Sicilia. La fabbrica del mito
- Autore: Matteo Collura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2013
Perché terra di eccessi, di paradossi e, alla fine, di esibito “cupio dissolvi”, la Sicilia? Perché terra dei tanti misteri che di questi eccessi, di questi paradossi, di questo “cupio dissolvi” sono spesso una mistificante cortina, un alibi? Su questo mi venne interrogare il cielo stellato, quella notte in una regione apparentemente così povera di misteri, e da questo è nata l’idea che mi accingo a scrivere.
Così si legge nel libro di Matteo Collura intitolato “ Sicilia. La fabbrica del mito” (Longanesi, 2013).
Siamo nel capitolo introduttivo “Un sogno fatto in Alto Adige”, che riprende il titolo del romanzo di Sciascia Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia.
Lo scrittore, trovandosi in villeggiatura in Val Pusteria, nel Trentino, è alle prese con alcuni Pensieri di Pascal” che gli richiamano di Pirandello:
l’involontario soggiorno sulla terra
Nonché il luogo natio: “quel personalissimo Aleph, nido fatidico dove – dice Borges:
Senza confondersi si trovano tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli.
Per associazione volge attenzione alla sua Sicilia:
Ma senza desiderare di esserci; senza rimpianto né nostalgia.
Poi precisa:
Pensai a essa come a un problema: impellente e ineludibile, a differenza delle altre volte, quando, ovunque mi trovi, qualunque cosa stia facendo, mi viene di pensare alla terra che più mi appartiene e alla quale più appartengo.
Il libro si pone come uno sviluppo dell’opera L’isola senza ponte. Uomini e storie di Sicilia (Longanesi, Milano, 2007), la cui epigrafe riporta un pensiero di Manzoni desunto dalla “Lettera al vocabolario”, 1868:
Avrò a toccar di novo cose che ho già dette altrove, ma sarà per necessità del ragionamento e servirà a metterle in maggior lume.
Collura è dunque consapevole del bisogno in lui operante di tornare a scrivere sulle cose di Sicilia per approfondire il suo itinerario conoscitivo, per chiarire a se stesso e agli altri la problematicità dell’isola.
Se nel libro del 2007, è prevalente la dimensione letteraria della Sicilia da Verga a Pirandello a Tomasi di Lampedusa a Bufalino, adesso sono i personaggi della quotidianità a destare il suo interesse: uomini e donne spesso avvolti nel mistero e sui quali sono stati costruiti dei miti.
Collura in modo icastico chiarisce:
la Sicilia dei misteri è un mistero essa stessa […] Il mito: sì, l’emblema più rappresentativo della Trinacria.
Tomasi di Lampedusa è un punto di riferimento insostituibile nell’indagine: del romanzo “Il Gattopardo” cita infatti numerosi brani che si riferiscono ai comportamenti dei siciliani e riprende la questione del ponte con il racconto di un episodio accaduto un quarto di secolo fa:
… a un ingegnere indiano fu dato incarico di purificare il fiume Gange. Quell’ingegnere, induista praticante, si trovò in grande imbarazzo. Se il Gange è il fiume sacro di noi induisti – si disse l’ingegnere – come si può pretendere di purificarlo? Come si fa a non togliere all’acqua, assieme alle sostanze inquinanti, anche l’essenza spirituale e divina? Ora, se la Sicilia è un continente, come hanno ripetuto fino alla nausea tutti coloro che, nel tempo, l’hanno visitata e poi ne hanno scritto, come può essere unita a un altro continente? Sarebbe come voler purificare il fiume Gange; e anzi l’esempio del sacro corso d’acqua calza alla perfezione con la Sicilia, se si ha presente il riguardo mistico che gli isolani hanno per quel tratto di mare che li separa dal continente europeo (in realtà, dalla Calabria).
Ampia la galleria dei personaggi a partire da Franca Viola, l’eroina di Alcamo, fino al principe di Palagonia. Parlando di lei, muove da lontano Collura accennando al mito di Proserpina (la divinità greca Persefone), rapita proprio in Sicilia dal signore dell’oltretomba, Ade, per soffermarsi sulla parola “Fuitina”:
Con questo termine che in dialetto vuol dire fuga, ma anche, e vedremo perché, scappatella, per tradizione e fino ad anni da noi non lontani, in Sicilia veniva definito l’imperdonabile all’allontanamento dalle rispettive case (specie se di mezzo c’era almeno una notte), delle coppie di ragazzi innamorati che non avevano ancora raggiunto la maggiore età. Era il modo più efficace, questo, per mettere i genitori non consenzienti di fronte al “fatto compiuto”. E questo perché, come il ratto di Persefone, insegna, la verginità in Sicilia, allora come fino a qualche decennio fa, per una ragazza era l’unico vero “patrimonio su cui contare”.
La Sicilia dei Misteri, dunque: cioè dell’imprendibilità sciasciana della verità. E i misteri affiorano, si fanno tangibili e si infittiscono leggendo per esempio i capitoletti dedicati a Salvatore Giuliano, ai monaci di Mazzarino, a Genco Russo, detto “boss da operetta, a Cagliostro”, esempio perfetto di falsità assoluta.
Su quest’ultimo personaggio, Giuseppe Balsamo il suo vero nome, sarebbe opportuno soffermarsi, giacché emblema d’oscurità. Collura mostra di essersi documentato su di lui che in Sicilia:
… venne al mondo e nei suoi primi anni abitò a Palermo, in uno dei quartieri allora come oggi più degradati […] Ballarò si chiama […] un brulicante mercato all’aperto.
Racconta in modo avvincente i tratti più salienti della sua vita fino a diventare grande alchimista, veggente, guaritore, mago dai poteri angelici o infernali per poi essere condannato eretico dalla Chiesa e rinchiuso in una celletta isolata nella fortezza di San Leo, località non lontana da Rimini.
Riferisce sulla visita di Goethe che a Palermo volle conoscere la sua abitazione e i suoi familiari, e già dalle parole del noto scrittore e poeta tedesco affiora il dubbio:
Se costui fosse proprio tutt’uno col famoso conte di Cagliostro, le opinioni erano discordi...
Ecco il mistero: chi è in effetti Cagliostro? L’attenzione poi cade su Padre Giuseppe Cavalli di Modica, anch’egli rinchiuso in quella tetra prigione perché aveva ucciso il proprio priore. Scarse le notizie sulla sua biografia, ma Collura l’associa all’eretico di cui parla Sciascia in Morte dell’inquisitore: anche Diego La Mantina aveva ucciso il suo inquisitore Juan López de Cisneros “con le stesse manette che avrebbero dovuto ammanettarlo”.
Enigmatica e inquietante la Sicilia rappresentata: quella dell’impostura e della giustizia ingiusta, del trasformismo camaleontico e di un’autonomia regionale con l’inaccettabile cumulo di privilegi. Quando sarà distrutta, Collura scrive:
Allora dal mare ancora gorgogliante emergerà un essere meraviglioso dal busto di gagliardo toro, dal quale svetterà una testa umana con le sembianze di un boss della mafia.
Ed è quel che dei misteri che infine viene svelato.
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