stabilità d affetti. Diversi gli eventi che facilitano in lui il perseguimento di questi nobili intenti e che fanno scattare la responsabilità della scelta. Puntuale in proposito il commento di Gianni Bonina nella chiara e amorevole nota introduttiva al racconto. Egli così scrive:
“Una fiaba dunque, che premia l’honnête homme, esalta lo spirito domestico, promuove i migliori sentimenti e ordina i valori della vita secondo un criterio di selezione basato non sul profitto e il tornaconto banausico ma sull’amore e il calore irenico. Una fiaba che va vista in controluce, però, nelle forme della parodia”.
Lo stile è sobrio, immediato, fluido; l’andamento abbastanza lineare con un minimo di intreccio, mentre la scrittura si sviluppa nei piani del reale e dell’immaginario attraverso il paradosso e il grottesco. La forma di cui si è prigionieri giganteggia nell’epilogo di questo bel racconto: come a dire che, malgrado qualunque spinta al cambiamento biografico, non può mai cancellarsi la presenza della propria “ombra”. Così non rimane che sublimarla nell’umorismo, tutto sommato il vero protagonista della “fabula”.
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