È noto che il padre, assieme al socio in affari, l’agrigentino Calogero Portolano, gli combina il matrimonio. Luigi Pirandello torna in Sicilia per conoscere la fidanzata Maria Antonietta Portolano, ragazza di provincia dal carattere estremamente geloso come suo padre che le impediva ogni tipo di avvicinamento con un uomo e l’autorizzava ad uscire di casa solo per partecipare alla messa e confessarsi.
E va detto che lei era nata orfana perché don Calogero aveva impedito alla moglie di essere assistita durante il parto. Non è perciò difficile ravvisare echi di lei nella novella La realtà del sogno, pubblicata in Noi e il mondo, nel novembre 1914; poi in E domani, Lunedì, Treves, Milano 1917, inserita infine nella raccolta nella raccolta Candelora, 1928.
“La realtà del sogno”: analisi e commento della novella
L’immagine con cui ci viene presentata Maria Antonietta è quella di una donna frustrata, condizionata negativamente dall’oppressione paterna:
Ne aveva fatto esperienza lui stesso durante il fidanzamento. Nei quattro mesi prima del matrimonio, là, nella cittaduzza natale, non gli era stato concesso, non che di toccarle una mano, ma neppure di scambiare con lei due paroline a bassa voce. Più geloso d’una tigre, il padre, le aveva inculcato fin da bambina un vero terrore degli uomini; non ne aveva ammesso mai uno, che si dice uno, in casa; e tutte le finestre chiuse; e le rarissime volte che la aveva condotta fuori, le aveva imposto d’andare a capo chino come le monache, e guardando a terra quasi a fare il conto dei ciottoli del selciato […] Grazie al padre, doveva star chiusa, senza veder nessuno, per non provare almeno il dispetto di quello stupidissimo, ridicolissimo imbarazzo più forte di lei.
Il marito, sebbene la incoraggi con le lodi perché possa superare le sue fissazioni o certe sue antipatie per gli uomini davanti ai quali prova imbarazzo, non capisce i suoi problemi e lei si mostra irritata e rancorosa, prova piacere.
Soltanto con un “prezioso” amico di famiglia riesce a parlare con disinvoltura. Era accaduto quando costui aveva discusso sull’onestà delle donne, sostenendo che l’eccessivo pudore nasconde un temperamento sensuale:
Vuol dire che questa donna ha l’ossessione di immagini tentatrici; teme di vederle dovunque; se ne turba al solo pensiero. Come no? Mentre un’altra, tranquilla di sensi, non ha affatto di questi pudori e può parlare senza turbarsi anche di certe intimità amorose, non pensando che ci possa esser nulla di male in una… che so, in una camicetta un po’ scollata, in una calza traforata, in una gonna che lasci scorgere appena appena qualcosa più su del ginocchio.
Il pudore, dunque, come “vendetta dell’insincerità”, come espressione di sensualità, dal suo punto di vista. Un finzione, il pudore:
Insincera è la donna che voglia negare la sua sensualità mostrando in prova il rosso del suo pudore su le guance. E questa donna può essere insincera anche senza volerlo, anche senza saperlo. Perché nulla è più complicato della sincerità. Fingiamo tutti spontaneamente, non tanto innanzi agli altri, quanto innanzi a noi stessi.
Torna insistente il contrasto tra l’essere e l’apparire, ci si mostra non come in effetti si è, ma come si presume di essere:
Così può avvenire che una donna, anche a sua insaputa sensualissima, sinceramente creda d’esser casta e di provare sdegno e ribrezzo della sensualità, per il solo fatto che arrossisce di nulla. Questo arrossir di nulla, che è per se stesso espressione sincerissima della reale sensualità di lei, è assunto invece come prova della creduta castità; e, così assunto, diventa naturalmente insincero.
Ritenendo il discorso riferito a lei, e la prende col marito: dice di essere stata insultata, ma lui si giustifica sostenendo che la conversazione verteva sulla donna in generale. Anzi, le apprezza il comportamento stavolta disinibito:
Non hai mica arrossito; hai difeso con impeto, con fervore la tua opinione. E io ho sorriso perché me ne compiacevo, perché vedevo la prova di quanto ho sempre detto e sostenuto, che cioè quando tu non ci pensi, non sei punto impacciata, punto imbarazzata: e che tutto codesto tuo presunto imbarazzo non è altro che fissazione.
L’imbarazzo però lei l’aveva provato al punto da provocarle interrogativi inquietanti. Ecco che il sogno diventa rivelatore del vero.
Pirandello si mostra aggiornato su tale problematica analizzata da Freud e da Jung.
Il sogno è un tentativo di farci assimilare cose non ancora digerite e invita la coscienza ad occuparsene. Ci esprime e noi lo esprimiamo. Come in una sorta di “Gange purificatorio”, dà respiro alla coscienza, sollecitandola a riprendere le emozioni con un linguaggio svincolato dall’aridità della finzione. Allora l’angolo della coscienza ne raccoglie i frammenti per ricostruire la trama della storia biografica. L’inconscio, facendosi laboratorio eidetico, fa pertanto affiorare storie che emozionalmente segnano le dinamiche relazionali e si collegano alle esperienze quotidiane. Difatti, è nel sogno che affiora la sua sensualità dopo lunghissimi anni di repressione:
Fu nel sogno la rivelazione. Cominciò come una sfida, quel sogno, come una prova, a cui quell’uomo odiosissimo la sfidasse, in seguito alla discussione avuta con lei tre sere avanti. Ella doveva dimostrargli che non avrebbe arrossito di nulla; che egli poteva fare su lei qualunque cosa gli piacesse, ch’ella non si sarebbe né turbata né punto scomposta.
Pirandello si rivela un fine interprete dell’erotismo che i due si manifestano ed esprime con gusto la relazione che stanno intensamente vivendo; sa qual è la verità nascosta che non ha nulla dell’amore platonico e la costruisce come liberazione da ogni freno inibitore:
Ella serrava i denti; s’inteneriva tutta per dominare il tremito, il fremito del corpo; e allora egli prendeva tranquillamente a denudarle il seno, e… Che c’era di male? No no, nulla, nulla di male. Ma… oh Dio, no… egli s’indugiava perfidamente nella carezza… no, no… troppo… e… Vinta, perduta, dapprima senza concedere, cominciava a cedere, non per forza di lui, no, ma per il languore spasimoso del suo stesso corpo.
Al risveglio riaffiorano sì i sensi di colpa, ma è quel sogno a farsi realtà. Dapprima la donna colpevolizza il marito come se fosse stato lui la causa del tradimento onirico:
Ecco: ella lo aveva tradito in sogno; tradito, e non ne aveva rimorso, no, ma rabbia per sé, d’essere stata vinta, e rancore, rancore contro di lui, anche perché in sei anni di matrimonio non aveva saputo mai, mai farle provare quel che aveva or ora provato in sogno, con un altro.
Poi gli ordina di non ricevere più in casa quel suo amico, ma egli non le ubbidisce. L’epilogo è sorprendente: nell’incoscienza del sogno era stata di un altro, aveva tradito il marito e, sotto i suoi occhi, ora si aggrappa a quell’amico “chiedendogli smaniosamente, con orribile urgenza, le carezze frenetiche del sogno”.
Inorridito, il marito gliela strappa dal petto; quasi esanime viene messa a letto, dove poi la ritrova già rinvenuta.
aggruppata come una belva, con gli occhi in vetrati; tremava in tutte le membra, come per freddo, con scatti violenti e sussultava di tratto in tratto.
La storia termina in modo ambiguo:
“Di chi è la colpa qui? E che poteva egli farle?”
Matteo Collura, che ne Il gioco delle parti ha narrato la vita di Pirandello, scorge nella scena finale la disperazione di Maria Antonietta:
Un pomeriggio del 1903, di ritorno da una passeggiata, il professor Pirandello, aveva trovato la moglie a letto, gli occhi sbarrati, una lettera in mano. C’era scritto che la dote di Antonietta Portolano era stata inghiottita in una miniera di zolfo […] In quella zolfara, finita allagata con tutte le costose attrezzature […] Stefano Pirandello aveva investito tutto quanto possedeva, compreso il danaro non suo: la dote della nuora a lui sciaguratamente affidata dal figlio.
Il senso della novella è ormai chiaro: ciò che la vita non risolve, è il sogno a farsene carico al punto da essere premonitore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La realtà del sogno”: la novella psicoanalitica di Luigi Pirandello
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