

Achille e la guerra di Troia
- Autore: Antonio Montesanti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2024
Cantami, o Diva, del Pelide Achille, l’ira funesta, che infiniti addusse lutti agli Achei.
Sapete che Omero non ha chiamato mai Greci gli assedianti di Ilio, sbarcati sotto le mura della città di Priamo? Credete davvero che la guerra decennale nell’Ellesponto sia divampata per una rapimento-fuga d’amore? Sembra invece che alle origini del conflitto ci fosse proprio qualche responsabilità del figlio di Teti e Peleo. Sono tante le curiosità, come queste, dispensate con tono leggero, mano sapiente e scrittura accattivante da Antonio Montesanti in un saggio tutt’altro che noioso, Achille e la guerra di Troia, pubblicato a fine anno dalla romana Newton Compton Editori (novembre 2024, collana Saggistica, 224 pagine).
L’autore, orgoglioso delle sue radici etrusche e magnogreche, è archeologo di professione prima che saggista scientifico e valido divulgatore storico, perciò epigono di quello Schliemann al quale si deve la scoperta dell’antichissima Ilio, sulla collina di Hissarlik, in Asia minore.
Montesanti ammette che non sarà questo libro a stabilire se il lungo scontro sotto le mura Scee abbia qualche fondamento storico o sia soltanto una straordinaria favola per grandi. È comunque lecito supporre che una contesa per la prevalenza nel Mediterraneo Orientale, tra due potenze dell’antichità, abbia segnato effettivamente la fine dell’Età del bronzo. Tanti secoli dopo, la sfida per il controllo del bacino si è ripetuta tra l’Impero ottomano e l’Europa cristiana. Prima ancora, Roma e Cartagine avevano animato le lunghe guerre puniche, con in palio il dominio della metà occidentale di quello che diventò il Mare Nostrum dei Romani.
Sicchè, gli omerici Achei e Troiani sarebbero i remoti contendenti di tremila e più anni fa, per quanto l’autore segnali che tanti studiosi ritengano tuttora fantasiosa quella guerra, partorita dalla fervida immaginazione di un cantore cieco o addirittura da un miscuglio di tradizioni favolistiche, cucite centinaia di anni dopo. Fino alla fine del XIX secolo, l’Iliade era soltanto un poema e Troia una città mitica. Ancora più pesante, poi, lo scetticismo sui personaggi.
Questo fino al 1871, quando Heinrich Schliemann intraprese scavi in Turchia; l’archeologo tedesco, ricco mercante, appassionato dei poemi omerici e sognatore, seguito dal successore Wilhelm Dorpfeld, rinvenne in tre anni nove strati principali di mura, corrispondenti ad altrettanti insediamenti, sulla collina di Hissarlik (non lontano dalla costa egea all’imbocco dei Dardanelli). Il più alto e recente dei livelli corrispondeva all’epoca romana, gli altri arretravano uno dopo l’altro fino a 3.500 anni nell’Età del Bronzo. Migliaia gli oggetti preziosi: il Tesoro di Priamo o i Gioielli di Elena. Era il sito dell’antica Troia.
Proseguendo gli scavi, vennero alla luce le tracce di un assedio, seguito da un saccheggio e un incendio.
In particolare, il saggio di Montesanti mette a fuoco la figura di Achille (mitica o reale?) e porta prove a sostegno o confutazione della storicità di una guerra vinta grazie al suo contributo.
Il mito ci parla da tremila anni del figlio di Teti, una dea (nata da una divinità marina, Nereo) unita per volere divino a un umano, Peleo, dalla vita tutt’altro che specchiata. Unita si fa per dire, perché non è così scontato. La Nereide aveva il potere di mutare aspetto e lo sfruttava, non volendo che quel mortale l’avvicinasse. Finché si trasformava in uccello o in piccoli animali non insidiosi, Peleo riusciva a controllarla, non però se assumeva la forma di una belva o addirittura del fuoco. In aiuto dell’uomo, intervenne ancora una volta una volontà superiore e a niente valse il divampare dell’Oceanina come fiamme o il liquefarsi come acqua. Teti fu obbligata a soccombere.
Quello che è certo è che il Pelide rappresenta il protomodello di guerriero del mondo occidentale ed è il protagonista della prima opera della letteratura europea. Era il migliore di tutti i combattenti del suo tempo: coraggioso, veloce, dal grido di guerra terribile, saccheggiatore di città, leader carismatico, robusto e invincibile, a parte il tallone.
Ad oggi, nessun dato ha confermato la sua esistenza. Tuttavia, il nome appare su due tavolette incise con caratteri in lineare B, una lingua precedente la greca. Il fatto che fosse conosciuto in centri primari micenei come Pilo e Festo dimostra la diffusione della fama tra i Greci, almeno cinquecento anni prima della stesura dell’Iliade. Significa che la notorietà retrodatava al periodo in cui i fatti correvano di bocca in bocca, prima che i poemi omerici fossero messi per iscritto e divulgati. Le diverse attestazioni portano a ritenere che probabilmente Achille fosse un signore miceneo della guerra, capace di gesta divine agli occhi dei suoi contemporanei e il cui nome raggiunse una certa immortalità.
Interpretando i dati, Antonio Montesanti ipotizza il dominio dell’Egeo tra il 1450 e il 1200 a.C., dopo la sconfitta e assimilazione della civiltà minoica di Creta. L’impiego di navi a remi consentì ai Micenei di espandersi oltremare. Per oltre duecento anni, gli antenati dei greci commerciarono, razziarono, si sposarono, si espansero, conquistarono. Soprattutto, si stabilirono nell’odierna Turchia occidentale, fino a entrare in contrasto coi vassalli degli Ittiti. Di contro, la potenza ittita deve avere cercato di porre un freno alla loro espansione. Il conflitto si protrasse per decine, forse centinaia di anni.
Abbiamo detto che Omero chiama tutti Achei, mai Greci. Adotta come sinonimi Danai, anche Argivi (i nativi del Peloponneso) ed Elleni (della Grecia settentrionale). Micenei è stato coniato da Schliemann, dopo gli scavi e i rinvenimenti nel sito dell’antica città di Micene. Greci è il nome che i romani davano a tutti gli abitanti dell’Acaia, la provincia ellenica. Sono loro ad avere diffuso il lemma "greco" in tutto il mondo occidentale.

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