Pan
- Autore: Knut Hamsun
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
Il tenente Thomas Glahn adora il tutto naturale, i suoi occulti sospiri, la solitudine delle foglie e le pietre amichevoli, la luna, ombra d’argento tuffata nell’oro, gli odori dell’alba e quelli del tramonto, i favori segreti di ninfe erranti, i rami marciti, analoghi al cuore, che ispirano pietà. Un uomo così, che sfrega il muso tra l’erba bagnata per stare meglio e che è grato alla natura della sua occulta leggiadria, sa amare, ma solo a modo suo: senza compromessi.
In estrema sintesi, è questa l’essenza del breve romanzo del premio nobel norvegese Knut Hamsun intitolato, non a caso, Pan (1894).
Glahn è sì un tenente, ma soprattutto è un curioso girovago che capita in una baita ai margini di una piccola comunità rurale della Norvegia settentrionale. Sin dalle prime righe, il lettore ha la conturbante impressione di inabissarsi nell’amorale universo dell’uno primigenio dove il sangue della selvaggina e la bellezza non hanno nome, essendo nient’altro che un riflesso, un caleidoscopico intarsio dell’intangibile. L’amore di Glahn per la giovane e coriacea Edvarda è immensamente immaturo, fanciullesco, antiborghese, insofferente, impossibile, infine tragico, ferale. Perché Glahn non sa stare in società e non si sa piegare. E’ commosso dal sesso, ma non si fa ingabbiare dai balordi cliché che il sistema vorrebbe imporgli, non baratta le sue voglie, vorrebbe prendere e dare senza svendere nulla di sé, senza retrocedere di un passo. L’introverso cacciatore trapassa naturalmente dalla tenerezza più pura alla maleducazione più illogica. Gli altri personaggi sembrano ruotargli attorno e si coglie come i più lo considerino un animale raro, una figura inconsueta, un reietto. Un proscritto dal fascino oscuro che sa prendere le donne, dallo sguardo ferino che sembra toccare le anime, rapirle nel loro intimo, violarle. Per Glahn tirare in acqua la scarpa dell’amata, sputare nell’orecchio del rivale in amore, spararsi la gamba per orgoglio o uccidere, per lo stesso motivo, il proprio cane, non rappresentano stranezze. Eppure, fra le righe di un’esistenza rude, si celano altezze più originarie. Tra le fila occulte del dolore ribolle, dal sostrato, l’eco di Pan, un canto lirico ma anche tangibile, selvatico come il noumeno, aspro come la vita.
"Ma ascolta, ascolta a oriente, a occidente. Non è Dio, l’eterno Dio? Questo silenzio che sento pulsare all’orecchio è il sangue dell’universo che ribolle, Dio che intesse le fibre del mondo e anche di me. Vedo, alla luce del fuoco, una ragnatela lucente, sento lo sciabordio di un battello sul mare, si accende a nord l’aurora boreale. Con tutta l’anima mia immortale ringrazio d’essere proprio io qui seduto, in questo momento!".
Knut Hamsun, Pan.
Pan
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