Scritti garibaldini
- Autore: Ippolito Nievo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
I Mille erano 1085, il numero complessivo delle camicie rosse (che però indossavano in pochi) partite da Quarto per liberare l’Italia meridionale. In massima parte gente del Nord, 167 del Centro, 110 emigrati dalle Due Sicilie; parlavano soprattutto lombardo e 190 il dialetto bergamasco, il gruppo più numeroso. Era padano anche Ippolito Nievo, scrittore e attento economo della spedizione, raccolta per i tipi Marsilio a cura dello storico del Risorgimento Maurizio Bertolotti, nel volume Scritti garibaldini (2019, 260 pagine).
Nato a Padova nel 1831, visse fino ai vent’anni tra Veneto, Lombardia e Friuli. L’ultimo decennio di vita lo vide attivissimo scrittore: poesie, testi giornalistici, articoli polemici, cronache di costume, drammi, commedie, tragedie, saggi letterari e politici, racconti e romanzi. Il suo capolavoro, Le confessioni d’un italiano, venne pubblicato postumo nel 1867 da Erminia Fusinato, moglie dell’amico Arnaldo, col titolo Le confessioni di un ottuagenario. Ippolito era già morto, nel naufragio del vapore “Ercole” in rotta da Palermo a Napoli, la notte tra il 3 e il 4 marzo 1861.
Colonnello dei Mille, per aver partecipato alle imprese di Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi durante la seconda guerra d’indipendenza, era vice intendente generale dei volontari in Sicilia e portava con sé i documenti amministrativi delle spese sostenute dalla spedizione. Questa circostanza ha sempre alimentato un fiorente gossip storico, ma senza punti d’appoggio concreti. Si è arrivati parlare di un “attentato” al battello per far sparire prove compromettenti del sostegno finanziario di potenze straniere.
Protagonista e autentico nume ispiratore degli appunti è il generale Garibaldi, per il quale Nievo nutriva un’autentica adorazione, analoga del resto a quella che animava tutte le camicie rosse, a dispetto delle condizioni durissime alle quali il condottiero li sottoponeva. Tutto evidenziato dallo scrittore padovano: non omette di annotare che, nonostante i rischi di una campagna militare tutta d’impeto e d’assalto, i ragazzi continuarono sempre a nutrire la più devota fiducia nel loro condottiero. Da Marsala a Palermo, la marcia vittoriosa dei Mille risultò un autentico prodigio, costellata da “miracoli”.
Né prodigi né miracoli, in realtà, ma azzardi riusciti e azioni impossibili realizzate con successo, grazie alla buona disponibilità degli uomini. L’ascesa al Pianto dei Romani, invano contrastata dai borbonici pur molto più numerosi a Calatafimi; la marcia notturna dal Pioppo verso Palermo, ingannando il grosso delle truppe nemiche attratto fuori città; l’irruzione nell’abitato da Porta Termini. Tutte pagine raccontate da Nievo con la sensibilità dell’uomo di lettere, sebbene nel contesto di un documento amministrativo, dopotutto.
Gli scritti nacquero infatti come una scrittura contabile, ma il resoconto finì per avere poco a che fare con lo stato patrimoniale e tanto invece con la letteratura. Si prenda ad esempio la sensibilità con la quale lo scrittore sottolinea la dedizione, “l’ingegno e il cuore”, che i garibaldini mettevano al servizio dell’impresa, per mostrarsi degni della fiducia di Garibaldi nei loro confronti.
Utile la testimonianza di Nievo per far luce sullo stratagemma col quale il colonnello Turr riuscì a procurarsi quattro cannoni, armi e munizioni dal comandante del forte di Orbetello, nella tappa a Talamone, facendogli credere che fossero destinati a una spedizione sotto l’alto e segreto patrocinio di re Vittorio Emanuele.
Appreso poi che solo 280 dei Mille avevano in effetti a disposizione una camicia rossa e registrato l’aspetto “africano” della Sicilia orientale (“donne velate come le musulmane”), si arriva alla giornata di Calatafimi, con l’assalto ai gradoni del rilevo terrazzato e lo slancio generale che alle 15 consentirà di mettere in fuga i "napoletani”. Brutale il trattamento riservato dai popolani siciliani ai soldati dell’esercito borbonico uccisi o feriti nei combattimenti minori che si verificano intorno. Sono “squartati, abbruciati e dati da mangiare ai cani”, con raccapriccio e sdegno del generale. Cavallerescamente, Garibaldi ammira invece la destrezza dei picciotti, che gli sfilano la coperta mentre dorme all’addiaccio.
A Palermo la fanteria napoletana erige barricate in città contro i garibaldini (che sono appena ottocento), ma si batte con poca convinzione, temendo di avere davanti un esercito molto numeroso. I loro ufficiali, tanto severi sul piano della disciplina, perfino spietati, non sono affatto esperti di combattimenti, mentre volontari motivati come i Mille sono già rodati dalle campagne militari contro l’esercito agguerrito dell’imperatore austriaco. Alcuni erano perfino veterani delle imprese corsare e guerrigliere di Garibaldi in Sud America.
Non si vuole anticipare l’opinione di Maurizio Bertolotti sugli aspetti chiacchierati dell’intendenza garibaldina. Ci si limiterà a riportare la vulgata prevalente. Quando Garibaldi passò sul continente, Nievo rimase a Palermo. Alla fine della reggenza siciliana tornò al Nord, ma col divampare delle maldicenze sull’amministrazione della campagna garibaldina, si distinse nella difesa della spedizione con un resoconto pubblicato a fine 1860. Un secondo volle proporlo nei primi del 1861 e dopo lo scioglimento del corpo dei volontari raggiunse di nuovo la Sicilia, nel febbraio 1861, per raccogliere ulteriori atti e replicare alla campagna diffamatoria. Il viaggio di ritorno sul piroscafo Ercole non toccò mai il porto d’arrivo. Ottanta persone perirono nel Tirreno.
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