Mio padre votava Berlinguer
- Autore: Pino Roveredo
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2012
“Respirare la mia scrittura con il fiato del tuo ricordo mi concede ogni giorno la libertà di spostare, di un giorno, la sentenza del tuo addio. Così, quando sento la mano stanca e gli occhi che combattono col sonno, posso concedermi di chiudere la conversazione e darti appuntamento per domani, domani...”
Una lunga e bellissima lettera dedicata al padre che non c’è più. Morì quindici giorni dopo la morte della moglie e madre di Pino, segnato dallo stesso male e congiunto in vita dalle stesse sofferenze. Entrambi sordomuti, il nostro autore ha imparato fin da piccolo con l’aiuto della mamma a scrivere e a utilizzare il linguaggio dei segni.
Le mani di nostra madre appoggiate sulla gola per sentire vibrare sulla pelle l’emozione delle nostre voci.
Pino Rovedero si confessa a colui che lo chiamava campione, sei il mio campione, verso il quale prova un profondo rimorso per averlo deluso in vita. In questo libro riversa sui fogli bianchi tutti i suoi errori, ma anche la sua rinascita. Vorrebbe che i trent’anni trascorsi dall’ultimo abbraccio venissero colmati dalle parole e dai fatti narrati in modo tale da poterlo rivedere seduto al tavolo della cucina, di sera, al rientro dal lavoro.
“Oggi ci rimane l’abbraccio del foglio, che posso costruire e indossare col piacere della scrittura e col bisogno essenziale di accorciare la distanza esagerata di un recupero.“
Il padre votava Berlinguer, non per una scelta ideologica ma perché era una brava persona.
Le brave persone non si misurano su quello che riescono a guadagnare, ma su quello che sanno fare e offrire.
Era un’Italia nella quale c’erano brave persone: Pertini, Nilde Jotti, Tina Anselmi, Nenni, Moro, Almirante. Erano i politici degni di esempio che piacevano al padre, operaio di mattina e ciabattino di notte.
“Un uomo abituato alla fatica della schiena piegata e alla durezza e spigolosa dei friulani, nonostante tutta la tua voglia di fare a casa nostra girava una miseria da spavento. Avevi quarant’anni e ti trascinavi addosso la grave colpa, per gli altri, della tua condizione sordomuta, così che non trovavi nessuno disposto a difenderti, a supportarti, e tu come tanti altri eravate fuori dai giochi, fuori da qualsiasi causa.”
Nelle fabbriche gli operai (le macchine non li avevano ancora sostituiti) discutevano dopo aver seguito in tv la tribuna politica di Jader Jacobelli. Si era solidali con un amico in un periodo sfortunato o solidali tutti insieme fino al termine dello sciopero. Si parlava di umanità e non di profitto. Oggi caro papà non ci sono più le brave persone, non c’è più il lavoro, la fatica, la fabbrica, la speranza e i politici guadagnano tanto.
L’autore narra tutto di suo padre, dal rapporto d’amore con la madre privo di tenerezze e baci (una donna il cui eroismo non era stato compreso) alla debolezza dell’alcool. Deve ai suoi genitori e alle loro fragilità l’aver scoperto l’amore per la scrittura.
“In verità ho sempre fatto lo scrittore, anche se per trent’anni ho scritto come tutti quelli che scrivono per non scrivere un libro e trattano la scrittura come un piacere, un bisogno fisico, una dipendenza d’animo, una salvezza. La devo a voi questa passione, a voi che mi avete insegnato la forza straordinaria del silenzio prima del fastidio del rumore.“
Mio padre votava Berlinguer (Bompiani, 2012) è un viaggio tra i più umili e i più dimenticati. Un libro lirico, commovente, che descrive con durezza quanta sofferenza e dolore si cela nella vulnerabilità. Un libro nel quale l’autore parla al padre e nel farlo lo riporta in vita, per raccontargli le occasioni perse del loro rapporto e degli abbracci mancati.
Pino Roveredo, triestino, dopo aver lavorato per anni in fabbrica è oggi operatore di strada, scrittore e giornalista. Collabora con il Piccolo di Trieste e fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. I suoi libri hanno ricevuto numerosi premi.
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