Sangue sul campo di battaglia
- Autore: Gordon Doherty
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2021
Tribuno dell’XI Legio Claudia, comandante all’età in cui oggi ci si laurea. Numerio Vitellio Pavone è ancora protagonista nel settimo titolo della serie Il Legionario, dello scrittore scozzese Gordon Doherty, pubblicato in Italia a settembre, per i tipi Newton Compton Editori, Sangue sul campo di battaglia (2021, 316 pagine, trad. G. Lupieri). Il titolo rispetta grossomodo l’originale inglese The blood road (La strada di sangue).
Nato a Glasgow, Doherty deve la passione per la storia romana al fascino dei resti dei Valli di Adriano e Antonino, presso i quali ha vissuto e lavorato. Ma i suoi romanzi storici, pieni di battaglie, intrighi e rivalità, non vivono di sola suggestione, perché Gordon Doherty si documenta sulle armi e la politica dell’epoca in cui ambienta le vicende narrate, fine 300 d.C. Del resto, il periodo storico della saga di Pavone è uno dei contenuti originali che distinguono Doherty dagli altri grandi autori di narrativa dell’antica Roma, all’altezza dei quali si colloca senz’altro. Ulteriori elementi caratterizzanti sono di ordine cronologico e geografico: a differenza dei colleghi, versati nell’età cesariana e imperiale classica, tra I secolo a.C. e II d.C., soprattutto nel territorio europeo, si muove a suo agio in quello orientale e tra le vicende dei due Imperi. Nel 320, infatti, pur conservando al momento l’unità formale dell’impero, Costantino ha distinto un imperatore d’Occidente e uno d’Oriente, con sede a Costantinopoli.
E il 381 l’anno in cui si apre il settimo episodio del giovane tribuno. L’ambizioso sovrano occidentale Graziano sta trasferendo la capitale dalla gallica Treviri a Mediolanum. Quello orientale, Teodosio, regge i suoi territori con un esercito debole, decimato dalla sconfitta contro i Goti a Scupi ed estenuato dal carattere incostante dello stesso imperatore, preda all’istante di accessi di follia. In Tracia, a metà tra Oriente e Occidente, stazionano 20mila guerrieri goti di Fritigerno, oltre a 5mila cavalieri impegnati in razzie. Lo iudex ha deposto Atanarico, ma la sua orda è meno numerosa di quanto avrebbe potuto essere se Alateo e Safrace non fossero stati schiacciati da Graziano nella battaglia di Sirmio.
Fritigerno ha provato ad avvicinarsi a Costantinopoli, spinto dalle voci sulla debolezza delle forze di Teodosio. Ma le fortificazioni robuste e i tanti soldati sugli spalti lo hanno indotto ad arretrare di almeno 150 km, dove i suoi possono agire indisturbati. Non ha messo alla prova le difese e non ha potuto verificare che gli armati sulle mura erano pressoché tutti i legionari disponibili, senza riserve in basso.
Un’altra minaccia incombe da Nordest sui territori di Roma: gli Unni. Una formazione di 700 esploratori, al comando di un guerriero esperto, Zolt, sta cercando un passaggio attraverso il Danubio. Da cinque anni quei “barbari” orientali spiano i posti di vigilanza delle legioni romane, sulla sponda meridionale del grande fiume. I tentativi di passarlo su battelli rudimentali sono stati vanificati dalla corrente, dall’imperizia dei cavalieri e dall’agitazione dei cavalli, fondamentali per gli Unni. Ma da quando il passaggio dei Goti sta tingendo di rosso le pianure balcaniche, i romani danno l’impressione di ritirarsi, richiamati in Tracia e in Macedonia.
Il 1 gennaio 381 il Danubio ghiacciato sembra un ponte perfetto agli occhi di Zolt, per raggiungere il promettente filo di fumo che si leva a distanza, certamente una fattoria di coloni inermi. Il guerriero testa il ghiaccio. Regge. Passa sull’altra sponda e fa cenno ai cavalieri unni di attraversare a coppie.
Oltre un centinaio hanno già messo piede sulla riva meridionale quando una palla di granito sopraggiunta all’improvviso schiaccia la testa di un uomo, prosegue verso il fiume e spacca il ghiaccio, aprendolo. 80 uomini e cavalli annegano nell’acqua gelida. Il resto è fuori gioco sulla sponda settentrionale.
Non sono coloni i centocinquanta legionari che vede schierati sopra un rilievo, dietro una fila di scudi rossi e lance protese. Ordina ai suoi di caricarli, assetato di vendetta. Nella serie di corpo a corpo, Zolt si trova davanti un crestato, avrà 25 anni, pochi per tenergli testa, pensa. L’Unno avanza impugnando una roncola, certo di falciare il Romano, ma quello si sposta agilmente di lato, ruota sul posto e lo atterra con una gomitata al volto. Il legionario punta una lama al petto di Zolt, che lancia furenti minacce: migliaia di compagni attraverseranno il fiume e lo vendicheranno, “ti staccheranno la testa per issarla sulle loro lance”.
Il ragazzo nemico con la cresta sull’elmo non sembra scosso: risponde con noncuranza “allora sarà meglio che lo facciano in fretta”, prima di affondare la punta nel cuore e squarciarlo.
Quel giovane romano è il tribuno Pavone. Con il centurione primipilo Sura e la I centuria della Claudia, è di stanza in zona. Hanno perso solo sette legionari, uno di appena 15 anni. Si dice che l’XI dovrà spostarsi a Oriente e che anche le legioni di Graziano stanno marciando per affrontare Fritigerno. Ma l’ufficiale teme le mire dell’imperatore, gli è nemico giurato e i sicari del sovrano hanno appena impartito un avvertimento feroce, sventrando i dodici soldati lasciati da Pavone a guardia dell’accampamento, dietro i rilievi sul Danubio.
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