L’altare dei morti
- Autore: Henry James
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2014
Henry James ha la capacità di spiazzare con il suo stile esangue e anemico e bellissimo. Forse uno dei racconti lunghi più belli del grandissimo scrittore americano naturalizzato britannico, che ha amato più Londra di New York, ma poi da lontano ha scritto sulla società statunitense pagine memorabili.
Il racconto lungo o romanzo breve, come più vi piace, ha come titolo L’altare dei morti (Adelphi prima edizione 1988, ristampe al 2014, traduzione mirabile di Giulia Arborio Mella).
Morto nel 1916 a Londra, sei anni prima di Marcel Proust che si spense a Parigi nel 1922 togliendogli la corona del massimo scrittore europeo del primo Novecento. Entrambi gli scrittori erano ossessionati dal tempo, dalle parole, entrambi stranieri a sé stessi, perché a un certo punto smisero di vivere per scrivere. La vita fu più clemente con Henry James, perché lui l’essenza dell’uomo pratico degli Stati Uniti non la perse mai, anche se ironizzava sui suoi personaggi che venivano in Europa per sistemarsi e si ritrovavano a dover combattere con un’aristocrazia già in auge prima della scoperta delle Americhe.
L’altare dei morti è la storia di un uomo che si ritrova solo, dal momento che i suoi cari sono tutti defunti, e lui non può fare altro che riprendere un’antica consuetudine che si stava perdendo: il culto dei morti.
Protagonista della vicenda è George Stramson, che da giovane perse l’amore della sua vita, Mary Antrim. Era morta a causa di una malattia “perniciosa”, scrive James, una febbre che era sopraggiunta dopo pochi giorni dalla decisione del loro matrimonio. Lo scrittore ci svela che Mr. Stramson era un uomo di poche passioni e negli anni il ricordo di Mary, invece di attenuarsi, era cresciuto. Come anche il ricordo di altri defunti che erano stati il fulcro della sua vita. A fargli compagnia ci sono i ricordi che però non bastano, perché un uomo deve frequentare i suoi simili o sposarsi. L’uomo non era propriamente religioso, ma le luci delle candele in una chiesa gli ricordavano come gli esseri umani viventi si scordassero dei loro defunti, che venivano messi sempre fuori i centri abitati, negletti e che mettevano paura, perché avevano già sperimentato il concetto dell’assenza della vita.
Viene a mancare anche un suo vecchio amico con cui ormai George non parlava più da molti anni a causa di un torto da lui subito.
Intanto l’uomo conosce una donna che pregava nell’orario della sua messa. Tre volte in tre mesi era andato a cercarla in chiesa, finché si decide a chiederle di accompagnarlo in una passeggiata fino a casa. La donna si scusa dicendo di abitare in una strada secondaria, non bella, dove abitavano famiglie con problemi economici. Quella di dare sempre una numerazione a quello che gli accadeva era come una ossessione non troppo molesta per Henry James, che forse lo distraeva dalla completa insensatezza della vita, che non ha schemi prestabiliti, ma ogni individuo vive non pensando che ogni ora è buona perché avvenga la sua scomparsa. E questa sua nuova amicizia è solo una piccola consolazione per trovare qualcuno con cui vedere le mostre o andare a teatro. L’amicizia con la donna viene messa in discussione da George quando capisce che lei era stata molto “vicina” al suo amico di un tempo.
Tuttavia c’è malanimo nell’uomo solo una sofferenza che non intaccava il suo amore per i suoi defunti. Narrato così sembra un racconto raccapricciante e triste, ma non lo è.
L’intento di Henry James in questo racconto, che uscì insieme ad altri tre racconti non così originali, sembra essere anche una riflessione sulla scrittura che è impalpabile, ma conserva il ricordo degli altri. I lettori perlopiù, insieme agli scrittori, non fanno altro che saldare i ricordi di chi non c’è più e scriverne è di conforto per loro e per noi.
La verità è che Henry James ricorda uomini e donne scomparsi perché in un certo qual modo la scrittura lo assiste, lo conforta. Per l’americano, ormai inglese, tutto quello che ha vissuto è passato dalla “dogana” della scrittura come un lasciapassare. Chi lo legge non fa altro che omaggiare la vita stessa, ma in modo più rarefatto e sublime rispetto ai commerci e alle azioni umane. La magia delle storie e dei libri è che ci aiutano a decodificare i nostri silenzi e anche i nostri più segreti desideri.
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