Mario Calabresi (nella foto), direttore de La Stampa, è autore dei testi della mostra A occhi aperti. Quando la Storia si è fermata in una foto, inaugurata presso l’Auditorium Expo dell’Auditorium Parco della Musica di Roma e aperta al pubblico dal 21 febbraio fino al 10 maggio. Da noi intervistato ci dichiara:
“Questa mostra nasce dal libro A occhi aperti edito nel 2014 da Contrasto e dalla mia curiosità di andare a chiedere a dieci grandi fotografi che hanno fatto l’immaginario del nostro tempo che cosa c’era dietro le loro fotografie. La curiosità di capire il momento in cui hanno scattato. Ho chiesto loro di dirmi quali fossero le fotografie che meglio spiegavano il loro percorso, il loro modo di lavorare. La selezione delle foto in mostra è la selezione delle foto che hanno fatto gli autori, quello che per loro rappresenta un percorso di vita”.
Negli ultimi cinque anni Mario Calabresi ha raccolto una serie di interviste ai più grandi fotografi della scena internazionale. Il risultato dei suoi incontri è il libro A occhi aperti con la relativa mostra fotografica A occhi aperti. Quando la storia si è fermata in una foto.
“Abbiamo seguito la traccia del racconto delle parole di Mario Calabresi e delle immagini che sono sul libro e che sono state suggerite dagli stessi fotografi che hanno conversato con Calabresi. Normalmente il procedimento è contrario quindi la sfida è stata quella di riportare in una sequenza espositiva quello che è stato appunto una serie di dialoghi intorno alla Storia e alla maniera di testimoniare la Storia che Mario Calabresi ha avuto con questi dieci fotoreporter”
ha spiegato Alessandra Mauro, curatrice della mostra con Lorenza Bravetta.
“Dieci incontri straordinari con altrettanti mostri sacri della fotografia che con le loro immagini hanno raccontato alcuni dei momenti più intensi e drammatici del nostro passato. Momenti in cui la storia si è fermata in una foto, come è scritto sulla copertina del testo”
ha precisato Alessandra Mauro. I dieci fotografi sono: Abbas, Gabriele Basilico, Elliott Erwitt, Paul Fusco, Don McCullin, Steve McCurry, Josef Koudelka, Paolo Pellegrin, Sebastião Salgado, Alex Webb.
Davanti allo scatto in cui Alex Webb mostra lo sguardo di un uomo al momento del suo arresto in un campo di fiori gialli a San Ysidro, in California, il giornalista e scrittore Mario Calabresi racconta che è stata
«questa fotografia quella che mi ha spinto a cercare cosa c’era dietro questi scatti esposti in mostra. Ho sentito il desiderio di sapere se c’erano ancora questi fiori gialli, se in quell’istante c’era silenzio o meno, come era l’atmosfera che ci restituisce la fotografia, come era arrivato Alex Webb in quel posto. È stato difficilissimo scovare il fotografo, non è uno che parla molto, è un vero osso duro... Un giorno a Londra ho aspettato un’ora sotto la pioggia, quando finalmente sono riuscito a parlarci, davanti a due birre ho scoperto che i fiori gialli non c’erano più, che il muretto di 60 cm che allora stabiliva il confine tra gli Stati Uniti e il Messico è diventato un muro alto quattro metri con il filo spinato e le telecamere. Ho inoltre scoperto che questa è una delle prime foto a colori di Webb, fatta al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. “Sono andato per testimoniare il gatto e il topo, perché i messicani cercavano di entrare illegalmente in America tutti i giorni, c’era chi ce la faceva e chi non ce la faceva” mi ha rivelato Webb».
Calabresi prosegue nella spiegazione.
“Da notare che i volti di queste persone non danno il senso del dramma dell’attuale immigrazione clandestina che è molto più tesa, militarizzata. Qui i poliziotti sono in borghese, i loro gesti sono delicati, i messicani vengono rimandati indietro, sono rassegnati ma sanno che il giorno dopo ci riproveranno e probabilmente ce la faranno. In questo momento non si sta decidendo della loro vita”.
Per Webb, nato a San Francisco nel 1952 e laureatosi a Harvard in Storia e Letteratura, che ha pubblicato su Life, Geo, Stern e National Geographic realizzando lunghi e accurati reportage nel Sud degli Stati Uniti, questa fotografia è stata “l’inizio di un viaggio sul rapporto tra le due parti del continente americano”. Mentre Webb scattava ricorda un “perfetto silenzio” rotto solo dal rumore delle pale dell’elicottero. A volte una fotografia fa comprendere in anticipo dove sta svoltando il vento della Storia. Accade osservando una fotografia di Abbas nato in Iran nel 1944. Dal 1970 ha fotografato la guerra in ogni parte del mondo: Biafra, Bangladesh, Irlanda del Nord, Vietnam, Medio Oriente, Cile, Cuba, Sudafrica. Dal 1978 al 1980 Abbas ha documentato la Rivoluzione iraniana, per poi trasferirsi a Parigi in esilio volontario per diciassette anni. Solo nel 1997 Abbas ha fatto ritorno a Teheran. Prosegue Calabresi:
“Quando ho visto il film Argo ho capito che il nostro immaginario sulla rivoluzione iraniana è stato plasmato dalle fotografie di Abbas. Basti pensare ai ritratti di Khomeini. Qui vediamo le facce dei manifestanti che protestano e che poi daranno l’assalto e sequestreranno l’Ambasciata Americana. Siamo nel 1979 e le facce sono le stesse che si vedono nel film vincitore di tre Premi Oscar”.
Da questi scatti si capisce quale sia la chiave del giornalismo: “essere sintonizzati sulle cose” cioè “leggere le cose, capirle, studiarle”. Infatti Abbas arriva in Iran due anni prima dello scoppio della rivoluzione perché sente che nel suo Paese sta avvenendo uno scontro tra due mondi, un mondo occidentalizzato e un mondo che vuole tornare all’integralismo religioso. Efficace in tal senso è la foto di un salone di bellezza nella quale da un lato ci sono tre donne totalmente occidentalizzate senza il velo con i gioielli che potrebbero trovarsi a Roma, a Londra o a Parigi negli anni Settanta, quindi un mondo totalmente laico e dall’altra parte c’è un garzone di bottega, dalla fede molto forte. È chiaro che l’uomo con il suo sguardo giudicante ritiene che i costumi di quelle occidentali siano immorali. Due anni dopo il garzone dopo aver partecipato alla rivoluzione khomeinista:
“è diventato un pasdaran mentre le donne sono fuggiti a Parigi”.
La bravura di Abbas è stata quella di aver intuito le motivazioni della rivoluzione due anni prima,
“ha saputo leggere gli avvenimenti, quando lo stesso Khomeini che allora si trovava a Parigi era considerato un intellettuale, se volete anche un pacifista. Nessuno poteva immaginare una teocrazia islamica come si è verificata”.
Steve McCurry, nato a Filadelfia negli Stati Uniti nel 1950, vincitore della Robert Capa Gold Medal, ha fotografato molte guerre, Afghanistan, Jugoslavia, Libano, Cambogia, Filippine, Kuwait e di nuovo Afghanistan. McCurry è l’autore della famosa fotografia della ragazza afghana scattata nel 1984 e in seguito pubblicata sulla copertina della rivista National Geographic Magazine del numero di giugno 1985 presente in questo percorso fotografico.
“Nessuno si è mai domandato la fatica che c’è dietro le belle foto di McCurry”
spiega Calabresi che si sofferma di fronte alla fotografia di McCurry che immortala un uomo anziano a Goa, in India durante la stagione dei monsoni, immerso dentro un fiume melmoso.
“McCurry si immerse dentro l’acqua sporca piena di carcasse di animali e quant’altro per rendere il suo reportage credibile e cominciò a scattare”.
La fotografia dell’anziano sarto che tiene sul braccio una vecchia macchina per cucire e che sorride perché un gruppo di ragazzi su un tetto vicino lo avvisa di sorridere mentre lo stanno fotografando, fece il giro del mondo ma costò a McCurry una serie di cicatrici sulla schiena dovute al morso delle sanguisughe. Cicatrici mostrate da McCurry a Calabresi, dovute al fatto che non riuscendo a staccarsi le sanguisughe dalle spalle il fotografo aveva dovuto farsele togliere con un accendino.
“Il mio lavoro quindi è stato ricostruire metodo di lavoro e storia che ci sono dietro queste fotografie esposte”
conclude Mario Calabresi. Al termine del percorso espositivo il visitatore comprende che la mostra rappresenta un viaggio nell’ultimo mezzo secolo di storia, un viaggio all’interno dei fotografi, perché come disse una volta Steve McCurry:
“Ci vuole una vita per fare una fotografia e coltivare uno sguardo. L’occhio deve capire cosa sta cercando”.
- A occhi aperti. Quando la Storia si è fermata in una foto
- 21 febbraio 2015 – 10 maggio 2015
- AuditoriumExpo – Parco della Musica di Roma
- Viale Pietro De Coubertin, 30,
- 00196 Roma, Italia
- La mostra sarà aperta al pubblico dal lunedì al giovedì dalle ore 12.30 alle ore 20.30, venerdì e sabato dalle ore 12.30 alle 22.00, la domenica dalle ore 12.30 alle 20.30.
- Prezzo 10 euro
- Informazioni: Ufficio Stampa Fondazione Musica per Roma
- Tel. 0680241574 o finali 231 – 228 – 261
- ufficiostampa@musicaperroma.it
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A occhi aperti: il libro di Mario Calabresi diventa una mostra fotografica
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