

1915-1918. Notizie dal fronte: La Prima Guerra Mondiale nei comunicati ufficiali tra propaganda e censura
- Autore: Fulvio Bernacchioni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
C’è poco da dubitare che nella guerra moderna la prima a morire sia la verità, ma una ricostruzione dettagliata dell’uso distorto e propagandistico della stampa italiana nel conflitto di un secolo fa rappresenta un contributo straordinariamente interessante per gli appassionati di storia. Nell’autunno 2019, Fulvio Bernacchioni, pubblicista aretino di grande esperienza (Montevarchi), ha dato alle stampe per la casa editrice toscana Tralerighe Libri (Lucca) il saggio “1915-1918 Notizie dal fronte. La prima guerra mondiale nei comunicati ufficiali tra propaganda e censura” (190 pagine, 15 euro).
Si parla di “panni sporchi” nostrani, ma i casi sono esemplari della condotta adottata in tutti gli Stati coinvolti e, se questo vale tanto più nel corso di una guerra, si verifica anche in fasi di tensioni sociali e in seguito a significativi eventi politici e perfino gravi fatti di cronaca, in tutti i casi, insomma, in cui il potere politico ha interesse a proporre all’opinione pubblica esclusivamente la propria versione.
L’intento dichiarato dell’autore, illustrato nella breve premessa, è di evidenziare i fattori che hanno condizionato la libera informazione e verificare in che modo i fatti venissero riferiti, oltre a misurare la distanza tra come si erano svolti e come venivano raccontati. Valida la scelta di mettere costantemente a confronto l’andamento bellico effettivo coi Bollettini ufficiali diramati quotidianamente dall’Alto Comando e le notizie diffuse dall’Agenzia di stampa Stefani, vagliate dalla censura militare e comunque sensibili alla visione di Cadorna e del Governo regio.
C’è anche un prima e un dopo il conflitto. Negli anni precedenti il “24 maggio radioso”, la stampa, finanziata in buona misura dai gruppi industriali che avevano l’interesse a godere delle commesse belliche, aveva già mostrato il proprio lato oscuro, nel tentativo di orientare gli italiani verso l’ingresso in guerra. E alla fine delle ostilità, non si può trascurare l’uso spregiudicato dei lutti per rappresentare retoricamente la quarta campagna d’indipendenza nazionale. S’insisteva sulla “vittoria mutilata” (per la mancanza di compensi soprattutto nei Balcani), offrendo il malessere sopra un piatto d’argento alle rivendicazioni dei fascisti.
Una parentesi necessaria riguarda l’Agenzia Stefani, prima di passare agli esempi della divers-informazione degli episodi al fronte.
Seguiva il modello delle agenzie di notizie che nacquero in Europa tra il 1850 e il 1860, per divulgarle con continuità. Venne fondata a Torino dal giornalista veneziano Guglielmo Stefani e diffondeva dispacci telegrafici. Alla fine del 1800, Crispi da capo del governo operò in modo che l’Agenzia si allontanasse dalla sfera francese per avvicinarsi alle potenze alleate del Regno d’Italia nella Triplice, Germania ed Austria. Sempre più legata al controllo governativo, diventò la fonte unica di diffusione delle notizie di Palazzo Chigi alle testate giornalistiche. Nel corso della guerra, considerate le limitazioni della libertà di stampa, i giornalisti non ebbero scelta che seguire la traccia quotidiana dei Bollettini dell’Alto Comando, trasformati dalla Stefani in verità ufficiali. Il primo ministro Salandra non nascose all’epoca la volontà di strumentalizzare i mezzi di informazione per veicolare notizie utili ad orientare utilmente l’opinione pubblica nazionale.
Ed ecco che all’avvio delle ostilità, la timida avanzata grigioverde nel territorio trentino-veneto-friulano viene raccontata tacendo ogni timidezza, mettendo in risalto i successi locali e ignorando qualche smacco pesante, come l’assalto infruttuoso delle Brigate Re e Pistoia alla testa di ponte di Lucinico, nel Basso Isonzo, l’8 giugno 1915. Sbalzo fallito, ritirata costosa: 2500 perdite.
“Dovunque le nostre truppe hanno combattuto con grande slancio e tenacia, occupando importanti posizioni”.
Curiosa la querelle di fine giugno 1915 tra l’agenzia nazionale e la corrispettiva Corrispondenz Bureau viennese, per un dispaccio ufficiale austriaco che nel dare risalto al completo insuccesso delle operazioni militari italiane a Plava aggiungeva che i nostri, ubriachi, si sarebbero accaniti suoi feriti austroungarici, uccidendoli. Questo condusse ad una risentita smentita della Stefani:
I soldati italiani sono nell’impossibilità di ubriacarsi, non venendo loro distribuito alcun genere alcolico, né avendo modo di procurarsene. Anziché ucciderli, curano i feriti nemici, malgrado i sistematici atti di ostilità da parte austriaca contro i nostri portaferiti.
Affermazione categorica ma traballante: la distribuzione di alcolici prima degli assalti è un classico nella memorialistica di guerra. A proposito di bevute, fa sorridere la tracotanza di Cadorna, scettico sull’offensiva austriaca dal Trentino nel 1916:
“bevo alla salute della bella divisione che saprà morire tutta fino all’ultimo uomo, piuttosto di cedere un solo palmo di terreno”.
Attilio Frescura non si capacitava di come il generalissimo potesse associare la “salute” delle sue truppe alla morte e va detto che l’attacco ci fu, tremendo.
La Strafexpedition (Spedizione punitiva) fece arretrare le difese italiane quasi fino alla pianura veneta, a un passo dal tracollo. La Stefani e i Bollettini di allora? Fiacche ammissioni di ritirate dopo “accanite difese”, mezze verità, per giunta fornite in ampio ritardo sugli eventi. Il cliché si ripeté pari pari con i gravissimi fatti di Caporetto, una rotta raccontata a forza di impavide “resistenze”. Ma non si salvarono né il Governo né Cadorna.

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