Paradiso perduto di Henry Miller

Henry Miller si pone oggi di fronte a noi come uno dei protagonisti più affascinanti della letteratura americana del ‘900, forse perché, più di altri, egli ha saputo mischiare vita e letteratura, alimentando l’una con l’altra in un flusso continuo. Una ricerca smaniosa di esperienze dove, fondamentale, risulta l’interfacciarsi con "gli altri", con le persone che si mischiano al suo destino.
Per Miller

• ogni uomo è degno di interesse,
• ogni uomo può diventare romanzo o parte di romanzo,
• ogni uomo è una storia che merita di essere raccontata.

Questa curiosità senza pari per gli altri può anche costituire il nucleo di una sola narrazione. Ciò avviene nel breve romanzo Paradiso perduto. Qui al centro dell’universo milleriano arriva Conrad Moricand, figura quanto mai conturbante di astrologo dai poteri strabilianti, che però, in sostanza, è un individuo totalmente inadatto alla vita pratica, senza nessuna voglia di trovarsi un lavoro per cercare di sopravvivere. Impietosito, Miller decide di ospitarlo a casa sua, nel paradiso perduto di Big Sur. Ma è proprio qui che si rivela, fatalmente, la vera natura di Moricand, uomo-parassita che non esita ad approfittarsi della grazia concessa fino a rendere impossibile la vita dello stesso scrittore.

In questo romanzo non troviamo più un Miller smanioso di avventure e di donne. Troviamo invece un artista, ormai di successo, la cui gioia principale è rappresentata dalla figlia e il principale tormento dalla moglie con cui continua a litigare. Un uomo generoso che decide di mettersi in gioco pur di aiutare un amico in difficoltà. Eppure, anche in questa versione "normalizzata", lo scrittore appare ancora il combattente che crede nella libertà e nella possibilità di contrastare il proprio destino. Forse per questo il suo scontro, anche ideologico, con Moricand - individuo che da un pezzo ha rinunciato a lottare, nella convinzione che tutto sia già scritto nelle stelle – risulta infine così affascinante.