

Acqualadrone
- Autore: Eugenio Vitarelli
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
Eugenio Vitarelli (1927-1994), passionale eppur misurato scrittore messinese, ha pubblicato Acqualadrone – sottotitolato “sette storie più una” – nel settembre 1988 per i tipi di Theoria, titolo indicante il nome del villaggio (nella realtà Marina di Spartà), abitato da un piccola comunità di pescatori, apparentemente fuor della storia ma in via di trasformazione verso la modernità.
La narrazione si compone di sei libri, ciascuno dei quali ha un titolo e può considerarsi autonomo, anche se le vicende sono parallele e insieme offrono la fisionomia complessiva di una realtà dalla pluralità di voci che hanno in comune il rapporto col mare. Segue un glossarietto sul significato di alcuni termini dialettali usati, nonché una storia conclusiva. La prefazione, curata da Sergio Palumbo, fornisce dati interessanti tra cui l’amicizia dell’autore con Leonardo Sciascia.
Tracciamo adesso le linee essenziali dell’opera, sobria, intensa e ricca di meditazioni sulla vita e sulla morte. Nel primo libro, intitolato Il villaggio, è presentata la vita che vi si svolge. Ecco l’incipit:
Acqualadrone è un villaggio sulla riva del mare, in quella contrada del versante tirrenico di Messina compresa fra il Ponte dei corsari e la fiumara che scende dalla località Lagagnina.
Si chiama così perché in tempi remoti, secondo la leggenda, un corsaro (“latruni i mari”) sbarcava sulla riva per depredare, arricchire il proprio bottino e rifornirsi dell’ottima acqua dolce. In prima persona è lo scrittore a evidenziare il mutamento avuto dal villaggio: dapprima ci vivevano solo pescatori, poi cominciarono a venirvi i villeggianti. Anche il ricambio generazionale segna una rottura fra l’antico e il nuovo:
Covava sotto il fatto che solamente i pescatori anziani si ostinavano ad andare per mare, mentre i giovani se la sentivano sempre meno di affrontare quel mestiere.
Il personaggio-chiave è Cosmo, quasi un Padron ‘Ntoni verghiano che dal nome emblematico evoca l’aforisma di Democrito (“Il cosmo è un palcoscenico e la vita è un passaggio sulla scena di questo palco: entri, guardi ed esci. Il cosmo è mutamento, la vita è opinione che si adegua”). Egli celebra i miti del mare e racconta le vicende del ladrone “di possanza sovrumana”, “un ladrone: che a furia di ladroniare si trasformò in destino”. E fu una sorte che fece diventare valoroso il pescatore.
Egli è il più anziano dei pescatori: “un vecchio fantasioso” che “appassionato di misteri”, “dava spiegazioni affascinanti”. Non andava in mare da vent’anni; in primavera e d’estate, seduto davanti alla sua casa, lo stava a guardare all’orizzonte. Con punte di misurato lirismo, il narrante indugia sui rabbiosi e minacciosi moti marini e a Cosmo fa dire:
C’è una lotta, da queste parti. Ed è sovrumana.
Intanto il mutamento avanza: Acqualadrone da villaggio di pescatori si trasforma in località turistica. Di pagina in pagina si profila una filosofia marina: acquisita di generazione in generazione, si traduce in un modus vivendi di uomini e donne, quello del dovere espresso in termini di “fatica”, di “rischio”, di “sopravvivenza” e di “libertà”.
Esemplari le figure femminili, aderenti alla tradizione siciliana del focolare domestico, compagne premurose nell’alleviare le fatiche dei loro uomini e nel dar loro un quotidiano sostegno e conforto. Il premuroso rapporto con gli umori del mare l’avevano ereditato di madre in figlia:
Ed eccole, al momento giusto, aiutare a spingere in secco la barca nella notte con tutta l’irascibile vitalità che contenevano e che adesso, dopo averla buttata dentro e contro le loro faccende domestiche, riversavano in questa operazione primordiale di accogliere i loro uomini e aiutarli a portare al sicuro il frutto e gli strumenti del lavoro.
Ella Imbalzano ha scritto che il mare si fa simbolo dell’“inconscio” femminile incline alla “negazione della vita”
nella quale prendono forma le insicurezze della donna di oggi sempre in svolgimento: così il mare notturno, configurandosi come “voragine di tenebre”, “vuoto senza fine”, “abisso di buio” è una minacciosa entità da cui fuggire dopo un’altalena di timore-odio.
Il racconto di Cosmo sul Ladrone che chiude la prima storia suscita un singolare fascino favolistico ed oracolare. Questi, egli dice, sparge paura e semina sgomento di mistero. Vendicativo e cattivo per essergli stato cavato un occhio, nascosto dietro l’isola di Stromboli, da abile spadaccino colpisce quanto meno uno se l’aspetta. Vitarelli si chiede:
Il ladrone e il mare non sono la stessa cosa? Il ladrone non è il mare fatto mito? Non è il rischio e la fatica?
Costui è
forza che sovrastava la pochezza delle nostre personali esistenze, suscitava visioni e produceva sgomento o saggezza.
Il libro secondo si muove lungo un tracciato psicologico. Dopo avere introdotto tra gustosa ironia e lieve umorismo la figura di un vecchio che, perduto il vigore necessario, aveva smesso di fare il pescatore e aperto una bottega di tabacchi e mercerie, presenta “Giovane Donna”: la signorina Meme che chiama al telefono Geri Pulejo. “Un idillio telefonico” fra i due, commenta Matteo Frisella, incuriosito del fatto che lei ad un certo momento non telefonò più:
Era primavera e la luna di miele con Giovane Donna, che durava da quasi un anno, volgeva al tramonto.
Mai notturna la loro relazione anche se c’era fra loro “l’umidore permanente della luna di miele”. Di ventotto anni, da Messina veniva ad Acqualadrone per i bagni e qualcosa “verdeggiava” in loro due. Misteriosa, guardando il mare di notte provava la sensazione di precipitare in un abisso. Talvolta le suscitava anche astio, senza comprenderne le ragioni. Una volta che il mare era in tempesta sentì di precipitare in uno stato angoscioso con un pianto di singhiozzi accorati. Di notte il mare è per lei “mostruoso”:
Giovane Donna fuggiva la notte marina e fuggiva se stessa.
Di giorno è tutto sereno come se lo sgomento notturno non esistesse e di giorno il mare non le risveglia l’angosciato rifiuto di esistere che si portava dentro oscuramente. Poi l’allontanamento definitivo:
Da quel giorno non venne più a trovarlo né Geri la cercò. Egli guardava il mare di notte e capiva più in profondo cosa può scatenare, cosa d’improvviso può rivelare.
Nel terzo libro riappare Cosmo che sentenzia, evidenziando una sorta di fato negativo:
Il Ladrone muove gli eventi di questo villaggio […]. Muove e sommuove a suo piacimento. Si riposa a lungo, e quando gli fa prurito sferra un fendente della sua spada di vento, ma sempre, momento dopo momento, sorveglia l’attuazione dei destini che ha deciso per noi […]. E contrastare la sua volontà conduce alla sua rovina […]. Osserva e ogni tanto porta minaccia e avvertimento.
Ed è talmente invidioso che, a capriccioso arbitrio, terrorizza la vita dei pescatori. Nel frattempo, di notte, un battello predatore, praticando la pesca a strascico, danneggia la comunità, ed è attorno ad esso che si sviluppa la storia con ‘Nzermu Passalacqua, il quale ha in mente di farlo saltare in aria con una bomba. Non poca la preoccupazione degli amici: sarebbe stata la sua rovina e della tranquillità del villaggio.
Di gusto pirandelliano sembra l’episodio in cui si parla del piano d’intervento da loro architettato per scongiurarne il proposito. Inquietanti gli interrogativi: è un battello “vero” che qualcuno “può giurare di aver visto” o toccato o un fantasma messo in moto da una volontà “ultraterrena” che vuole “mortale” la “pazzia dell’uomo?”. La chiusura è affidata alle parole di Cosmo, fondate sulla convinzione di una volontà ultraterrena:
“’U Latruni conza e sconza” […]. Apparecchia e sparecchia destini a suo piacere.
Il quarto libro si apre con la presentazione di Crescenzia, “splendore della maturità femminile. Tutta sensi e idee”. Passionale “come felino”, intraprendente e soavemente egoista innamorata di Pulejo. La sensualità le nasce da un profondo vitalismo (“tutto per lei era vita”): una “fimminuna venuta da Roma”, “dea forestiera” e presto “signora” del villaggio. In uno dei dialoghi, fra un’esperienza di mare e l’altra, rivolgendosi a Geri dice:
Voi finite sempre col parlare favoloso. Il mare vi prende troppo. Per te, per i tuoi amici è un modo di pensare […]. Anche quando parlate allegramente, fate diventare tutto serio, troppo serio […]. Per me un maremoto è un maremoto […]. Tu tiri fuori il significato, la favola.
Degli effetti della trattoria da lei aperta nella casa di ‘Nzermu Passalacqua, dato che ad Acqualadrone non ce n’erano, così evidenzia il narrante come a volere respingere l’omologazione culturale della civiltà industriale che stava avanzando:
Nessuno, eccetto Cosmo, badò per molto tempo al fatto che la trattoria di Crescenzia fu l’aggancio fra l’antico e il nuovo. Acqualadrone concludeva con quell’evento la sua storia di villaggio di pescatori e principiava quella di villaggio turistico.
L’inizio del quinto libro è dato dalla parole di Cosmo:
Una volta questo villaggio era famoso per i suoi pescatori, adesso è famoso per la sua trattoria.
I pescatori si sono ormai rammolliti e i vecchi rimasti hanno terminato il coraggio; la stessa vendetta del “Latruni” può dirsi conclusa dopo che “la sua forza invincibile” ha modificato lo stile di vita del villaggio: da coraggioso a flaccido. Nell’opera violenta e ingannevole del ladrone, che si identifica con quella del mare, Cosmo intravede un agire astuto dalla causa ignota. Intanto sono i giovani ad abbandonare il mestiere della pesca, giacché nel loro animo agisce una forza oscura al mutamento.
La presa d’una tartaruga marina - “insolita mattanza” - è l’argomento del sesto libro: riversa sul dorso, “buttava disperazione e panico con improvvisi annaspamenti”. La sua morte si sarebbe risolta nel sapore delle pietanze:
I guizzi della sua vita e del suo terrore erano ormai di un animale che sarebbe stato ucciso e mangiato: carne per la gente.
Una mattanza insolita la sua uccisione in un paesaggio marino che lo sguardo dello scrittore non cessa mai di cogliere. Quando il narratore l’aveva vista nuotare,
fu come contemplare il volo d’un sogno forte e misterioso, che seguitasse a essere volo nel fondo dell’acqua.
Avendo compreso che la pesca è morte, si immerge infine “nelle acque marginali di quel ventre materno” per lenire la pena provata.
L’epilogo, il settimo libro, rappresenta la morte di due vecchi del villaggio: quella di Frisella, il gestore del nuovo impianto telefonico, e di Cosmo, che finisce di vivere dopo essersi fatto portare sulla battigia per contemplare l’ultima volta lo Stromboli. Muore cadendo in ginocchio lentamente come se stesse sommessamente pregando; prima di chiudere gli occhi, fa in tempo a dire:
Nun mi futtìu ‘ u latruni. ‘U latruni nun esisti. ‘U ‘nvintai iò, a forza di cumprènniri.
Come a voler dire che è il bisogno di comprendere a fare inventare l’inesistente.
Con la Chiurma, l’ottavo testo narrativo in cui l’autore raggiunge la massima maturità espressiva e inventiva, si conclude la limpida e suggestiva narrazione di Vitarelli: si tratta di un lungo racconto tra realtà e sogno. Ed è lo scrittore medesimo, nei panni di Sebastiano Santisi, a farsi cantastorie, fra la gente nelle piazze, di vicende a lui riferite da un marinaio, fra menzogne e verità.

Acqualadrone. Sette storie più una
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