La canna (Arundo donax L.) tra mito e storia
- Autore: Tindaro Gatani
- Genere: Scienza
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
La canna (Arundo donax L.) tra mito e storia di Tindaro Gatani (Arti Grafiche Palermitane, 2020) è come un poema dedicato a celebrare appunto la canna, una delle piante più diffuse nel mondo, ma dalle proprietà meno note. Solo il nome della specie, Arundo dónax L., composto dal latino arundo e dal greco dónax, dà all’umile pianta una veste di nobiltà, una nobiltà che non si paragona a quella delle querce secolari o degli alti pini, ma che trova il suo fondamento nell’aiuto multiforme che la pianta ha dato e continua a dare all’uomo per realizzare opere d’ingegno. Quante canne avremo visto ondeggiare al vento su dune sabbiose o ergersi come guardiani di terreni umidi lungo gli argini di fiumi e di stagni o su terreni secchi, guardandole forse fugacemente senza sapere che esse magari attendevano pazientemente l’ultimo quarto di luna, quella calante, per essere tagliate da abili contadini e raccolte per farne gli oggetti più disparati! Umili canne, ma utili all’uomo.
Tindaro Gatani inizia questo suo bellissimo libro richiamando alla nostra memoria la storia della Naiade Siringa che Ovidio narra nel libro I delle sue Metamorfosi, quando la ninfa viene trasformata in canna per sfuggire alla presa amorosa del dio Pan. Dopo comincia il lungo viaggio alla scoperta di questa meravigliosa pianta, dal tempo dei Romani fino alle ultime novità che ne vedono l’utilizzo anche per la produzione di biogas. L’autore accenna ad altre due canne che si trovano nel messinese (sua terra d’origine) e impiegate da sempre nelle diverse attività umane: la Phragmites australis, comunemente detta cannuccia di palude, utile per fabbricare recinti e steccati; e l’Arundo plinii chiamata così perché Plinio il Vecchio ne decantò l’ottimo utilizzo per farne frecce, chiamata anche Canna del Reno perché abbondante presso questo fiume. Gatani ci avverte che le migliori canne da lavorare sono quelle siccagne, dette così perché cresciute su terreno secco e ben ventilato.
Il primo utilizzo della canna è legato ai suoi ricordi quando a Librizzi (suo paese natale) ascoltava la musica suonata da Antonino Saitta, famoso ciaramiddaru (suonatore di cornamusa siciliana), con il flauto doppio, il fràutu a pparu, come quello mitologico suonato da Pan. Così la storia della canna ci conduce alla Bibbia dove Mosè viene ritrovato in una cesta tra le canne del Nilo, alle statue degli Ecce Homo in cui Cristo tiene tra le mani come scettro una canna datagli dagli sgherri, alla canna che serve per dissetare Cristo sulla croce prima di morire. Nelle mani di abili artigiani la canna diventa oncia per strumenti musicali come l’oboe, il clarinetto o il sassofono; friscalettu (lo zufolo siciliano); canneddi per proteggere le dita degli aratori; cannizze (stuoie) per l’essiccazione dei fichi e dei pomodori; cannizzi (grandi ceste) per conservare grano e cereali; ziruni (ceste) per conservare il pane; cufina di caricu (ceste per il trasporto con asini e muli); e tante altre cose, da utilizzare nella tessitura per costruire conocchie, arcolai e telai, nella preparazione della ricotta, fino alla pasticceria per preparare le scorze dei nostri cannoli conosciuti in tutto il mondo.
Ma continuando la lettura de La canna le sorprese non finiscono, perché apprendiamo che fu l’idea di utilizzare le canne per la produzione della viscosa a dare origine a quella che sarebbe diventata la più grande industria tessile italiana, lo Stabilimento di Torviscosa la cui produzione sarebbe stata propagandata e promossa nel 1949 dal documentario Sette canne, un vestito diretto da Michelangelo Antonioni. Che dire poi dell’utilizzo della canna per dare vita ai meravigliosi Archi di Pasqua che vengono costruiti annualmente a San Biagio Platani, ai presepi costruiti da quel fine Maestro di Sinagra (ME) che risponde al nome di Nino Carcione?
Il testo è arricchito da splendide immagini iconografiche che testimoniano i diversi utilizzi dell’Arundo dónax, di questa umile ma tenace pianta la cui caratteristica di piegarsi ma non spezzarsi anche quando il vento è forte ispirò a Esopo la bella favola Della canna e l’ulivo,in cui l’ulivo, che disprezzava la canna perché si piegava al vento, alla fine per un forte colpo di vento si spezzò, mentre la canna sopravvisse, per cui la morale ci dice che chi non si oppone alle circostanze e alle persone più forti di lui sta meglio di chi contende con i potenti.
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