John Fante, nato a Denver in Colorado il 9 aprile 1909, inseguì per tutta la vita il sogno di diventare scrittore.
Scrisse sempre, con passione, con furore, talvolta con disperazione, anche se il successo non gli arrideva e svariati editori rifiutarono i suoi scritti. Durante la sua esistenza fece i lavori più strampalati, dal lavapiatti al fattorino, persino l’operaio in un conservificio del pesce. Non se ne lamentava perché ogni esperienza per lui diventava oggetto di scrittura e confluiva, immancabilmente, in un nuovo romanzo.
Infine riuscì ad affermarsi come sceneggiatore di cinema, una professione che tuttavia non lo appassionò mai veramente e che praticava per dovere, come un bravo scolaro che svolge i propri compiti pomeridiani. Il suo vero universo erano i romanzi, che scrisse con instancabile devozione nei ritagli di tempo delle sue giornate. Nelle sue pagine di narrativa poteva finalmente respirare ed essere pienamente se stesso: un “sognatore sbandato”, fatto della stessa sostanza dei sogni, della materia inscalfibile, più dura dell’acciaio, di coloro che non si arrendono mai.
John Fante e il sostegno provvidenziale di Charles Bukowski
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Fante vide la propria aspirazione realizzarsi soltanto pochi anni prima della sua morte, grazie alla complicità dello scrittore maledetto Charles Bukowski, suo grande sostenitore.
Bukowski definì Fante “il mio Dio”; diceva che era l’unico autore capace di allontanarlo dalla scrittura. Aveva letto Chiedi alla polvere per caso e ne era rimasto folgorato.
L’innamoramento di Bukowski per le sue opere porterà a Fante a un successo imprevisto negli anni ’70 quando ormai mancavano meno di cinque anni alla sua dipartita.
Bukowski, lo scrittore maledetto d’America, andò a visitare il suo idolo letterario in ospedale, dove era ricoverato, e si inginocchiò ai suoi piedi come di fronte a una divinità. In quel momento gli promise che avrebbe fatto di tutto per pubblicare la sua opera, e così fece, chiedendo il supporto della sua casa editrice la Black Sparrow Press.
Il primo romanzo di Fante tuttavia, La strada per Los Angeles, rimase chiuso in un cassetto e vedrà la luce soltanto dopo la sua morte, nel 1985. Quel libro oggi ha un valore emblematico, poiché rappresenta l’incipit di una lunga storia: forse una storia amara, di ambizioni e speranze spesso disattese.
Era il primo capitolo della vita di Arturo Bandini, protagonista indiscusso dei suoi libri e suo alter ego, che proprio come Fante inseguiva il sogno - o forse il demone - della scrittura.
Recensione del libro
La strada per Los Angeles
di John Fante
John Fante, figlio di un povero muratore abruzzese emigrato negli Stati Uniti, aveva trovato nella scrittura la sua ragione di vita: ma lei non ricambiò totalmente il suo amore, fu un’amante difficile e pretenziosa. Scrisse sino alla fine dei suoi giorni, con disperazione, persino quando la malattia gli impediva di scrivere. Reso cieco dal diabete, con entrambi gli arti inferiori amputati a causa dell’infezione che lo stava portando alla morte, Fante dettava alla moglie Joyce quello che sarebbe stato il suo ultimo libro Sogni di Bunker Hill. Il romanzo fu pubblicato nel 1982, John Fante diede il suo addio alla vita l’8 maggio del 1983.
Recensione del libro
Sogni di Bunker Hill
di John Fante
Sogni di Bunker Hill era l’ultimo capitolo dedicato alla saga di Arturo Bandini: il suo eroe sembra aver finalmente trovato il successo come sceneggiatore, ma non è soddisfatto e cerca di sfuggire al torpore che lo invade. Di giorno scrive pessime sceneggiature, ma la notte sogna il successo come scrittore. Una dualità che caratterizzò l’esistenza di John Fante stesso, che trascorse la vita intera in una corsa ossessiva, affannata, nel tentativo di raggiungere la meta, tagliare il traguardo agognato e, una volta realizzato il sogno, capì che proprio quello era, in fondo, la vita.
Il consiglio di scrittura di John Fante
La vita di John Fante è un raro esempio di tenacia, la sua intera parabola esistenziale può essere letta come il tentativo inesausto di realizzare un sogno. Serviva certo una strenua convinzione per mantenere fermo tale proposito.
Ecco qual era il consiglio che Fante diede ai giovani scrittori, custodendolo come un tesoro nelle sue pagine:
Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivete la vita fino in fondo, prendendola di petto, non lasciandovi sfuggire nulla.
Come affermò lui stesso era, d’altronde, un consiglio molto semplice: di fatto era un fiero inno alla vita. I libri di Fante si erano sempre nutriti di quel connubio inscindibile tra esistenza e scrittura, le sue pagine erano affamate di vita, si nutrivano di giorni, di esperienze e avventure come un vampiro assetato di sangue.
L’augurio di Fante ai giovani scrittori era dunque quello di vivere al massimo, all’ennesima potenza e non lasciarsi sfuggire neppure una virgola disseminata per i sentieri tortuosi dell’esistenza.
Nei suoi scritti John Fante ci ha lasciato un importante testimonianza autobiografica del suo stesso percorso letterario:
Leggevo e leggevo, ed ero affranto e solo e innamorato di un libro, di molti libri, poi mi venne naturale, e mi sedetti li, con una matita e un lungo blocco di carta, e cercai di scrivere, fino a che sentii di non poter più continuare perché le parole non mi sarebbero venute come ad Anderson, ma solamente come gocce di sangue dal mio cuore.
Da questa citazione si può trarre che come tutti gli scrittori John Fante fu, prima di tutto, un lettore. E la metafora stringente che lega le parole scritte al sangue ci aiuta a comprendere in che misura per lui la letteratura fosse una linfa vitale.
Un’altra celebre frase ci aiuta a comprendere il motivo per cui non si arrese mai, la ragione della sua indistruttibile ostinazione letteraria. Quella ragione brillò come un diamante in mezzo al suo cuore e lui ne fece dono ai lettori, rivendicando una verità immortale:
Non me ne frega niente se il mio lavoro è commerciale o no. Lo scrittore sono io. Se quello che scrivo è buono, allora le persone lo leggeranno. È per questo che esiste la letteratura. Un autore mette il suo cuore e le sue palle sulla pagina. Per tua informazione, un buon romanzo può cambiare il mondo. Tienilo bene in testa quando ti metti di fronte a una macchina da scrivere. Non perdere mai tempo in qualcosa in cui non credi neanche tu.
John Fante credeva davvero che una penna, uno scrittore e un libro potessero cambiare il mondo. Il suo unico Dio fu la letteratura, a cui fu sempre devoto sino alla fine dei suoi giorni. A tutti i “sognatori sbandati” là fuori, che tuttora albergano nel mondo, consegnò il suo stesso sogno frantumato, sotto forma di pagine stracciate. “Un buon romanzo può cambiare il mondo”, scrisse. E direi che non resta altro da aggiungere.
La verità è tutta qui, nell’urgenza di una scrittura caparbia, risoluta, brillante che si fa specchio dell’esistenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I consigli di John Fante a un giovane scrittore
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