Liolà
- Autore: Luigi Pirandello
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Italiana
Luigi Pirandello, il 24 ottobre 1916, scriveva al figlio Stefano:
È dopo il Fu Mattia Pascal, la cosa mia a cui tengo di più: forse la più fresca e viva. L’ho scritta in 15 giorni, quest’estate; ed è stata la mia villeggiatura. (…) il protagonista è un contadino poeta, ebro di sole, e tutta la commedia è piena di canti e di sole. È così gioconda, che non pare opera mia.
Pirandello insegnava al Magistero in quel periodo “sotto l’oppressione degli esami” d’ammissione e si riferiva alla commedia campestre in tre atti Liolà: una “gioia d’arte”, e dunque una sosta mentale di ristoro che segnava un ritorno alle radici, ai sogni, alle nostalgie.
Affidata alla compagnia “Musco” è rappresentata nella parlata di “Girgenti” il 4 novembre di quell’anno al Teatro Argentina di Roma. Il pubblico e la critica non capirono per l’incomprensibilità della parlata vernacolare. In effetti, fu una scelta linguistica ardua e non priva di polemiche.
Anche Leonardo Sciascia nel capitolo Note pirandelliane del saggio La corda pazza (1982) così si espresse:
Pirandello scrivendo Liolà, si è compiaciuto di stringere il dialetto là dove poteva aprirlo. O forse era talmente immerso, scrivendola, nella memoria e nostalgia della sua campagna, della sua gente, da non tener presente la possibilità che, senza minimamente indulgere al dialetto borghese, certe parole, certe espressioni, potevano essere sostituite agevolmente con altre più comprensibili.
Pirandello avvertì il problema che i critici avevano posto e predispose una stampa del testo siciliano con traduzione italiana a fronte, uscita alla fine del maggio 1917.
Quattro le repliche della commedia, tra cui la prima andata in scena a Milano il 13 gennaio 1917, le altre tre furono pressoché deludenti.
Poi un graduale successo: apprezzato fu l’allestimento della commedia dato dalla Compagnia Mediterranea, diretta da Martoglio il 5 febbraio 1919 a Roma, Teatro Argentina. A Napoli, per la seconda volta a pochi giorni di distanza, andò in scena l’opera che Arturo Rosato aveva tratto dalla commedia per la musica di Giuseppe Mulè, al Teatro San Carlo, il 1° febbraio 1935. Il testo, con versione italiana, fu pubblicato da Angelo Fortunato Formiggini lo stesso anno e da Bemporad nel 1928.
E la commedia venne rappresentata soltanto nel 1942. Dell’analisi di Sciascia vale la pena di riportare le considerazioni finali:
Liolà è l’unica invenzione di quei giorni, in cui l’autore tenti di evadere dalla presente disperazione. Scritta fra il pensiero continuo della prigionia del figlio, la follia della moglie e il pozzo profondo in cui dirà di avere immaginato Così è (se vi pare), rivela, ancor più di ogni altra opera e di ogni altra testimonianza, la possibilità che lo scrittore aveva di chiudersi ermeticamente in un suo mondo privato, di fantasia. In Liolà, opera villeggiatura, egli chiama a raccolta le cose serene della sua vita: qui (come non era avvenuto ne I vecchi e i giovani) gli riesce di recuperare felicemente il tempo perduto della campagna della sua fanciullezza e, nel personaggio contadino, il processo veloce e innocente dei movimenti istintivi dimenticati; come anche, per una volta, riesce a ricreare immediatamente l’esperienza rasserenante della lettura di certi classici, per esempio della commedia rusticana umanistica. E certo, anche in quest’opera, sono in fondo l’amarezza e lo scetticismo che dettano le altre commedie contemporanee, ma qui, quei sentimenti rimangono come involontari, segreti all’autore, sotto la pelle del suo personaggio vivo.
Fruttuoso l’incontro con i De Filippo. Nel resoconto di Alessandro d’Amico, a introduzione del testo in italiano della commedia, si legge:
La versione napoletana, dovuta a Peppino De Filippo, debuttò all’Odeon di Milano il 21 maggio 1935.
E Il successo fu pieno. Alla morte di Musco, avvenuta nel 1938, l’anno successivo
Nasce un nuovo Liolà, quello di Michele Abruzzo, destinato a una lunga presenza sulle scene italiane (…) Circolazione non solo nazionale ma europea raggiunse il Liolà del Teatro Stabile di Catania, protagonista Turi Ferro (…) un Liolà che sembrò ridare a pieno la fragranza del testo siciliano, anche se fu sentita l’esigenza di attenuare in qualche misura il dialetto per avvicinarlo all’intendimento d’un vasto pubblico.
Dopo la traduzione letterale del 1917 dell’edizione Formiggini, nel testo italiano la commedia fu pubblicata da Bemporad nel 1928 e rappresentata soltanto nel 1942:
Dal punto di vista testuale non tutti si mantennero fedelmente alla traduzione italiana del 1928. La sua riconosciuta inadeguatezza nei confronti dell’originale siciliano autorizzò più d’un interprete a rielaborarla.
Novella “campestre”, in sintesi, Liolà, la cui vicenda si svolge in una fattoria di campagna della Sicilia e i personaggi maschili, fra uno stuolo di donne, sono essenzialmente due: lo zio Simone e Liolà. A prevalere è il bi-sogno della libertà con le sue beffe e i suoi intrighi, con il dominio della “roba” e del signorotto del luogo, con il lavoro dei campi e le chiacchiere del cortile.
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