Sangue di cane
- Autore: Veronica Tomassini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Laurana
- Anno di pubblicazione: 2010
Siracusa. Non quella che Cicerone definì “la più grande e bella di tutte le città greche”. L’altra, la
città invisibile, sfiorata, mai toccata dalle larghe vie disseminate di negozi con le vetrine splendenti, ignorata da uomini e donne a bordo delle loro vetture borghesi, che accelerano con sdegno davanti
al semaforista col braccio teso a chiedere soldi. La città dove il semaforista si rifugia e si distrugge,
i luoghi che ha imparato a chiamare casa. Cosa accadrebbe se un giorno di febbraio una ragazza
della Siracusa bene, di buona famiglia, decidesse di fermarsi a quello stesso semaforo e concedersi
al richiamo di un polacco dalle spalle solide, occhi grigi, che le tende la mano chiedendo: “Poco
spicci, prego signora, poco spicci”?
Così comincia la sua saga polacca. Presa per mano, la ragazza (il cui nome non è mai indicato in tutto il libro) è condotta in un mondo maleodorante fatto di
alloggi sporchi, giornate annebbiate dall’alcol, droga, prostituzione in cambio di qualche euro per la
vodka, che confonde fino a far passare in secondo piano il nutrimento, le persone, i legami, l’amore.
Grazie a lei, Slawek il polacco riesce a restare a metà fra l’invisibile e il visibile. Passare al di là
del confine vorrebbe dire snaturarsi, cambiare pelle, smettere di essere polacco.
Polacco: aggettivo che si ripete nel libro in una cantilena narrativa voluta e ipnotica. Polacco è il vizio, l’abbandono,
la perdizione nel nome di un destino inarrestabile scritto nel sangue, malattia, morte. Polacco è il
carattere, gli occhi, la forza, la dolcezza, il ricatto dell’amore che, nonostante la vita in picchiata,
continua a desiderare una banalissima normalità, una famiglia formata da lei, Slawek e il loro bambino
Grzegorz.
La ragazza lo segue attraverso esistenze mai nate: se lo mollasse potrebbe dire addio al suo sogno, se non lo mollasse
lui non capirebbe mai cosa significhi vivere senza di lei, la sua piccola luce, la speranza che serva. Lo
abbandona, lo maledice, lo recupera nella grotta dove passa le notti assieme ai polacchi, a chi la
addita come “la puttana di Albania”. Lui il polacco, lei la puttana di Albania.
Lo convince a lavorare, ma Slawek, che ha bisogno della vodka come dell’aria, resiste poco e spende
così tutti i pochi soldi guadagnati, mentre lei allatta il frutto del loro amore, Grzegorz, in fretta,
per lasciarlo alle cure dei suoi genitori, rassegnati a vedere la propria figlia distrutta dall’amore.
Non può spiegar loro che deve tornare da Slawek, ritrovarlo al parco, su una panchina, oppure fra
le cosce di una vecchia donna e riportarlo indietro. Deve ogni volta. Non ha il tempo né la forza
di accollarsi ulteriori battaglie familiari dopo tutte quelle combattute per la salvezza di Slawek, senza neanche averne una vinta, per una felicità in cui crede soltanto lei. I polacchi muoiono, fra l’indifferenza
della gente. Slawek è forte e la donna lo convince a entrare in comunità. Sembra la volta buona: l’uomo riacquista colorito, chili, il sorriso sano, gli occhi di nuovo tesi al futuro. Impara a intagliare il
legno, a parlare l’Italiano quasi alla perfezione. Lei può chiamarlo solo due volte al mese fino
alla fine della terapia. Nel frattempo trova un bilocale in affitto, perfetto per loro tre, lo arreda, lo
prepara al suo ritorno per ricominciare lì, insieme. I suoi genitori faticano a credere ai loro occhi,
ma Slawek è un altro, lontano dai polacchi. Fino a Natale.
Veronica Tomassini racconta la storia di un amore totalizzante, pericoloso, che percorre un’unica
direzione come un fiume in piena, senza accorgersi che dall’altra parte ci sono solo parole e dolore.
Un amore fra due mondi il cui equilibrio è dato proprio dall’ignorarsi reciprocamente, eppure tanto
forte da non vedere tutti i segnali che urlano di lasciar perdere. Lo fa con un linguaggio secco, che
scardina le regole grammaticali e arriva diretto al fegato, prima che al cuore, lasciando al lettore
il sapore del fallimento. La Tomassini ci impone quel gusto amaro che noi, gente perbene, non vorremmo assaggiare mai, come a dire: Guardatelo il mondo, immergete la testa fino a sentire il fiato
mancare nella puzza dei reietti del parco, delle prostitute, dei disperati, di Slawek il polacco.
Il sangue sta nelle vene e non cambia. Continua a essere il medesimo nonostante ogni altrui sforzo.
E quello di Slawek è sangue di cane.
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