Uno sguardo indietro
- Autore: Edith Wharton
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Elliot
- Anno di pubblicazione: 2016
La casa editrice romana Elliot ha rieditato il volume “Uno sguardo indietro” (titolo originale A backward glance, traduzione di Maria Buitoni Duca), l’autobiografia, pubblicata per la prima volta in Italia da Editori Riuniti nel 1993, che la grande autrice statunitense Edith Wharton (New York, 24 gennaio 1862 - Saint-Brice-sous-Forêt, 11 agosto 1937), prima donna a vincere il Premio Pulitzer con “L’età dell’innocenza” (1921), scrisse nel 1935.
“Uno sguardo indietro-a strade percorse”.
Scegliendo il titolo del suo memoir, una splendida collezione delle tante strade che Wharton percorse nella sua vita, l’autrice prese a prestito una frase di Walt Whitman, esergo del presente testo impreziosito dalla fotografia della copertina che ritrae Edith Wharton a vent’anni e dedicato
“Agli amici che tutti gli anni - nel giorno dei Morti - vengono a sedersi con me la sera accanto al fuoco”.
Prima di cominciare dai ricordi più remoti della sua esistenza l’autrice puntualizza che nonostante le malattie, malgrado persino “l’arcinemica tristezza”, si può rimanere vivi molto oltre “l’abituale data della disintegrazione”, purché non si abbia paura dei cambiamenti, purché non si sia mai sazi di curiosità intellettuali, di interessarsi alle grandi cose, di sapere godere delle piccole.
Il primo ricordo che la Wharton ha di se stessa bambina, è legato a una passeggiata insieme al “meraviglioso padre”, descritto come “bello, alto” nella “vecchia New York” in una giornata luminosa di pieno inverno. Alla piccola, proveniente da un’antica e facoltosa famiglia newyorkese, i Newbold-Jones, i cui avi erano per la maggior parte mercanti e armatori, le avevano fatto indossare un cappotto pesante e una cuffia nuova, molto graziosa, di raso bianco.
“Sono nata a New York, in casa dei miei genitori nella West Twenty-Third Street; lì abitavamo d’inverno, e (credo) a Newport d’estate: questo nei primi tre anni della mia vita”.
Durante un’infanzia e un’adolescenza sicure, protette, Edith non frequentò nessuna scuola ma venne educata privatamente, apprendendo il francese, l’italiano e il tedesco, grazie al fatto che i genitori, nel 1866 lasciarono la terra natia, l’America per l’Europa. Edith vide le colonne di Cordova, gli aranceti di Siviglia, assaporò il tiepido profumo delle siepi di bosco sul Pincio a Roma, sorseggiò le acque termali di Bad Wildbald nella Foresta Nera tedesca e passeggiò sugli Champs-Elysées a Parigi.
Vasto era il mondo dell’immaginario di Edith, bambina sensibile, presto interessata all’arte e alla letteratura, arricchito dalla fornita biblioteca paterna.
“Adesso, per la prima volta, potevo saziarmi di libri”.
Se è vero come sosteneva Voltaire nel suo “Candido” che “bisogna coltivare il proprio giardino”, nel capitolo intitolato “Il giardino segreto”, la Wharton narra com’è giunta a scrivere i suoi libri, cercando di descrivere
“la crescita e lo svilupparsi delle piante del mio giardino segreto, dal seme all’arboscello...”.
Edith Wharton, autrice di racconti, articoli pubblicati sui maggiori giornali europei e americani, scrittrice di romanzi quali “The Valley of Decision” (1902), “La casa della gioia” (1905), “Ethan Frome” (1911), “L’usanza del paese” (1913), “Estate” (1917), “La ricompensa di una madre” (1925). Viaggiatrice instancabile tra il Nuovo Mondo e la Vecchia Europa, dove si sarebbe stabilita definitivamente (Francia) fino alla prematura morte lasciando un romanzo incompiuto: “Bucanieri”, le sue case, specchio della sua anima, come la tenuta The Mount a Lenox nel Massachusetts e l’appartamento parigino in rue de Varenne, l’impegno umanitario nei confronti dei profughi e degli orfani della Grande Guerra che valsero alla Wharton la Legion d’Onore del governo francese (1916).
Non mancano nel libro gli amori infelici (il matrimonio con il banchiere di Boston, Edward Wharton, avvenuto nel 1885 finì con il divorzio nel 1913 dopo molti anni di una separazione di fatto) e grandi amicizie. A tal proposito si rivelò fondamentale quella con Henry James (“avevamo in comune il gusto del divertimento”), spiriti affini, raffinati, colti, i quali seppero ritrarre nelle loro opere con sottile finezza e brillante ironia la società newyorkese a cavallo tra due secoli, una società che stava scomparendo e della quale erano lo splendido prodotto.
“Anni fa mi sono detta: Non esiste la vecchiaia: c’è soltanto la tristezza”.
Uno sguardo indietro
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