L’ultimo dei Valeri
- Autore: Henry James
- Categoria: Narrativa Straniera
Il 4 gennaio 1873, Henry James con un amico si fermò alla Basilica di Santo Stefano a Roma e qui il giovane scrittore, di 29 anni, esaminò la tomba dei Valeri rinvenuta da sotto le fondamenta della chiesa. Inoltre, nel febbraio dello stesso anno, James annotò di avere camminato di fronte ai grandi scavi allora in corso a Roma. In aprile, dopo una visita a Villa Ludovisi, mentre stava esaminando le sculture conservate nella serra, James notò la testa di una grande Giunone dietro una persiana. Ecco quindi una serie di vari elementi introdotti nella seguente storia: il nome dei Valeri, lo spettacolo delle pale che riportano in vita le pietre dormienti del passato, e la testa trascurata di Giunone nella villa romana. L’ultimo dei Valeri apparve per la prima volta su “The Atlantic Monthly” nel 1874. È una storia che tratta del tema internazionale, mescolando elementi de Il fauno di marmo di Hawthorne con la morbosa suggestione che James aveva sperimentato durante la sua lettura adolescenziale e traduzione de La Venere d’Ille di Mèrimèe.
La storia è ambientata a Roma e fondamentalmente parla della mania religiosa di un conte romano, l’ultimo conte dei Valeri, che va in sposo a una ricca ragazza americana. La ragazza decide di scavare il suolo della loro villa in cerca di certi antichi cimeli. Una Giunone sarà rinvenuta che ossessionerà il conte ricreando in lui una sorta di neopaganesimo. Si isola, trascura la moglie, venera la Giunone e alla fine, in un mirabile climax, fa un sacrificio di sangue alla statua. Alla fine la moglie porterà la statua di nuovo sottoterra e questo farà tornare il conte alla normalità, sebbene abbia conservato la mano della scultura, simbolo di una possibile futura minaccia al loro matrimonio.
La visione ossessiva di statue di dei pagani è l’elemento fondamentale del racconto: l’ammirazione di sculture, come Giunone o Ermes, o il paragone del narratore verso il conte che sembrerà come l’imperatore Caracalla, sono alcuni esempi di questa immanenza del passato che attira e opprime allo stesso tempo.
Per Mariani il racconto rappresenta l’iniziazione del conte all’amore adulto
“attraverso l’intermediazione di un’immagine, cioè attraverso l’archetipo femminile di Giunone, la dea moglie per eccellenza”.
Se l’elemento inquietante è per lo più fornito dalla statua di Era, è importante notare come, in una sorta di corrispondenza equivalente, il Conte sia paragonato a una scultura in tutta la sua materialità, appunto Caracalla. Nel racconto c’è un ossessivo riguardo verso le sacre antichità custodite nella villa e un piacere morboso nella loro contemplazione. Il narratore diventa intimo non tanto con le persone, ma con gli oggetti d’arte della villa. A un certo punto, il narratore dice alla moglie Martha:
“[La statua] è abbastanza bella [...] per farti ingelosire”.
Giunone acquisisce potere. Il conte sta diventando geloso di quel pezzo di pietra: “Devo vederla: basta!”.
Il direttore degli scavi dirà inoltre che il conte tratta la Giunone come se fosse un’immagine sacra della Madonna, simbolo per eccellenza della visione estatica e adorazione cattolica.
Tutto il racconto è pieno di verbi, immagini, paragoni, che riguardano la visualizzazione di un oggetto d’arte che spiazza e attira. Ad esempio, la statua di Ermes, quando viene adorata dal conte, gioca un ruolo importante nella storia. La statua gli porta felicità, un chiaro segno di antiche credenze, intriso di immagini dionisiache legate al vino e al piacere dei sensi. Prima la statua gli ricorda un severo prete cattolico, segno della repressione sensuale, ma ora “suggerisce le immagini più deliziose”.
L’ultimo dei Valeri è un racconto in cui la trama si snoda attraverso visioni opprimenti di cimeli d’arte che tornano alla luce e pongono il dubbio se sia possibile fare tornare di nuovo nel presente la loro venerazione. Simboli di una passione per l’Italia tipica di James, americano in bilico tra due secoli. Una passione che attira ma che sconvolge allo stesso tempo, date le sue radici puritane. Come il conte non riusciva a staccare lo sguardo dalla scultura pur essendone intimorito, anche James non riusciva a trascurare l’Italia nella sua produzione artistica, benché spesso la criticasse. Un racconto di cui poco si parla, ma che è fondamentale da leggere per capire meglio il James giovane alle prime armi e il James futuro e più maturo, con le sue sempre più ricche metafore artistiche. Consiglio la lettura nel volume di Passigli, 1998.
ULTIMO DEI VALERI
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