Il venditore di metafore
- Autore: Salvatore Niffoi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2017
La lingua di Salvatore Niffoi è qualcosa di provvidenziale, di poetico e di sfrontato al contempo. Policroma come il vento che spazza la geografia del Supramonte. Fatemela passare, perché è l’ultimo ricorso alla retorica che farò. Anche se non è facile al cospetto di un romanzo di Niffoi: suona persino inelegante restituirne taglio, passo e stratificazioni con parole diverse dalle sue. Qualche rapido esempio:
- la descrizione terragna di Soliana in Soliana bella come il sole (p. 107):
“La femmina con gli occhi lucenti di nome faceva Soliana Crabizzosa, aveva la carnagione ambrata e due amuleti a forma di pesce come orecchini. Per non perdere neanche un raggio di sole Soliana si alzava presto ogni mattina, pane di segale inzuppato nel latte fresco, un uovo crudo bevuto dopo aver bucato il guscio con una forcina, e poi via, con uno scialletto di seta turchese annodato ai fianchi a camminare scalza sul fiume, cantando in rima versi inventati lì per lì”.
- L’attacco di La Carestia Manna (p. 21):
“Il seme della carestia arrivò la seconda domenica di maggio, con una locusta solitaria grande come un pugno”.
- E quello di L’apocalisse (p. 171):
“Un giorno il sole tremò come un’immensa bolla di sugna liquida pronta a scoppiare”.
A questo punto mettiamoci d’accordo sul fatto che la lingua di Salvatore Niffoi è una lingua lucidissima (che suona), e non torniamoci più. “Il venditore di metafore” (Giunti, 2017), dunque. Come dire l’iconico armamentario di un contastorie, qualcosa di diverso e di più dell’usuale cantastorie: fuori la cronaca e dentro l’epos. Epos quanto ne vuoi, a bizzeffe. L’epos che frastaglia e inturgidisce il quotidiano di una Sardegna-mondo. Una Sardegna marquesiana, neo-Macondo, qui e altrove, realista-magica, affamata, ancorata (e disancorata) alla sua storia, dove il riso amaro confina col fantastico, il grottesco nel “cinema in diretta”, nella paura dei topi, nel cielo e mare a perdere, in vampe sentimentali, nitori di nero-roccia e aria da apocalisse. Agapitu Vasoleddu - detto Matoforu - è un Omero con la berritta, un incantatore di gente, attraversatore di tempo e città. Ogni volta la stessa scena: monta sul minuscolo sgabello di sughero, si leva il copricapo, si segna col segno della croce e comincia a raccontare.
In principio era il verbo, e chissà per quale atavica combinazione il verbo è in Matoforu che annuncia
“storie per grandi e piccini, mille storie in una sola, tutto il mondo in punta di parola”.
Sono storie-paradigma, macrocosmiche, ossimoriche, poste all’abbrivio icastico di cielo e terra. Storie dialettiche di fantasmi diurni e nomi e donne e carestie e sogni strani, sesso e amore cavalleresco, escatologie simboliche, espressione di una progenie ostinata, contro-tendente, per cui le parole risultano viluppo, amnesia, perturbamento, e hanno ancora peso. Parole-passepartout per sogni a occhi aperti, il senso della resistenza e della vita. Anche alla luce di tutto ciò, “Il venditore di metafore” è un libro roboante e poetico che conferma Salvatore Niffoi come narratore-aedo di grandi capacità suggestive.
Il venditore di metafore
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