“Lo sai: debbo riperderti e non posso”, datato 1934, è il primo dei 17 mottetti (su un totale di 20) di Eugenio Montale compresi nella raccolta Le occasioni e dedicati alla ricercatrice Irma Brandeis, un’ebrea americana che durante le persecuzioni razziali fu costretta a tornare negli Stati Uniti. A parte uno del 1940, furono composti nel biennio 1933-1934 nella fase iniziale della loro frequentazione.
Ma di recente alcuni sostengono si tratti di tal Maria Rosa Solari o Paola Nicoli, un’attrice peruviana incontrata a Genova che gli avrebbe "rimescolato il sangue nelle vene", come lo stesso Montale confessò in una lettera alla Brandeis.
Di contro l’identificazione tra la Nicoli e Crisalide dell’omonima poesia sembra acclarata. Anche se le creature femminili montaliane sono evanescenti, fantasmatiche, dall’identità plurima e scivolano da un testo all’altro, il presente articolo segue il critico Dante Isella, specializzato nei mottetti, che tende ad assegnare la parte di interlocutore privilegiato a Clizia, pseudonimo di Irma Brandeis. Sulla stessa linea d’onda viaggia anche il Guglielmino, mentre la coppia Cataldi-Luperini tifa per la Nicoli.
Con l’attacco dialogico che gli è proprio, quasi un sussurro, il poeta esprime all’amata, in assenza, la sua prostrazione a fronte di un ennesimo distacco che non sarà in grado di sopportare. E così il dialogo mentale si fa intensa e struggente poesia che dal piano biografico svetta a quello universale della metafisica del negativo.
“Lo sai: debbo riperderti e non posso”: testo della poesia
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.
“Lo sai: debbo riperderti e non posso”: parafrasi
Tu sai che non sono in grado di sopportare un nuovo distacco tra noi. Il fermento operoso dell’attività portuale e il vento salmastro che dal molo incupisce la zona del porto in una primavera che non fiorisce mi sconvolgono come un tiro di artiglieria che dopo i colpi di aggiustamento centra il bersaglio. Il porto sembra una selva, fitto com’è degli alberi delle imbarcazioni dove si alternano legno e ferrame di vario tipo. Mi è insopportabile come il raschio di un’unghia sul vetro anche un suono basso come il ronzio, cioè il brulicare di un’umanità al lavoro. Cerco il segno della tua presenza che mi hai lasciato in pegno. E la tua assenza per me significa l’inferno.
“Lo sai: debbo riperderti e non posso”: metrica della poesia
La poesia di Montale presa qui in esame è un mottetto. Nato in ambito polifonico, a partire dal Duecento il termine passò a indicare un componimento poetico popolare, breve, concettoso perché suggellato da un proverbio o una sentenza fulminante in endecasillabi e settenari.
Montale rinnova il mottetto con una scrittura preziosa, più difficile che oscura, rispettando brevitas, tipo di versi e chiusa gnomica. Mantiene anche la duplicità timbrica grazie alla dialettica tra assenza/presenza dell’amata e, a corredo, quella tra dannazione/salvezza su un orizzonte laico.
Questo testo è formato da due strofe, di sei versi ciascuna, in endecasillabi e settenari e un quinario al v. 6. In chiusura un verso a scalino contenente l’epifonema. Interessante la rima interna o rimalmezzo tra "segno" al v. 10 e "pegno" al v. 11, due sostantivi che fanno da architrave tematica perché, come vedremo, alludono agli effetti salvifici della donna. E "segno" marca anche l’incipit del mottetto VIII.
“Lo sai: debbo riperderti e non posso”: analisi della poesia
Link affiliato
Il testo si presta a una lettura doppia. Di primo acchito il tema dominante sembra l’assenza della donna amata, parzialmente riconducibile all’amor de lonh di matrice occitanica, perché Montale Irma Brandeis l’ha conosciuta e frequentata davvero. La presenza della sua assenza, direbbe Deleuze, diventa un tormento insopportabile che lo rende frustrato, sconfitto in quanto "bersaglio" passivo della vita e della Storia. E se fosse l’assenza a dare significato a una vita che ne è priva?
Pertanto l’ambiente si carica di tutta quella negatività emotiva che invece appartiene al poeta sofferente, anzi diventa sineddoche della città intera. Un ritratto del capoluogo ligure, questo, ben diverso da quello contenuto nel memoir Genova nei ricordi di un esule del 1968, che esalta la bellezza del centro storico, dei caruggi e delle aree di recente costruzione.
Al contempo, sulla scia delle osservazioni di Dante Isella, tale assenza biografica assurge a una dimensione di astrattezza metafisica e universalità dove la creatura femminile trova il suo posto come mediatore salvifico verso un altrove che al poeta sembra precluso, in una personalissima rivisitazione laica della donna angelo stilnovista. È questa l’essenza del dantismo montaliano.
Infine l’immagine forte dell’inferno, variante dolorosa del "male di vivere", dà corpo al dolore del vuoto, perché il poeta cerca invano "quel segno smarrito ricevuto in pegno". Però "smarrito" non è un verbo definitivo come "perduto", che invece ha l’ineluttabilità del "mai più". (Ricordate: Dante ha "smarrito la diritta via" così può ritrovarla). Il verbo suggerisce che il poeta non rinuncia a cercare un segno di lei e la promessa di salvezza che rappresenta.
Segnaliamo "ronzio" e "unghia sui vetri", correlativi oggettivi dello strazio del poeta, rispettivamente in chiave sensoriale e metaforica attraverso una comparazione dall’effetto ugualmente acustico, ma molto più irritante.
Irma Brandeis: chi è la donna della poesia di Montale
È stata analizzata in lungo e in largo, oggetto di una curiosità morbosa, la relazione tra Eugenio Montale e la dantista americana Irma Brandeis, donna con alle spalle una famiglia di ebrei progressisti e autrice del saggio The ladder of vision, pubblicato nel 1960, che rappresenta una tappa interessante negli studi della Divina Commedia. Ciò avvenne malgrado il riserbo della diretta interessata quanto all’identificazione con il senhal Clizia e alla natura del suo legame con il poeta ligure. Come è stato evidenziato, l’interesse così sbilanciato a favore di Montale ha messo in ombra e la sua attività di critica letteraria – intrapresa dopo aver accantonato il sogno di diventare la nuova Katherine Mansfield - e il suo presunto ruolo umanitario come intermediaria presso alcune associazioni che assistevano gli ebrei in fuga nelle fasi più drammatiche delle leggi razziali. Un’ipotesi recente che non ci sentiamo di escludere a priori. Senza dimenticare il suo contributo nell’avvicinare Montale a quell’allegorismo dantesco che, incrociando la lezione di Eliot, sfocia nel correlativo oggettivo.
L’incontro galeotto avvenne a Firenze il 15 luglio1933 presso il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux, un centro culturale nato nel 1819 come punto di lettura su abbonamento che si trasformò in un luogo di scambio e dialogo tra mondi italiani e stranieri. Nel 1827 Leopardi e Manzoni si incontrarono qui. Tra i suoi membri lo scienziato Enrico Fermi, David Herbert Lawrence, Alberto Moravia. Nel capoluogo toscano Montale visse dal 1927 al 1946, nel 1929 fu nominato direttore del prestigioso Gabinetto Vieusseux, dove come abbiamo detto avvenne il colpo di fulmine, ma nel 1938 fu cacciato perché non era iscritto al Partito fascista. L’anno seguente iniziò la convivenza con Drusilla Tanzi, l’acerrima rivale di Irma, che non ebbe il coraggio di lasciare temendo mettesse in atto quei propositi suicidari più volte minacciati e tentati per tenerlo a sé. Oppure dietro l’immensità del poeta si nascondeva semplicemente un uomo incapace di scegliere. Chissà. Andare a sfrugugliare nel privato di grandi artisti spesso riserva grosse delusioni e forse è inutile e inappropriato.
Link affiliato
Se siete incuriositi dal clima culturale fiorentino degli anni Trenta e dall’argomento in oggetto vi segnaliamo il libro Questa stupida faccia. Un carteggio nel segno di Eugenio Montale (Archinto, 2015) di Irma Brandeis e Gianfranco Contini. La faccia è quella dell’affascinante dantista e il carteggio è il loro, legati in filigrana dai versi di Montale e da una stima reciproca. È un libriccino di una cinquantina di pagine ancora in circolazione anche nel circuito dell’usato.
Se invece vi piace l’aneddotica tinta di giallo, Marco Sonzogni ha scritto il breve saggio Il guindolo del tempo. Montale, Clizia e il pegno (Archinto, 2017), dove ricostruisce il mistero di un amuleto etrusco che il poeta avrebbe donato alla sua musa.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lo sai: debbo riperderti e non posso” di Montale: testo, parafrasi e analisi della poesia
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Eugenio Montale Poesia News Libri Storia della letteratura
Lascia il tuo commento