Patria
- Autore: Fernando Aramburu
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2017
«Chiedere perdono richiede più coraggio che sparare, che azionare una bomba. Quelle sono cose che posso fare tutti»
Definire Patria di Fernando Aramburu un bel romanzo è riduttivo (Guanda, 2017, pp. 640, euro 19,00). Scritto magistralmente e tradotto altrettanto da un grande esperto di letteratura iberica come Bruno Arpaia, è una bandiera di pace e di speranza. Proclamato Premio Strega Europeo 2018 (l’editore Guanda ha pubblicato il libro che ha appena vinto il Premio Strega 2018, La ragazza con la Leica di Helena Janeczek) ha ricevuto l’anno scorso in Spagna il Premio de la Crítica.
Fernando Aramburu è uno scrittore basco e la sua regione ha conosciuto per quasi 60 anni il terrorismo dell’ETA, acronimo di Euskadi Ta Askatasuna (Paese Basco e libertà). L’autore racconta di questo lungo periodo attraverso la vita di due famiglie, quella di Joxian e del Txato, all’indomani dell’omicidio di quest’ultimo a opera della citata organizzazione criminale, nelle cui fila milita Joxe Mari, figlio di Joxian e Miren. Così, di colpo, l’amicizia, la stima, l’affetto reciproco fanno posto all’odio, al risentimento, al rancore.
In copertina c’è un uomo che si ripara dalla pioggia, metafora di lacrime, con un ombrello, colore rosso come il sangue: difatti, in un giorno piovoso avverrà la tragedia. Bittori, rimasta vedova, perde la fede e quelle lacrime non riesce a versarle, non vuole dare soddisfazione ai terroristi:
«Le vittime danno fastidio. Ci vogliono spingere come una scopa sotto il tappeto. Non dobbiamo farci vedere e, se scompariamo dalla vita pubblica e loro riescono a tirare fuori dal carcere i detenuti, be’, questa e la pace e tutti contenti, qui non è successo niente».
Troverà conforto solo sulla tomba del marito con cui parla come fosse ancora vivo. Solo una cosa pretende: sapere chi materialmente ha ucciso il suo Taxco e la richiesta di scuse sincere. Sull’altro versante c’è l’ex amica Miren, che invece vede rafforzata la propria fede e prega devota Sant’Ignazio di Loyola, chiedendo protezione per il figlio e la sua causa, che anche lei abbraccia totalmente:
«Tra un morso alla fetta del pane e un sorso di caffelatte, Miren citava passaggi a memoria. Non dovevano dare retta alle voci. La gente parla senza sapere. Tanto meno alle bugie dei giornali. Lui intendeva la militanza come un sacrificio per la liberazione del nostro popolo...».
La scrittura e la punteggiatura utilizzati sono particolari: i piani narrativi si fondono e i punti di vista dei diversi personaggi sono come uniti da un’unica appassionata voce. All’interno dello stesso capitolo, se non anche dello stesso dialogo, si può trovare l’autore, il narratore e il personaggio, senza per questo essere pesante né ingarbugliato.
Queste caratteristiche inducono il lettore a tenere sempre alta l’attenzione, non è concessa distrazione ma solo trasporto emotivo. Viene descritta benissimo la terribile sofferenza e la solitudine di chi perde una persona che ama per mano dei terroristi, ma nello stesso tempo si capisce concretamente come e perché nasce la violenza sovversiva. Patria non solo come semplice appartenenza quindi, ma come totale identificazione al proprio territorio, fino a perdere contatto con la realtà:
«La verità è che non sono entrato nell’ETA per essere cattivo. Ho difeso delle idee. Il mio problema è che ho amato troppo il mio popolo».
Nonostante l’argomento, la fiducia in un futuro migliore è presente con forza: i messaggi positivi espressi nell’opera sono tanti e provengono dagli stessi protagonisti che, nello scorrere difficile del tempo, vivranno ognuno a loro modo le proprie esistenze. Con gioie e dolori, amori felici e matrimoni falliti, studio, lavoro, malattie. L’unica salvezza, sembra suggerire Fernando Aramburu proprio attraverso un familiare di chi ha causato tanto dolore, può venire solo dalla cultura e dal bello che essa trasmette.
Al termine del testo c’è un glossario, preziosa fonte di informazione che induce a voler approfondire l’intera tematica, dove si trovano riunite le parole in euskera ˗ la lingua basca ˗ utilizzate nella storia.
Patria
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Patria è un buon romanzo soprattutto nella rappresentazione, direi nella disarticolazione del terrorismo, nella sua stupidità, nella ferocia mafiosa che produce retorica insopportabile, vigliaccheria, conformismo assoluto nel totale distacco dalla realtà. Di tutto il terrorismo di quegli anni aggravato, nel caso dell’Eta, dal nazionalismo razzista di una minoranza che dopo il franchismo godeva di ampia autonomia. Racconta come niente prima la mediocrità dei poveracci che si inventavano destini gloriosi, motivazioni immortali per giustificare la propria manovalanza di assassini seriali. Come non pensare, leggendo delle paure del paese, l’adeguarsi di tutti, l’isolamento delle vittime, ai paesi di mafia? Ma Patria è un romanzo che va oltre questo, raccontando una provincia ignorante, conformista, piccina nelle sue miserie e nelle sue umanità, negli odori di cibo stratificati in cucine modeste, nei soldi contati, le aspirazioni limitate, le invidie meschine. Gente qualunque di qualunque provincia, casualmente protagonista di tragedie, in famiglie e vicinati in cui ci si vuole bene e ci si distrugge, quasi mai ci si capisce. E soprattutto racconta due donne terribili, implacabili, dure, limitate, tirchie in soldi e affetti, Miren soprattutto, ma anche la vittima Bittori, devastanti per i figli, temibili per i mariti. Due madri basche, casualmente, ma anche archetipi di madri di una certa generazione, un certo ceto sociale. Plausibili tutti i profili psicologici, i dialoghi scarni, la complessità delle relazioni. Non si leggono spesso libri così ben costruiti
Di questo romanzo, sento il desiderio di scrivere un commento, come di consigliare la lettura. Impervio a tratti procedere, tale è la durezza del tema trattato e la piega che prende la storia. Possibile che in nome di una patria si possa stravolgere, distruggere la vita degli altri e la propria? Sì. Come per tutte le guerre, anche per questa raccontata qui non c’è limite al fanatismo, nessun vincolo di affetto, nessun senso di pietà può porre un argine quando l’indottrinamento prende piede. E’ il sonno della ragione di cui parlava secoli addietro un altro spagnolo. Ma il romanzo di Aramburu va poi oltre, oltre l’omicidio, la violenza cieca e feroce (e assurda) dell’ETA, oltre la risposta altrettanto brutale della polizia e scava nei personaggi, nelle anime smarrite di queste due famiglie, nell’amore di una madre, comunque assoluto, nell’amore di una donna, tenace anche dopo la morte del suo uomo e piano piano ritorna a galla quell’umanità che si era perduta. Dal "carcere" della sua invalidità fisica, una donna, una sorella, sarà il deus ex machina di una liberazione morale e di una riconciliazione. Di questo libro, dominato dalla pioggia, nulla in verità scivola via.
Di questo romanzo, sento il desiderio di scrivere un commento, come di consigliare la lettura. Impervio a tratti procedere, tale è la durezza del tema trattato e la piega che prende la storia. Possibile che in nome di una patria si possa stravolgere, distruggere la vita degli altri e la propria? Sì. Come per tutte le guerre, anche per questa raccontata qui non c’è limite al fanatismo, nessun vincolo di affetto, nessun senso di pietà può porre un argine quando l’indottrinamento prende piede. E’ il sonno della ragione di cui parlava secoli addietro un altro spagnolo. Ma il romanzo di Aramburu va poi oltre, oltre l’omicidio, la violenza cieca e feroce (e assurda) dell’ETA, oltre la risposta altrettanto brutale della polizia e scava nei personaggi, nelle anime smarrite di queste due famiglie, nell’amore di una madre, comunque assoluto, nell’amore di una donna, tenace anche dopo la morte del suo uomo e piano piano ritorna a galla quell’umanità che si era perduta. Dal "carcere" della sua invalidità fisica, una donna, una sorella, sarà il deus ex machina di una liberazione morale e di una riconciliazione. Di questo libro, dominato dalla pioggia, nulla in verità scivola via.